La famiglia Fang (2015)
- michemar

- 25 nov 2020
- Tempo di lettura: 6 min

La famiglia Fang
(The Family Fang) USA 2015 commedia drammatica 1h45’
Regia: Jason Bateman
Soggetto: Kevin Wilson (romanzo)
Sceneggiatura: David Lindsay-Abaire
Fotografia: Ken Seng
Montaggio: Robert Frazen
Musiche: Carter Burwell
Scenografia: Beth Mickle
Costumi: Amy Westcott
Nicole Kidman: Annie Fang
Jason Bateman: Baxter Fang
Christopher Walken: Caleb Fang
Maryann Plunkett: Camille Fang
Frank Harts: agente Dunham
Josh Pais: Freeman
Grainger Hines: sceriffo Hale
Robbie Tann: Arden
Michael Chernus: Kenny
Gabriel Ebert: Joseph
Linda Emond: miss Delano
TRAMA: Annie e Baxter Fang hanno trascorso gran parte della loro vita da adulti cercando di prendere le distanze dai genitori, due famosi ed eccentrici artisti. Quando però si ritrovano in una fase di stallo, entrambi rientrano a casa dei genitori per la prima volta dopo un decennio, rimanendo presto coinvolti nella loro misteriosa scomparsa.
Voto 7

Troppo facile e spontaneo iniziare a scrivere di questo film partendo dal concetto (sicuramente abusato) di “famiglia disfunzionale”. Io invece ho avuto l’impressione che all’inizio di questa storia e della storia della famiglia Fang di disfunzionale non c’era nulla. Anzi era tutto funzionale, nel senso che questa famiglia funzionava proprio così, anche se agli altri (ma esistono gli altri per loro quattro? non credo, per loro erano solo spettatori) sarà sembrata davvero bizzarra, a dir poco. Nessuno dei Fang litiga con l’altro, nessuno è triste, al massimo accade che Caleb si irriti per un eventuale fallimento delle loro esibizioni, altrimenti aveva sempre un sorriso sardonico e sarcastico stampato sulla faccia, che sapeva però di inquieto strisciante. Ma, vi chiederete, di cosa e di chi sto parlando?

Caleb e Camille Fang sono una coppia particolare, eufemisticamente parlando, sono due eccentrici performers artistici che si esibiscono, dopo una meticolosa preparazione, in disinvolte azioni che inevitabilmente coinvolgono gli astanti, i quali, spiazzati e stupefatti da ciò che stanno osservando, diventano involontari complici. In questa stravagante attività “artistica” sono parte attiva i loro due piccoli figli, A e B (come li chiama il padre, quasi a voler ignorare la loro esistenza reale) che in realtà sono Annie e il più piccolo Baxter. Eccoli in azione, per esempio, allorquando entrano in una banca in cui il piccolino chiede alla gentile cassiera un lecca-lecca esibendo una pistola giocattolo e quando la signora lo accontenta, lui, B alter ego di Baxter, la minaccia chiedendole l’intero barattolo. Ma quando nel frattempo la madre fa finta di essere stata colpita da un proiettile mai sparato e sanguina di liquido rossastro e dolce, interviene il padre travestito da poliziotto. Tra lo sconcerto generale i quattro si rimettono in sesto ed escono dal locale sghignazzando. E avanti così, tra un raggiro ad un furgone dove vendono panini, ad una esibizione canora dei due bimbi che più straziante e stonata non può essere. Sarà una vita normale, questa? Di certo non ci viene fatto sapere come fanno a campare, come fanno a fornirsi di cibo e vestiti, a fare il pieno dell’auto.

Il flashback ci porta velocemente al presente, dove i due figli sono diventati adulti con le conseguenze che sono immaginabili. Annie fa l’attrice ma un po’ per il suo vizio di bere, un po’ per la scarsissima qualità dei film in cui viene chiamata, la carriera non è quella che sperava diventasse e deve accontentarsi di ciò che le capita, facendo perfino capricci per una scena in topless che non gradisce. La sua vita è forse un mezzo fallimento e dei suoi genitori sono anni che non ha più notizie, anche per averli cancellati dalla sua vita.
Baxter fa lo scrittore e dopo il discreto successo del primo libro si è impantanato nella scrittura del secondo. In ritardo di più di due anni con l’editore, egli si trascina in una vita insulsa e non riesce più a scrivere una parola, fermo dopo qualche pagina di un manoscritto che ha voluto chiamare La fossa dei bambini. Non è un banale copia-incolla, è la medesima situazione della sorella: la sua vita è forse un mezzo fallimento e dei suoi genitori sono anni che non ha più notizie, anche per averli cancellati dalla sua vita.

