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La natura dell’amore (2023)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 7 lug
  • Tempo di lettura: 7 min
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La natura dell’amore

(Simple comme Sylvain) Canada, Francia 2023 commedia drammatica 1h50’

 

Regia: Monia Chokri

Sceneggiatura: Monia Chokri

Fotografia: André Turpin

Montaggio: Pauline Gaillard

Musiche: Émile Sornin

Scenografia: Colombe Raby

Costumi: Guillaume Laflamme

 

Magalie Lépine-Blondeau: Sophie

Pierre-Yves Cardinal: Sylvain

Monia Chokri: Françoise

Francis-William Rhéaume: Xavier

Steve Laplante: Philippe

Marie-Ginette Guay: Sylvie

Micheline Lanctôt: Madeleine

Guillaume Laurin: Olivier

Linda Sorgini: Guylaine

Mathieu Baron: Kevin

Christine Beaulieu: Karine

Lubna Playoust: Joséphine

Guy Thauvette: Pierre

Karelle Tremblay: Camélia

 

TRAMA: La quarantenne Sophie, professoressa di filosofia all’Università di Montréal, convive stabilmente da dieci anni con Xavier, anche lui cattedratico. L’incontro con Sylvain, il rustico falegname che i due hanno assunto per ristrutturare la loro baita in campagna, così lontano dalla sua classe sociale e bagaglio culturale, farà scoccare in lei la scintilla assopitasi nella monotona vita di coppia.

 

VOTO 6,5


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Se leggete in giro che questa è una commedia romantica chiudete il sito o la rivista, perché è talmente fuorviante che chi lo ha così definito non ha capito nulla del film della ottima Monia Chokri. Non c’è nulla di romanticismo, non c’è nulla di leggerezza né di facili innamoramenti, ma serissimi problemi psicologici dovuti a relazioni che sembrano soddisfacenti ma che invece nascondono malcontenti così intimi che non si avvertono, ma che esistono, sono lì, in agguato. La genesi dell’opera dimostra infatti la complessità della tesi che guida il film: la regista voleva che il suo lavoro esplorasse l’amore tra due persone con una vera alchimia ma provenienti da contesti molto diversi, perché secondo lei, in una relazione, a un certo punto, ciò che accade al di fuori (amici, lavoro, famiglia, vicini) prende il sopravvento sulla relazione stessa.



Sophie (Magalie Lépine-Blondeau), professoressa universitaria di filosofia di 40 anni, brillante e colta, vive una vita ben ordinata nel cuore di Montréal. Convive da anni con Xavier (Francis-William Rhéaume), anch’egli cattedratico, con cui condivide un’esistenza stabile, ma priva di emozioni vitali. Durante una serata tra amici, riflettendo sull’amore, sul senso della vita e sul desiderio, ella avverte una crescente inquietudine che la spinge a mettere in discussione la sua routine. Ma mai avrebbe potuto prevedere ciò che le sarebbe capitato in seguito, nonostante una insoddisfazione latente che la abita. Il cambiamento arriva quando incontra Sylvain (Pierre-Yves Cardinal), un manovale del Quebec rurale, il cui stile di vita è diametralmente opposto al suo e l’occasione capita quando lei si reca da sola allo chalet di campagna che deve far sistemare con lavori di muratura, carpenteria, elettricità e via dicendo. Lui si rivela sin dal primo istante diretto, confidenziale, passionale. In Sylvain, Sophie scopre un’energia nuova, selvaggia, che risveglia in lei un desiderio sopito. Incapace di resistere, si lascia sopraffare e abbandona il suo mondo per vivere un’intensa storia d’amore erotica e sentimentale.



