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La ragazza di Stillwater (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 feb 2022
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 8 ott

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La ragazza di Stillwater

(Stillwater) USA 2021 thriller drammatico 2h19’


Regia: Tom McCarthy

Sceneggiatura: Tom McCarthy, Marcus Hinchey, Thomas Bidegain, Noé Debré

Fotografia: Masanobu Takayanagi

Montaggio: Tom McArdle

Musiche: Mychael Danna

Scenografia: Philip Messina

Costumi: Karen Muller Serreau


Matt Damon: Bill Baker

Camille Cottin: Virginie

Abigail Breslin: Allison Baker

Lilou Siavaud: Maya

Deanna Dunagan: Sharon

William Nadylam: Patrick

Idir Azougli: Akim

Anne Le Ny: Leparq

Moussa Maaskri: Dirosa


TRAMA: Bill, un operaio dell'industria petrolifera, parte dall'Oklahoma alla volta di Marsiglia per visitare la figlia Allison, finita in carcere per un delitto che sostiene di non aver commesso. Messo alla prova dalle barriere linguistiche, dalle differenze culturali e da un complesso sistema legale, Bill rende la battaglia per la libertà della figlia la propria missione. Durante questo percorso, sviluppa un'amicizia con una donna locale e la sua piccola bambina, che lo porterà ad allargare il proprio sguardo e a scoprire un nuovo e inatteso senso di empatia con il resto del mondo.


Voto 7


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Difficile sfuggire alla domanda spontanea che ci si pone davanti a questo film, domanda che piò sembrare retorica, paternalistica e perfino inutile: fino a che punto può spingersi un padre (o una madre, ovvio) per poter aiutare, difendere, rendersi utile, dare tutto se stesso per trarre fuori dai guai un figlio? Cosa può mettere in atto per salvare un figlio che altrimenti sconterà una pena in carcere pur dichiarandosi innocente? Eccettuati i casi limite o quelli caratterizzati da dissidi profondi, un genitore impiega tutto quello che ha, che sia il lato finanziario, materiale, fisico, di tempo, purché sia fruttuoso ai fini dello scopo prefissato. Certo, a tutto c’è un limite e ognuno può raggiungere livelli estremi e in certi casi, chi ci riesce, va anche oltre le aspettative. È ciò che succede a Bill Baker, un operaio del settore petrolifero che vive a Stillwater, in Oklahoma, vedovo (la moglie si è suicidata), con una figlia che un giorno ha deciso di andare a studiare all’università francese di Marsiglia. Il lavoro va e viene e Bill infatti lo ha appena perso per la chiusura della piattaforma su cui lavorava ed ora fa il carpentiere in un cantiere edile. Il suo cruccio è che da circa un anno la figlia è detenuta nel carcere della città europea, condannata quale complice nell’assassinio della compagna con cui aveva scelto di vivere la sua vita piuttosto indipendente, lato del carattere già ampiamente dimostrato dalla decisione di emigrare dagli Stati Uniti. La figlia Allison gli fa continuamente sapere che è innocente e non sa nulla di cosa sia veramente successo e spera che con il suo aiuto l’avvocatessa Leparq, che l’aveva difesa in tribunale, possa riaprire il caso perché in cella è venuta a conoscenza della strana confidenza di una ragazza del gruppo che frequentava al momento dell’omicidio. Un particolare che potrebbe dimostrare la sua estraneità all’accaduto.


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Quale papà rimarrebbe inerte sapendo che si potrebbe aprire uno spiraglio, dopo che la magistratura marsigliese invece aveva chiuso e che un nuovo indizio potrebbe ridare speranze e libertà alla figlia che deve fare ancora altri quattro anni di detenzione? Bill non ha grandi possibilità economiche ma, da uomo robusto, silenzioso, da gran lavoratore, dotato di forte carattere e grande volontà, dopo aver riflettuto, si pone l’assoluto e improbo compito di partire anch’egli alla volta di Marsiglia per cercare di seguire la pista che la figlia gli sta suggerendo. I due, forse a causa dell’assenza della moglie e madre, forse per la natura dell’uomo, duro e parco di esternazioni emotive, non sono mai stati in sintonia, anzi dai loro colloqui traspare la scarsa fiducia della figlia in quell’uomo che ritiene, erroneamente, ancora schiavo dell’alcol e forse della droga, tanto da non dargli mai credito e lo accusa, al minimo dissidio, di rovinare sempre tutto. Frasi che feriscono l’animo di Bill, che sa però sopportare tutto, tranne vedere la figlia detenuta in una prigione straniera. Deve assolutamente fare tutto il possibile e, siccome l’avvocatessa non gli offre chances, sceglie di fare da solo. Come uno dei soliti personaggi di Liam Neeson che affronta ogni pericolo per salvare un familiare o un amico, egli provvede a fare da sé, senza armi, ma anche senza paura di entrare nella banlieue della città, dove i magrebini di seconda e terza generazione la fanno da padrona con i traffici illegali e il dominio del quartiere.


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Arrendersi mai, al massimo adeguarsi, trovare un lavoro di muratore, abitare presso l’unica donna che gli ha dato credito e che sa parlare inglese: lo scopo è trovare il ragazzo mediorientale dalla carnagione bianca che, secondo la figlia, è stato l’ultimo a incontrare la sua compagna. Bill era partito per una settimana e sono ormai mesi che è sistemato in casa di Virginie, la cui figlioletta Maya lo adora come un nuovo padre. Si sta legando corpo e cuore a quella casa, si è assuefatto a quella nuova vita ma sempre con uno scopo ben preciso: arrivare alla verità. Che non tarderà, indagando tra risse e ricerche sottotraccia, con più prudenza dopo l’imboscata subita nella zona pericolosa. Bill è già serioso di suo a causa delle vicende familiari vissute, ma ora è angosciato anche se cerca di nascondere le intenzioni e le emozioni che comprime dentro, sorride ma non si dà pace, a maggior ragione da quando Allison non gli vuol parlare più.