Nessuno dei due ha un partner e che la loro vita sia rimasta segnata dall’esperienza perlomeno fantasiosa con i genitori e senza punti stabili nella quotidianità familiare è più che evidente. Vivono assieme e non li si nota mai rilassati: l’unico loro fatto positivo che si può riscontrare è che l’assenza dei genitori li ha come liberati da una specie di incubo non subito recepito, ma che ha lascito una scia lunghissima nella loro psiche, come anche nel loro comportamento attuale. Spesso nervosi, irritabili, hanno pochi legami all’esterno del loro mondo e hanno un’attività professionale fugace e sporadica. Baxter è visibilmente malinconico, è quello tra i due che ne è uscito più debole mentalmente, mentre Annie, più nevrotica, ha una forza psicologica che la tiene vibrante e reattiva. Se sul set deve risolvere problemi comportamentali, si ripete come un mantra la frase che il papà Caleb ripeteva a loro due: “Se sei in controllo, il caos accadrà intorno a te, non a te!”, che fotografa come nessun’altra frase la filosofia che quell’uomo ha avuto come percorso di vita. Loro creavano scompiglio senza mai provare panico o tentennamenti e tenevano sotto scacco mentale i presenti alle loro esibizioni. Ma non era una vita gioiosa come potrebbe sembrare, perché il pessimismo e l’amarezza di fondo che sedevano in quella non-casa erano dettate dal peggior insegnamento che l’uomo avrebbe mai potuto dare: “Pensate che vi abbiamo danneggiato. Va bene. I miei genitori hanno danneggiato me, i suoi genitori hanno danneggiato lei. Se avrete bambini, li danneggerete. È quello che fanno i genitori. E allora?” Gocce di sfiducia instillate piano piano nella mente dei due ragazzini, colpiti come da una malattia che si potrebbe definire autismo affettivo. Ora i genitori sono scomparsi non si sa come, sono svaniti come fantasmi in fuga, senza lasciare una minima traccia. Fino al giorno in cui la polizia telefona e sconvolge la già vita anomala di A e B. La storia si tinge di thriller e ancora una volta i due avranno reazioni diverse: Annie non crede ad alcuna fine tragica, per lei è l’ennesima performance per prendersi gioco dell’umanità, ancora un caustico graffio al mondo che li circonda; Baxter, come sempre, è pessimista e li ritiene definitivamente perduti. Ma su istigazione della sorella, sempre sulla corda della tensione psicofisica, partono sulle poche indicazioni a disposizione per arrivare alla verità. Che li sconvolgerà oltre ogni loro aspettativa.

Vedere il bravo ed educato Jason Bateman all’opera sul suo secondo lavoro da regista - tratto dal romanzo omonimo di Kevin Wilson – sorprende non poco, sia per l’accuratezza con cui ha affrontato l’impegno che per la serietà che ha immesso nel personaggio del suo Baxter. Pacato e misurato, sa esprimere tutte le perplessità e le esitazioni che hanno caratterizzato l’intera vita da figlio di Caleb (di Camille sempre poco, in quanto questa ha sempre dato l’impressione di essere sì complice del marito ma anche succube, impotente a reagire, soprattutto nell’ultimo atto della loro continua recita). Ispira tenerezza come personaggio ma anche notevole stima per come ha saputo dirigere con mano felice un film scomodo, in cui si poteva facilmente scivolare nel grottesco/comico involontario. Una regia ed una recitazione di tutto rispetto. A suo ulteriore apprezzamento va annotata la maniera delicata ed efficace del commento musicale scelto, che ha un’impronta prettamente classica, specialmente nel momento in cui introduce nel sottofondo la Sesta Sinfonia di Beethoven. Complimenti per la scelta appropriata e per le restanti musiche che danno continuità alla sinfonia, scritte da uno dei più autorevoli autori di oggi, Carter Burwell. L’altro maschio preponderante del cast ha le sembianze di un attore ormai divenuto un’icona, Christopher Walken, che si appropria del personaggio di Caleb fino a farne una maschera di scherno, un clown serioso, che va su tutte le furie, anche verso i figli, quando l’esibizione non riesce ad ottenere le reazioni attese dalla gente ignara spettatrice e compartecipe. L’attore premio Oscar in questi ruoli dissacranti sa esaltarsi e riesce sempre a dare una personalissima versione sempre apprezzabile.

Nicole Kidman invece è di un altro pianeta: superlativa e incisiva, tratteggia con furore il suo personaggio, sembra un corpo flessuoso al servizio di un ruolo di certo non facile, adatta il viso ad ogni circostanza, mirabile esecutrice di sguardi stupefatti o maliziosi, indagatori o desolanti. Come giustamente spetta ad una sorella maggiore, incalza il fratello perennemente incerto e titubante. Vederla recitare in questa maniera è l’ulteriore conferma delle immense doti di attrice che, a parer mio, non ha ricevuto abbastanza i riconoscimenti che le spettano. Lei con i ruoli non facili si entusiasma e li valorizza. Chi in realtà, riferendosi al contenuto del film, si è esibita da performer è proprio lei, Nicole Kidman.
Bravissimi quindi i due protagonisti. Dovevano mostrare ciò che non si può mostrare: le cicatrici psicologiche di chi è strumento inconsapevole dell’arte altrui. Il radicalismo sovversivo dell’arte dei due genitori poteva solo far male e su A e B lo hanno fatto, sino in fondo, sino al finale con sorpresa. Finale che, per fortuna loro, diventa un atto di liberazione, a cominciare da Baxter che, libero da blocchi e incertezze, affronta le pagine ancora bianche del libro che aspetta da anni e lo termina in scioltezza: La fossa dei bambini è pronta per essere stampata e letta.
Non sempre i fratellini delle favole devono scappare da nemici rappresentati da estranei, a volte sono molto più vicini, spesso sono i familiari, questa volta erano i genitori.
A qualcuno il film non sarà piaciuto, non l’avrà proprio capito.






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