La prima notte di quiete (1972)
- michemar

- 24 ago 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 26 nov 2020

La prima notte di quiete
Italia/Francia 1972 dramma 2h12'
Regia: Valerio Zurlini
Sceneggiatura: Enrico Medioli, Valerio Zurlini
Fotografia: Dario Di Palma
Montaggio: Mario Morra
Musiche: Mario Nascimbene
Scenografia: Enrico Tovaglieri
Costumi: Luca Sabatelli
Alain Delon: Daniele Dominici
Sonia Petrova: Vanina Abati
Giancarlo Giannini: dott. Giorgio Mosca, detto "Spider"
Lea Massari: Monica
Adalberto Maria Merli: Gerardo Pavani
Salvo Randone: il preside
Alida Valli: Marcella Abati
Renato Salvatori: Marcello
Nicoletta Rizzi: Elvira
Fabrizio Moroni: Fabrizio Romani
TRAMA: Daniele è un giovane professore di lettere, che sta facendo una supplenza in un liceo di Rimini. Autore di un libro di poesie dedicato ad una ragazza morta all'età di sedici anni, ora convive con Monica. Daniele è indifferente alla contestazione che piano piano prende piede nella sua classe. Privo di un'autentica vocazione all'insegnamento, e con un'accesa propensione per il gioco, il professore si innamora di Vanina, una sua allieva.
Voto 8

Rimini. La Rimini di Fellini e quella di Valerio Zurlini sono lontanissime eppure qualcosa le lega, le accosta. La stessa indolenza, lo stesso vagare senza meta, un luogo senza passato presente futuro. I protagonisti di entrambe sono fantasmi opachi che si stagliano in un clima autunnale. La nebbia offuscata di Zurlini dà un contorno più inquietante: oltre non si riesce e vedere molto, come il percorso terminale di Daniele Dominici, eroe nero interpretato dal più trasandato Alain Delon mai visto, che sembra incamminarsi verso una fine già segnata sin dalla prima inquadratura, professore con una preparazione intellettuale che non sfoggia ma che esprime dal suo sguardo triste. Come nel momento, per esempio, della descrizione artistica della Madonna del parto di Piero della Francesca. È arrivato a Rimini per una supplenza di lettere al liceo dove però si rintana giocando a carte coi signorotti del luogo e tra una lezione in classe e un vagar senza meta si invaghisce di una sua allieva bellissima. Come può finire una storia che inizia così? Quel futuro psicologico che non si intravede si incupisce maggiormente e si incarta in una zona del destino che non promette nulla di buono.

Nel suo cappotto cammello, che resterà per sempre nella storia del nostro cinema, si staglia la figura di un uomo rassegnato, malinconicamente rinunciatario: noia, indifferenza e male interno. Un uomo a cui sembra impossibile fargli del male, perché lui porta già dentro il male di vivere, mescolato a inaffettività e rassegnazione. Forse può scuoterlo l’attrazione per quella studentessa, forse può trovare un barlume di luce e di speranza, ma Vanina è un’altra anima in pena, non potrà mai dargli ciò che gli manca. Anche perché di sicuro lui non cerca nulla. Il suo amore, sgualcito come il suo vivere, glielo dichiarerà davanti a quel dipinto di Piero della Francesca. Ma sarebbe servito una inversione a U nella vita, invece quella ci sarà accadrà nella via, quando l’appuntamento con un camion è già fissato.

Valerio Zurlini, autore che non fu mai apprezzato a sufficienza in vita, anzi ostracizzato dalla critica ma per fortuna riabilitato molti anni dopo, riesce a legare una visione così negativa del mondo con un film cupo e bianco nello stesso tempo, dove riesce a far risaltare la figura di un uomo che ha capito prima degli altri quanto il mondo sia frequentato da gente ipocrita e di poco valore, approfittatrice e insensibile, vendicativa fino alla cattiveria. Eppure, quel che di positivo abita dentro di lui cerca di trasmetterlo ai suoi studenti, anche se con frasi pessimistiche come “Per me neri o rossi siete tutti uguali, i neri sono più cretini” che forse rappresenta anche il pensiero del regista. Daniele, definito dai più come un eroe crepuscolare, l’eroe di un melodramma disperato, in cui vediamo la precarietà, la disperazione di un animale solitario, che sullo sfondo nebbioso - così come pare la vita al protagonista - di un litorale ci racconta di vite perse e disperse.

Alain Delon è per lo meno magnifico: di personaggi importanti ne ha avuto tanti nella vita, lavorando con i più grandi registi italiani e francesi, ma il suo Daniele è uno di quelli che rimarrà sempre nella memoria, come pochissimi altri. Per me il più bello, come il suo viso. Il resto del cast è quanto di meglio si potesse pretendere per una storia come questa e la meteora Sonia Petrova ce la ricordiamo ancora.






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