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La ragazza ha volato (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 4 set 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

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La ragazza ha volato

Italia/Slovenia 2021 dramma 1h33’


Regia: Wilma Labate

Sceneggiatura: Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo, Wilma Labate

Fotografia: Sandro Chessa

Montaggio: Mario Marrone

Musiche: Ratchev & Carratello

Scenografia: Flaviano Barbarisi

Costumi: Metella Raboni


Alma Noce: Nadia

Luka Zunic: Brando

Rossana Mortara: mamma

Massimo Somaglino: padre

Livia Rossi: Manuela


TRAMA: Nadia è un'adolescente scomoda che vive a Trieste, città di confine tra tante culture, un luogo spazzato da un vento potente. Qui, Nadia cresce coltivando una solitudine da cui uscirà in modo inatteso.


Voto 6,5

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La Nadia protagonista di Wilma Labate – qui al suo quinto lungometraggio – è un’adolescente carina di Trieste introversa e sola, troppo solitaria, di soli 16 anni, che vorrebbe essere vista ma nessuno vede, con genitori affettuosi ma con i quali non ha dialogo, che ha un volto che parla molto anche nel silenzio. Va in giro stretta nei suoi jeans aderenti, non parla con nessuno e se entra in un bar è per comprare un ghiacciolo e un Gratta&Vinci, sperando chissacché. Perfino a scuola è taciturna e solitaria, anzi dimostra poca partecipazione attiva nella classe di un istituto alberghiero. Trieste è una città anche di turismo e di confine e magari in quel campo il lavoro non mancherà. Ma la sua scarsa attenzione, la sua debole complicità con il resto della classe e con i professori è al limite del consentito, tanto che pur essendo intelligente ha poche occasioni per distinguersi. Certo, come ogni ragazza della sua età sa apprezzare i bei ragazzi e quando il giovanotto, che forse non aveva mai notato, le si avvicina con intenzioni ben chiare per offrirle il suo ghiacciolo preferito, lei accetta l’avvicinamento e guardandolo dritto negli occhi, come scopriamo fa sempre per capire le intenzioni dei suoi interlocutori, si sente forse persino lusingata di tanta attenzione. Cosa che non le capita mai: sappiamo bene che i ragazzi evitano i visi incupiti e tristi, che sicuramente non suggeriscono tipi da compagnia o facili da abbordare.


La vita di Nadia è alquanto monotona: scuola, famiglia silenziosa e dalla vita grigia composta da un padre, una madre ed una sorella che non vive con loro, in cerca di lavoro per essere definitivamente indipendente. La ripetitività e la invariabilità di quel trantran monocorde non la ravviva e la sua vita scorre noiosamente seriosa e taciturna: quell’incontro non casuale ravvicinato nel bar lo intravede come una piccola variazione alla noia quotidiana. Perché rifiutare l’invito a dare uno sguardo a casa dello zio, dove egli vive e dove dice che il parente ha una rara e preziosa piccola pistola da collezione? La sua espressione dice chiaramente che è titubante, che non si fida poi tanto di quel ragazzo, ma tanto, cosa può succedere? Lei saprà tenere Brando a bada, immagina (Luka Zunic, già notato in un ruolo simile in Non odiare (recensione). Ed invece, una volta in casa, lo subisce. Subisce. Nonostante i rifiuti e le resistenze.

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Nadia non vola, non fa sogni, non riesce ad evadere da quella vita e quella tremenda esperienza la segna profondamente, incupendosi più di prima, sentendosi vittima di una società che non la vede, che non l’aiuta, che non l’ascolta. La svolta, pesantissima ma anche determinante per il futuro, scaturisce proprio a causa di quell’episodio che l’ha tanto sconvolta. Il fatto di essere rimasta incinta peggiora ovviamente la situazione, come potrebbe succedere ad ogni ragazza della sua età. Adesso deve affrontare i genitori, la classe, la sorella Manuela, a cui si rivolge immediatamente e da cui si aspetta un aiuto perlomeno pratico o morale.