È subito sincera con il compagno, a cui rivela presto la conoscenza, anche carnale, che ha avuto e si trasferisce immediatamente nella baita per avere maggior libertà, saltare addosso all’uomo e godere sessualmente come mai le era capitato fino a quel momento. Una scoperta liberatoria che la scuote, che la fa sentire appagata (in entrambi i sensi), che la rende felice oltremodo, anche se è una donna che sorride facilmente a tutti e in ogni occasione. Il rude Sylvain è una scoperta, un mondo che non conosceva e volutamente, consapevolmente, ignora l’abisso di preparazione culturale che li divide. Lui non sa nulla di concetti culturali ma solo come si lavora e come si ripara un oggetto o un guasto. Lei non si arrende e a più riprese gli spiega ciò che capita, sempre con il sorriso e la generosità che la contraddistingue.



Ha modo di conoscere la madre, il fratello e la cognata del nuovo compagno, anche i loro figli e il divario accennato si rivela ancora più profondo, essendo, questi, ancora più ignoranti di Sylvain, se ciò fosse possibile. A cominciare dalla madre che si accompagna continuamente al bicchiere di vino. Per non accennare a qualche serata nei locali con i suoi amici in cui scopre il mondo del sottobosco culturale della zona in cui si è stabilita. Sophia è conscia della situazione e qualche momento di ripensamento l’assale, ma è sufficiente che lui rientri dal lavoro e la fiamma erotica prende fuoco all’istante. Qualche episodio, però, comincia a rovinare l’atmosfera che pareva cristallizzata. Succede che si guarda meglio dentro e intorno: questa relazione travolgente la spinge a interrogarsi sui suoi valori, sulle proprie aspirazioni e su ciò che significa davvero amare. Tuttavia, le differenze sociali e intellettuali tra Sophia e Sylvain iniziano a emergere con forza: lei è cresciuta in un ambiente colto e benestante, lui proviene da una famiglia operaia. La loro passione si scontra con la realtà quotidiana, e Sophie si trova di fronte al dilemma di scegliere tra la sicurezza del suo mondo passato e il fuoco che ha appena scoperto.



La sceneggiatura sembra leggera ma nasconde ed evidenzia in progressione i problemi che emergono: la scrittura brillante ci espone le dinamiche di una relazione tra due persone di diversa estrazione sociale, mettendo in luce come le differenze di classe possano influenzare anche l’amore e l’attrazione. Si fa presto a ringhiare le frasi “sporche” che eccitano e stravolgono il mondo per come lo si è conosciuto fino a quel momento, passando da un professore compassato, sebbene simpatico, ad un manovale rustico con il fisico da palestrato che fa sognare una donna inaridita sessualmente che viveva in camere da letto separate. Monia Chokri gioca abilmente con il genere pruriginoso del cinema anni ‘70 ‘80 delle pellicole facili, dal doppiosenso ammiccante e parti intime scoperte, ma con sguardo ironico, pretestuale, anche per evidenziare la scoperta carnale della protagonista. Senza trascurare anche scene da commedia pura: quella in cucina, in cui Sylvain offre alla presenza dei suoi parenti cafonal il regalo per il compleanno della donna e si inginocchia per chiederle di sposarlo con un anello pacchiano in mano, mentre lei ha i guanti con cui sta lavando i piatti, è davvero imbarazzante e comica ma fa effetto e racchiude, forse, l’intero film in un paio di inquadrature.



Una regia mai banale e lo si nota con il primo bacio in auto tra i due al primo appuntamento, parzialmente oscurato dallo specchiato retrovisore, o quella della loro prima volta, con l’immagine dei loro corpi non mostrabile per intero perché intralciata dalle assi delle finestre e dal vetro appannato: sono l’esemplificazione della relazione proibita, quindi, una passione segreta che è vietata, che non si dovrebbe vedere. Come anche è da notare la primissima inquadratura che la regista dedica all’uomo che il primo giorno aspetta la padrona di casa per iniziare il sopralluogo ai lavori: è controluce, si nota solo la silhouette scura e lo spettatore (come d’altronde lei stessa) si chiede chi mai sia quella persona, come a indicare quel tipo di impazienza che assale quando stai per incontrare qualcuno da scoprire. Segni di regia accorta e intelligente, che sa stimolare l’attenzione del pubblico.



