La diseducazione di Cameron Post (2018)
- michemar

- 26 giu 2022
- Tempo di lettura: 6 min

La diseducazione di Cameron Post
(The Miseducation of Cameron Post) UK/USA 2018 dramma 1h31’
Regia: Desiree Akhavan
Soggetto: Emily M. Danforth (romanzo)
Sceneggiatura: Desiree Akhavan, Cecilia Frugiuele
Fotografia: Ashley Connor
Montaggio: Sara Shaw
Musiche: Julian Wass
Scenografia: Markus Kirschner
Costumi: Stacey Berman
Chloë Grace Moretz: Cameron Post
John Gallagher Jr.: rev. Rick Marsh
Sasha Lane: Jane Fonda
Jennifer Ehle: dott.ssa Lydia Marsh
Forrest Goodluck: Adam Red Eagle
Marin Ireland: Bethany
Owen Campbell: Mark
Kerry Butler: Ruth Post
Quinn Shephard: Coley Taylor
Emily Skeggs: Erin
Steven Hauck: Pastore Crawford
TRAMA: A seguito della perdita dei genitori, Cameron Post è sopraffatta da un misto di colpa e di sollievo: con la morte, i suoi non sapranno mai che è omosessuale. Anni dopo, la sedicenne Cameron vive con l'evangelica zia mentre in segreto amoreggia con la reginetta del ballo. Quando la sua indole emerge, viene mandata in un centro di cura per le sue "perversioni" sessuali. In tale surreale ambiente, trova l'amicizia di Jane e Adam, due "peccatori" che la introducono ai piaceri della normale vita da adolescente. Realizzando quanto pericoloso possa essere il lavaggio del cervello portato avanti nel centro, i tre capiranno che la migliore ancora di salvezza per loro è la fuga.
Voto 6,5

“Bene, ragazzi, a me gli occhi, è ora di iniziare. Allora, questa mattina stavo pensando, pensavo a come ci si sentisse alla vostra età. Al modo in cui pregavo, come stessi spuntando la lista della spesa. Non avevo la consapevolezza che ho oggi. E così ho pensato: be', forse dovrei svelarvi un segreto. Sapete cosa cerchiamo di fare in chiesa ogni domenica noi adulti? Si cerca di trovare il modo di rimediare a ciò che abbiamo fatto alla vostra età. Pensateci un attimo: voi siete il nostro futuro. E siete in un'età in cui siete particolarmente esposti al male. E quando parlo del male, intendo il male vero. Non ve ne accorgerete oggi e neanche domani, ma quello che a voi sembra divertente in realtà è il vostro nemico. E questo nemico sta stringendo il suo cappio attorno al vostro collo.”
Parole dell’omelia del Pastore Crawford, centrato sul concetto di “peccato”, termine che nel film predomina, che ci introducono al film. Il peccato.

Gran premio della giuria al Sundance 2018, il film, tratto dall’omonimo romanzo di Emily M. Danforth, segue il calvario di un’adolescente forzata a sottoporsi a una terapia riparativa che ne curi l’omosessualità con la regia di Desiree Akhavan, newyorkese di origine iraniane. Come il libro, tratta della storia di un’adolescente del Montana (il nome è quello del titolo) che prende consapevolezza della propria omosessualità e che dopo essere stata sorpresa in un’auto con un’amica, proprio nella sera della festa di fine anno della scuola che frequenta e quindi attesa nel suo debutto nella società accompagnata dal giovane che la corteggia, viene mandata per questo in un centro di rieducazione per una terapia di conversione dai parenti conservatori, scandalizzati e spaventati dalla scoperta.

È un romanzo di formazione ma principalmente è il ritratto dell’adolescenza nel periodo in cui una giovane comincia a scoprire e a capire meglio il suo indirizzo sessuale, contrastata però dalla pressione degli adulti, i desideri sessuali, la libertà di trovare una propria identità. Il serio problema di essere accettati dai parenti e dalla società tutta per un giovane o una ragazza che avverte attrazione per i coetanei dello stesso sesso è tutt’ora oggetto di tante discussioni e polemiche, soprattutto nella popolazione conservatrice che non ammette queste tendenze, fino al punto irragionevole di ritenerlo una malattia mentale che si deve curare, costringendo gli interessati a terapie in centri appositamente aperti, con psicologi ossessionati e condizionati dalle loro convinzioni. Spesso sono luoghi in cui predomina un senso religioso così forte che danno l’idea di sette mistiche che obbligano i giovani e riflettere sui loro “peccati” cercando di manipolarne la mente. Sedute singole e di gruppo, letture di libri dedicati (in primis la Bibbia), costrizioni, sorveglianza attiva che non dà respiro, e, perché no, punizioni.

Cameron è una bella ragazza che vuol vivere la sua vita ma che non viva tranquillamente lo si scorge subito dalla sua triste espressione, intimorita da quello che potrebbero pensare gli altri, a cominciare dai genitori, condizionata nella sua libertà dalle convenzioni e dalle convinzioni del pensiero dominante. A maggior ragione nelle zone americane (ma anche nel resto del mondo) più conservatrici e tradizionaliste. Il percorso che ci si attende sempre è quello dello schema fisso che nasce dal rapporto uomo-donna, della ricerca del lavoro ma soprattutto, per una donna, di metter su famiglia e fare figli, con la più classica storia di sempre, senza mai tener conto delle esigenze personali. Accade anche per gli uomini, che subiscono pari trattamento, ma per una donna è certamente più obbligatorio se visto dalla opinione pubblica predominante. Per fortuna negli ultimi anni qualcosa sta cambiando ma la strada da percorrere è ancora lunghissima, soprattutto dal punto di vista legislativo. Vedi l’Italia.