Trieste è una città che può sembrare grigia e sembra il palcoscenico adatto per la giovane, che cerca una strada, una conferma per se stessa e la decisione, contro il parere dei pochi a conoscenza della situazione, la prende con convinzione: il bambino lo terrà. La pancia aumenta, a scuola diventa più ribelle, qualcosa nel carattere comincia a cambiare. Nadia comincia a volare? Oh, sì, Nadia cambierà totalmente approccio con la vita vera: sarà così una donna che lavora, una mamma che torna a casa per accudire il figlio, una persona che matura e sorride, parla con tutti, ora ha un viso sereno, sa di saper volare. Nadia è pronta per la vita. L’incontro con quel ragazzo sbagliato, che magari le piaceva anche, le ha cambiato la vita, ma non nel modo sperato e neanche subito. Dopo, da mamma e da donna, perché spesso è proprio dal male subito che può nascere l’occasione di uscire dalla solitudine e dall’isolamento.


Lo sguardo di Nadia è spesso perso nel vuoto ma anche distrattamente concentrato in quello che fa. Si sofferma a prendere fiato, appoggia la fronte al palmo della mano ma rispetta gli orari, quelli che le hanno fatto perdere la scuola durante la gravidanza ma che non le faranno perdere il lavoro anche se lo detesta. Durante i lenti viaggi di spostamento la ragazza sembra quasi un automa. Questo sentimento ambivalente, a cavallo tra lo sfinimento e la rassegnazione, è la chiave narrativa che dovrà evitare qualunque passo falso verso una pericolosa presa di posizione.

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Prescindendo dalla vicenda oggettiva, la regista Wilma Labate - autrice della sceneggiatura assieme agli autori del soggetto, i fratelli D’Innocenzo – ha puntato l’obiettivo quindi sul grave problema della violenza sulle donne che, come lei stessa ha affermato “Qualsiasi circostanza di violenza ha diverse sfumature, può essere aggressiva o semplicemente bisbigliata e magari la persona che subisce non ha la forza di opporsi e lascia che succeda e ciò non toglie che sia sbagliato.” Infatti. Anche perché il comportamento superficiale e maschilista del protagonista maschile, Brando, dimostra come spesso per l’uomo è un atto di violenza non violento, essendo lui cresciuto in un ambiente dove si crea questo tipo di mentalità. Il tratteggio della personalità della ragazza ha permesso alla regista di raccontare un personaggio femminile complesso, fuori dai soliti schemi, appunto quello di Nadia: “Bisogna uscire da quei canoni, bisogna entrare dentro altri mondi poco raccontati dal cinema. Il cinema ne ha un bisogno estremo, perché, beh… la sapienza e la curiosità del mondo nei confronti del femminile è ancora molto bassa.”


Oltre al lavoro della regista, molto apprezzabile, è da elogiare l’interpretazione che ha saputo dare al personaggio la brava Alma Noce, dando alla sua Nadia (belli i primi piani dedicatele) un carattere forte e testardo, che sceglie coraggiosamente di accogliere nella sua ancora breve vita, e in un periodo non facile di crescita e di ambiente, la piccola creatura che per la brutta vicenda ha dato alla luce. Permettendole, unico elemento positivo, di maturare come persona e come donna, che sa guardare avanti. La sorpresa più grande è notare che i fratelli D’Innocenzo abbiano scritto un soggetto così lontano da quelli che hanno trattato sino a questo momento, senza trascurare il particolare che si tratta pur sempre di una storia spinosa e brutale, non molto lontana quindi dai fatti psicologicamente violenti di cui abitualmente scrivono e su cui girano i loro particolarissimi film. La bravura di Wilma Labate, dal suo canto, è stata quella di cercare di metterci dentro anche il senso di colpa che (e purtroppo questo accade) una donna si sente dentro quando capita qualcosa del genere. Una vittima che porta dentro di sé ingiustamente la sensazione di colpevolezza che non merita. Anzi. “Ho scelto Trieste perché è una città femminile, complessa e difficile da capire.


 
 
 

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Il Cinema secondo me,

michemar

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