Molto interessante poi è l’uso delle immagini delle lezioni della professoressa Sophie in cui, guarda caso, sono sempre in relazione al pensiero di importanti filosofi sull’amore: Platone, Spinoza, Schopenhauer, Jankélévitch (tutti uomini, ma nel finale c’è una citazione dell’attivista scrittrice Bell Hooks, quindi una sterzata al pensiero maschilista),  e questa professione lei la trasporta integralmente nella sua vita, quando, quindi spesso, intellettualizza ogni pensiero o ragionamento interagendo con gli altri. Ma se con la vecchia compagnia ciò andava bene, perché era l’ambiente adatto, ora lei, con questi altri, lo fa con il consueto sorriso e la leggerezza che la caratterizza, ma viene mal recepita dagli astanti che non ne comprendono il significato, innervosendoli a volte. Anzi, i primi diverbi tra i due focosi innamorati nascono proprio per questi dislivelli. Nonostante tutto paia semplice, a partire dal titolo originale che dice che dovrebbe essere tutto semplice, come Sylvain. Ed invece così non è. E quindi ne deriva il finale, che non è altro che quello che tutti prevedono.



Il film, va pure precisato, è apprezzabile anche per la sua capacità di giocare con gli stereotipi della commedia romantica (che romantica, ripeto, non è), ma anche per il suo sguardo critico e quasi cinico sulla società borghese, i suoi tic, i suoi riti, lo snobismo, il cibo ed il vino ricercati (Sylvain non capisce nulla neanche di questo), ma anche la monotonia, l’eccessivo intellettualismo, le amicizie formali. Ed allora Monia Chokri affonda il coltello nella piaga dell’interclassismo e delle forti, evidenti, inevitabili differenze tra i ceti, esplorando con schiettezza il desiderio femminile, la classe sociale e il concetto di amore autentico. Quando c’è. Il tono è sofisticato ma ironico, con dialoghi vivaci e una regia che mescola leggerezza e profondità, ponendo domande sul modo in cui viviamo le relazioni nella società moderna.



Può mai funzionare un legame come quello tra i due protagonisti? Sì, a patto che resti isolato tra i due corpi a letto, sul pavimento, in auto, magari con un collare per farsi sbattere più forte (che monella la regista, eh?). Al termine si resta sbatacchiati anche noi, soprattutto se si affronta il film senza saperne nulla: un po’ sorpresi positivamente, un po’ esitanti per l’originalità, non ovviamente del tema (la letteratura ed il cinema sono pieni di titoli di donne che cercano il calore materiale “altrove”) ma del metodo per raccontarlo.



Pierre-Yves Cardinal lo abbiamo già conosciuto nei notevolissimi Tom à la ferme e Mommy, entrambi di Xavier Dolan, québécois come tutti i componenti del film, mentre Magalie Lépine Blondeau è meno nota da noi ma presente in tanti film e qualche apparizione sempre con Dolan. È proprio lei però che mi ha colpito: bella e brava, molto espressiva, che ha saputo prendere il personaggio per quello che è, disposta a miagolare e ansimare come in un film hard, che è quello che serviva alla brava regista per confezionare questo buon film. I personaggi, in realtà, sono tanti e l’influenza, sempre sbandierata dalla regista, del deus ex machina Robert Altman si nota sia per le scene con tanti attori che si parlano addosso, che per l’uso della cinepresa, sotto forma di zoom e dolly.



Monia Chokri (suo anche l’apprezzato Babysitter) continua a sovvertire le convenzioni di genere con questa commedia romantica sexy e intelligente. Immersi in una luce calda e soffusa che ricorda i classici degli anni ‘70, i legami amorosi e i dilemmi filosofici non sono mai stati così erotici.

Film interessante e intelligente,


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In totale 4 premi e 22 candidature, tra cui

César 2024

Miglior film straniero



 
 
 

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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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