Una volta chiusa in quella specie di collegio chiamato “La promessa di Dio” dalla zia Ruth, devota cristiana evangelista (i genitori nel frattempo sono morti), la giovane conosce la severissima dottoressa Lydia Marsh che gestisce il centro, con suo fratello, il reverendo Rick, uomo che afferma che proprio la sorella gli ha curato la sua omosessualità. Quel posto diventa una prigione, anche perché la compagna di stanza è una ragazza ormai totalmente convinta del programma che sta subendo lei stessa ma trova un’ancora di salvezza mentale quando fa amicizia con due compagni (JaneFonda, cresciuta in una comunità hippie, e Adam Red Eagle, un due anime Lakota il cui padre si è convertito al cristianesimo) sufficientemente ribelli che fumano marijuana e trovano attimi di libertà e indipendenza immaginando vagamente una fuga verso la libertà. Quando una notte succede un episodio gravissimo, provocato dal genitore di un “ricoverato” che rifiuta di far tornare il figlio Mark perché ritenuto ancora troppo effeminato, i tre capiscono che forse sta giungendo il momento di ribellarsi.

La regista, la delicata e intelligente Desiree Akhavan, per realizzare un’opera con obiettività, ha fatto molte ricerche, incontrato ex terapisti ed ex pazienti, visionato documentari e si è confrontata con l’autrice del romanzo e poi ha avuto bisogno di un intero un anno di studio per entrare in quel mondo e nella forma mentis di coloro che lo abitano. È sconvolgente osservare nella storia lo sconcerto provato da quei giovani che non riescono a sentirsi realizzati, che sanno di ferire i parenti e gli amici a cui vogliono bene, che avvertono con dolore la costrizione a cui vengono sottoposti; nel contempo è impressionante vedere anche la testarda convinzione, spessa troppo severa e irragionevole, con cui i responsabili dei centri terapeutici trattano e cercano di “convertire” i giovani, trattandoli come veri e propri malati di mente, che sono convinti di far guarire con i loro assurdi metodi. Ciechi e sordi alle esigenze personali dei costretti. Si può notare come la regista abbia cerato di non drammatizzare eccessivamente le varie situazioni che si creano, soprattutto nei momenti di maggior tensione emotiva, distribuendo qui e là attimi di amore e serenità. In queste condizioni non resta che la fuga, come succede anche in La fuga di Martha e ne Il laureato, simboli della vera liberazione dai condizionamenti altrui.

Opera sufficientemente riuscita, in presenza di buonissimi interpreti e di una discreta scrittura di base, su un argomento non facile perché non è semplice mostrare l’assurdità della teoria della guarigione come si trattasse di una vera malattia fisica o psichiatrica. Magari con un certo alleggerimento verso l’aspetto melodrammatico che la regista ha evidentemente evitato usando delicatezza verso un argomento decisivo come la libertà personale, che, sia quella del senso lato che quella sessuale, è sacra e va rispettata comunque. Il vero problema da risolvere, infatti, è quello di combattere le persone prevenute e ignoranti: obiettivo che pare ancora lontano, persino nell’ambiente politico di tanti Paesi. Anzi, soprattutto lì. Un buon film con una buonissima Chloë Grace Moretz e la solita brava Jennifer Ehle, in un ruolo lontano dai suoi soliti personaggi delicati con cui si è affermata, e non solo queste attrici sono da elogiare in quanto la regista ha saputo delineare bene i vari personaggi. Un film che necessariamente deve essere visto da chi ignora queste situazioni disumane e perché serve molto parlarne, che dovrebbero vedere tutti gli adolescenti, ma soprattutto i loro genitori. Per fortuna e per pura coincidenza, lo stesso anno, il 2018, ha visto l’uscita di un film molto simile di Joel Edgerton, Boy Erased - Vite cancellate, in cui si possono vedere le medesime situazioni e problematiche. Un film parallelo in cui il protagonista non “guarisce” ma riesce ad accettare la sua natura e a far valere il suo io.
Quante Cameron Post esistono ancora?

Per finire, torniamo al concetto di “peccato” - che per alcuni cristiani (troppi) è l’incubo su cui centrano la fede, sulla paura del demone - che come accennato su predomina il pensiero dei personaggi:
Lydia: L'omosessualità in realtà non esiste. Esiste solo la lotta contro il peccato che tutti affrontiamo. Lasceresti organizzare una parata a dei tossicodipendenti?
Cameron: No... No, non lo farei.
Lydia: Si tratta del peccato. La tua lotta è contro il peccato di attrazione verso lo stesso sesso. Il primo passo da fare è smettere di vederti come un omosessuale.
Cameron: Non mi vedo come un omosessuale. In realtà non mi vedo come un bel niente.
Lydia: Dovresti vederti come cristiana.






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