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L’eccellente Tom McCarthy - apprezzato ampiamente con il bellissimo L’ospite inatteso e specialmente con il doppio Oscar de Il caso Spotlight – segue dappresso un corposo Matt Damon trasmettendo queste sensazioni nonostante l’ermeticità delle sue espressioni, aprendo spiragli nei silenzi parlanti, graffiando la pelle resistente di un padre che non vuole sentirsi sconfitto. Anche se i cinque anni di condanna non sono eterni, lo distrugge il pensiero della figlia la cui resistenza mentale non è più solida come quando aspettava svolte a favore. In alcuni momenti il regista, con l’aiuto della sceneggiatura a più mani, solida ed essenziale, è abilissimo nel far venire il dubbio che la ragazza non abbia mai detto la piena verità, che non voglia confessare il reale ruolo che ha avuto nell’omicidio, in special modo quando ammette che era arrabbiata con la sua amante per i continui tradimenti che subiva da lei. Tom McCarthy affronta il caso un po’ come un thriller, un po’ come tragedia familiare dai rapporti difficili e rovinati nel tempo, ma mette giustamente in primo piano il dramma di un uomo che, con problemi finanziari e affettivi, pur se sistemato in quell’isola felice che è la casa di Virginie e Maya, non vuole mollare e con la forza della volontà cerca una soluzione ad ogni intoppo.


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Arrivando il film dagli USA, non si può non fare a meno di andare con la mente alla spinosa vicenda perugina di Meredith Kercher, forse mai chiarita del tutto, che infatti per gli americani è rimasta una ingiustizia tutta italiana. Abilmente, la sceneggiatura, che vede la mano anche del notevole Thomas Bidegain, autore di buona parte dei film di nientepopodimeno che Jacques Audiard, oltre che di commedie molto differenti, calca la mano nelle sequenze apicali e forse, proprio per questo, la regia di Tom McCarthy può anche ricordare il cinema aspro e verace di Paul Schrader (senza scomodare paragoni impropri): quando il regista apre la carne viva della cattiveria che spinge un uomo a gesti estremi – e qui siamo nei paraggi di Un borghese piccolo piccolo – l’escalation sembra toccare il picco e sebbene Bill paia lucido e determinato, è l’imprevisto, elemento classico immancabile nel thriller, che fa scattare il finale commovente. Bravo il regista a condurre il gioco dei registri, degli attimi importanti, sino a quello inimmaginabile di un protagonista in lacrime perché intenerito dalla bella bimba che lo ama. Un film che non risparmia neanche i razzismi paralleli tra i nordafricani in Francia e i messicani del confine meridionale statunitense, pone al centro della scena un protagonista con il cappellino sportivo americano da trumpiano che però, già pregiudicato, non può votare, occhiali da marine, barbetta alla Josh Brolin (anzi, sembra lui!), camicia a quadri, jeans e andatura di chi va dritto per la sua strada, triste, solitario y final.


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Il cinema di TomMcCarthy è palpito, è un volto serio, scava nei difetti dell’America, scopre le cicatrici per capire se son guarite, è un fluido che scorre veloce anche se dà l’idea di andar piano, perché, falsando quell’impressione, gli eventi prima o poi vengono a galla e, come il detenuto illegale che viene rimpatriato con la forza o il cardinale che deve ammettere le sue colpe, l’operaio rientra a casa, dovendo abbandonare i nuovi affetti che si era creato dal nulla, che erano forti e sinceri. La vita, alla fine delle sue storie, riprende come un fiume che segue il letto naturale: le rapide sono dimenticate e il fluire prosegue fino al mare. Gli occhi di Bill, sempre all’ombra della visiera del cappellino, ora osservano dalla veranda di casa, con la birra in mano. Adesso conosce meglio sua figlia Allison e anche il mondo circostante gli sembra più vivibile.


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Matt Damon sta diventando grande di età e sta maturando anche come attore, non è più il genio ribelle della matematica, è un attore che sta completando il ciclo di crescita artistica e questo è già un ottimo passo in avanti, con il fisico irrobustito sì dalla stessa età ma sorretto dalla capacità di adattarsi in modo migliore nei ruoli da adulto. Questo personaggio gli calza a pennello e mi incuriosisce vederlo ancora in parti drammatiche, oltre che di azione. Per quanto riguarda le altre presenze, la sorpresa è ritrovare, nel ruolo di Allison, Abigail Breslin in un film importante, dopo tanti interventi in opere passate senza clamore e innanzitutto mai in primo piano, a meno che si vada all’indietro nel tempo per riscoprire il sorprendente e simpaticissimo Little Miss Sunshine (2006) vincitore di due Oscar e con la sua candidatura ad attrice non protagonista: era lei la Olive che doveva partecipare al concorso di bellezza per bambine. Oggi è una ragazza vera e propria di 25 anni abbastanza brava, che deve stare attenta all’alimentazione, dato che ha una certa predisposizione ad aumentare di peso. Vedremo l’evoluzione (artistica e non solo). Camille Cottin (Virginie) è invece una conferma: spigliata e duttile, la migliore presenza femminile del film.


Buonissimo film.



 
 
 

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