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La rimpatriata (1963)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 ott 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 27 set

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La rimpatriata

Italia, Francia 1963 commedia 1h50’


Regia: Damiano Damiani

Sceneggiatura: Damiano Damiani, Ugo Liberatore, Enrico Ribulsi, Vittoriano Petrilli

Fotografia: Alessandro D'Eva

Montaggio: Giuseppe Vari

Musiche: Roberto Nicolosi

Scenografia: Mauro Bertinotti

Costumi: Ebe Colciaghi


Walter Chiari: Cesarino

Riccardo Garrone: Sandrino

Francisco Rabal: Alberto

Dominique Boschero: Tina

Mino Guerrini: Nino

Mimma Di Terlizzi: Maria

Gastone Moschin: Toro

Letícia Román: Carla

Jacqueline Pierreux: Lara

Paul Guers: Livio


TRAMA: Un gruppo di amici sui 35 anni si ritrova, dopo essersi perso di vista da tempo, per una "notte brava" di libertà e di baldoria. Sono tutti sposati, con famiglia a carico e professionalmente sistemati. A poco a poco, l'euforia iniziale lascia il posto alla consapevolezza che un certo tempo della loro esistenza è irrimediabilmente passato e che probabilmente questo è stato il loro ultimo incontro.


Voto 7


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A tutti capita che si faccia sentire un’amica o un amico dei tempi lontani che sta organizzando una bella iniziativa per ritrovarsi dopo tanti anni, cambiati, sistemati, ma soprattutto invecchiati. Chissà, se dopo aver partecipato, succederà ancora, perché spessissimo, dopo tante promesse, non ci si vede più, aumentando la nostalgia e la forza dei ricordi. Anche se, a volte, con il passare delle ore, i ricordi più o meno felici svaniscono, portando gradualmente una tensione di malinconia. Questo è uno dei primi film di Damiano Damiani, il cui contenuto lo rende un'opera piuttosto sorprendente per una filmografia che è stata poi molto più incline al cinema di genere.


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Ecco allora la rimpatriata del gruppo di amici milanesi, dove ognuno è un esempio (parliamo degli anni Sessanta) di affermazioni borghesi e più o meno arricchiti del dopoguerra. C’è per esempio Alberto (Francisco Rabal), Sandrino (Riccardo Garrone), Nino (Mino Guerrini) e Livio (Paul Guers) che hanno fatto fortuna nel mondo degli affari, delle costruzioni o come medico di prestigio. La riunione, come succede, è quindi fonte di risate e bei ricordi, ma tutti sono perseguitati dal ricordo del più brillante di loro, Cesarino (Walter Chiari), colui che non aveva avuto successo e che abbandonarono al suo destino. Presi da un impulso, decidono di andarlo a trovare nel cinema che gestisce in un quartiere popolare di Milano.


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Tutta la storia mostrerà il divario che separa Cesarino dai suoi vecchi amici, sia nel successo sociale che in una nobiltà di carattere mai sbiadita. Quando il gruppo decide di intraprendere una escursione in ricordo dei bei tempi andati, la differenza sarà più marchiata, anche a causa di un certo malessere che vive in quegli uomini e che ha l’ombra della misoginia. Infatti, l’accento polemico del regista, che influisce in un cambio di tono del film, trasforma la commedia ridanciana in una critica sociale molto amara. Ed in questo, se c’era un attore capace di esprimere malinconia, Walter chiari era insuperabile e che il cinema non abbia sfruttato le sue grandi qualità è stato sempre un rammarico per tutti. Famoso come grande affabulatore, era potenzialmente anche un attore superlativo. Che morì in solitudine. E attorno a Cesarino, irresponsabile ma illuso e innocente, ruota una serie di personaggi più o meno consapevoli, ipocriti e volgari che pensano a una cosa sola. Quella lì.


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Alla fine non è cambiato nulla, Cesarino domina i suoi compagni che, nonostante il loro successo economico, non possono che invidiarlo. Si possono quindi intuire i motivi della passata rottura, il troppo dolce Cesarino non essendo riuscito a confrontarsi con il cinismo dei suoi ex amici. L'oscurità del finale vede quindi il gruppo crogiolarsi nei mali di quell’uomo perdente, vittima della sua sensibilità profonda.

Grande prestazione di Walter Chiari.


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