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Uno di noi (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 mag 2022
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 11 ott

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Uno di noi

(Let Him Go) USA 2020 dramma 1h53’


Regia: Thomas Bezucha

Soggetto: Larry Watson (romanzo)

Sceneggiatura: Thomas Bezucha

Fotografia: Guy Godfree

Montaggio: Jeffrey Ford, Meg Reticker

Musiche: Michael Giacchino

Scenografia: Trevor Smith

Costumi: Carol Case


Kevin Costner: George Blackledge

Diane Lane: Margaret Blackledge

Lesley Manville: Blanche Weboy

Will Brittain: Donnie Weboy

Jeffrey Donovan: Bill Weboy

Kayli Carter: Lorna Blackledge

Booboo Stewart: Peter Dragswolf

Ryan Bruce: James Blackledge

Adam Stafford: Marvin Weboy

Bradley Stryker: sceriffo Nevelson


TRAMA: In seguito alla morte del figlio, lo sceriffo in pensione George Blackledge e la moglie Margaret lasciano il ranch nel Montana per salvare il giovane nipote dalle grinfie di una pericolosa famiglia, guidata dalla matriarca Blanche Weboy. Quando scoprono che i Weboy non hanno alcuna intenzione di mollare la presa, George e Margaret non avranno altra scelta che combattere per la loro famiglia.


Voto 6


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Kevin Costner è lo sceriffo in pensione George Blackledge, Diane Lane è sua moglie Margaret e vivono nel Montana, in un tranquillo ranch a contatto con la natura e i cavalli. Hanno un figlio, James, sposato e con un bambino, ma un giorno la vita viene stravolta dalla morte accidentale di James. La poco affidabile nuora decide di scappare con un nuovo marito, che appartiene a un clan familiare pericoloso nel North Dakota, con il figlioletto. Non molto dopo la nostalgia del piccolo pesa tantissimo nel cuore dei due nonni e a questo punto decidono di mettersi in viaggio per vedere come vive, se sta bene, se viene trattato amorevolmente come succedeva nella loro accogliente casa. E così si mettono pazientemente in viaggio per andare a trovarlo.

Dopo il lungo trasferimento a bordo della loro station wagon, una volta giunti e ricevuti, immediatamente si accorgono che il clima della nuova casa non è per nulla adatto al nipotino: è una famiglia matriarcale violenta e sicuramente criminale. Le buone e convenevoli maniere con cui vengono accolti paiono dal primo istante ipocrite e false. Ben presto si accorgono che il bambino non è trattato bene e dopo le prime discussioni, alquanto vivaci, intuiscono che non tira aria buona per loro e, rassegnati, pensano che la miglior soluzione sia andar via.


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Quale nonna accetterebbe una situazione così precaria e così poco affettiva nei riguardi di un amatissimo e affettuoso nipotino? George e Margaret sono una coppia molto affiatata e sempre innamorata e se lui è indeciso su come comportarsi al proposito, lei non si sente tranquilla e, dietro l’impulso che può spingere una donna che intuisce un brutto futuro per quel bimbo, decide di tornare sui suoi passi e convince il marito che il bimbo va salvato dalle grinfie di quella famiglia e di Blanche Weboy, la matriarca che impera in quella tetra casa dominata dalla violenza e dalla totale assenza di buoni sentimenti e moralità. Ovvio che tornare indietro, dopo solo qualche chilometro percorso, significa dare inizio a litigi poco amichevoli e difatti la violenza esplode molto presto. È lo scontro tra l’America civilizzata e dal forte senso della legge – in fondo George è un ex sceriffo – e quella della provincia rurale e grezza, è un conflitto culturale e sociale tra due mentalità parecchio differenti: diventerà ben presto una battaglia senza esclusioni di colpi, degenerando paurosamente verso la violenza inevitabile.


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Siamo ai giorni nostri ma tutto sembra fermo all’età del Far West: cavalli, praterie, ranch, case di legno che prendono fuoco facilmente, pistole e vendetta per presunti torti subiti. Un western crepuscolare in cui il bel viso sempre più maturo di Kevin Costner, nel suo abbigliamento da ranchero, si fa duro per necessità, atteggiandosi come nella serie TV che lo sta impegnando dal 2018, Yellowstone: sembra uscito di peso con il medesimo abbigliamento e la medesima determinazione. E Diane Lane, nella sua bellezza mai sfiorita anche da nonna, non gli è da meno, tanta è la voglia che la anima per riprendere in braccio il bambino che ha sempre coccolato e che adesso non è in buone mani. Sicuramente non si attendeva tanta violenza da quella famiglia e teme anche per la salute del non più giovane marito, ma ormai il gioco è iniziato e bisogna portare a termine l’operazione della salvezza del bimbo.


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Thomas Bezucha, regista e sceneggiatore, proviene solo da qualche commedia e adattando il libro di Larry Watson si avventura nel campo del tardo western e del dramma che, a causa degli eventi, si trasforma in un film che riserva un finale di azione, dove i buoni e i cattivi devono regolare i conti in sospeso, brutalmente. Magari questa separazione tra i due schieramenti viene tracciata in modo troppo tranchant, forse è una ripartizione troppo semplicistica del bene e del male, forse tutto il film ha la caratteristica dello schema classico, ma il film appassiona il giusto ed è facile e intuibile che si faccia il tifo per la coppia che rappresenta i buoni e per il bambino che deve ritrovare serenità.


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Rendere cinematografica la storia non è stato semplice” dice il regista Bezucha. “La storia è ambientata nel paesaggio ampio e aperto del West americano, segnato da grande quiete e silenzi. I personaggi scelgono le loro parole con attenzione, rivelando poco, e lasciano molte cose inespresse: le poche cose che dicono assumono di conseguenza un grande peso. Ho scelto inoltre di cambiare il periodo in cui i fatti avvengono, spostando gli eventi nei primi anni Sessanta piuttosto che lasciarli nel 1951, anno scelto dallo scrittore Watson. Secondo me, il 1963 rappresenta una sorta di bivio fondamentale per la cultura americana: è stato l'anno dell'omicidio Kennedy e del mito di Camelot, un prima e dopo fondamentali per gli Stati Uniti. Il film rientra nella tradizione di quelli con cui sono cresciuto negli anni Settanta e Ottanta. penso a Gente comune o Kramer contro Kramer, opere che parlano di relazioni, famiglie e coppie. I personaggi di George e Margaret sono indivisibili, non possono essere presi in considerazione in maniera separata. Sono sposati da così tanto tempo da essere un tutt'uno. Seppur non creda alla possibilità di riavere il nipote indietro, George accetta di accompagnare Margaret nel viaggio per darle l'opportunità di salutare il nipote e accettare definitivamente la perdita del figlio. Per lui, è un modo per riavvicinarsi alla moglie, profondamente trasformata dal dolore”.


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Lo schema è semplice e si ripete nel cinema da sempre, l’importante è non sbandare e restare nei binari dell’ordinario, soprattutto per un regista praticamente uno sconosciuto, per adesso. Il cast è senz’altro buono e vede, oltre ad un comprimario quasi onnipresente, Jeffrey Donovan, un ruolo fuori dal solito per una attrice tra le più brave in circolazione, la britannica Lesley Manville, la prepotente matriarca di casa Weboy che si oppone con risolutezza al pressante invito che le viene rivolto dai due nonni: Let Him Go, lascatelo andare, titolo ben più significativo.



 
 
 

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