La scelta di Anne - L'événement (2021)
- michemar

- 30 dic 2021
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 1 set

La scelta di Anne - L'événement
(L'événement) Francia 2021 dramma 1h40’
Regia: Audrey Diwan
Soggetto: Annie Ernaux (romanzo)
Sceneggiatura: Audrey Diwan, Marcia Romano
Fotografia: Laurent Tangy
Montaggio: Géraldine Mangenot
Musiche: Evgueni Galperin, Sacha Galperin
Scenografia: Dièné Bérété
Costumi: Isabelle Pannetier
Anamaria Vartolomei: Anne
Kacey Mottet Klein: Jean
Luàna Bajrami: Hélène
Louise Orry-Diquero: Brigitte
Louise Chevillotte: Olivia
Pio Marmaï: prof. Bornec
Sandrine Bonnaire: Gabrielle
Anna Mouglalis: Claire
Leonor Oberson: Rivière
Fabrizio Rongione: dott. Ravinsky
TRAMA: Nel 1963, Anne, studentessa brillante e di modesta estrazione sociale, si trova ad affrontare una gravidanza indesiderata. A rischio è anche il futuro che si è prefigurata, in un'epoca in cui, in Francia, l'aborto è illegale.
Voto 8

Accantonando la retorica e il moralismo, per una donna la decisione di pensare ad un aborto (parlo da uomo) credo che sia tra le più difficili che si possano mai prendere nella vita. Si può essere spinti dalla necessità del momento, dai timori di non essere in grado di crescere una creatura, dall’indigenza finanziaria della famiglia in cui si trova, oppure genericamente dalla propria e semplice volontà, dato che, oramai in buona parte del mondo, la legge permette una scelta del genere e solo in circostanze particolari e in determinati periodi iniziali della gestazione. A prescindere dalle esigenze di salute della futura puerpera. Ed escludiamo dal discorso i casi brutali dovuti a violenze. Quindi, per restare nel ristretto campo delle scelte personali, resta indubbia la difficoltà di saper prendere una definitiva decisione di continuare la maternità o di rivolgersi ad una struttura ospedaliera. Scelta a cui una donna viene spinta da almeno un duplice movente, che poi è proprio il caso specifico trattato da questo film: immaginare di sentirsi sollevata una volta liberata da quel fardello indesiderato e non cercato e nello stesso tempo avere di nuovo la libertà di dedicarsi pienamente al progetto della propria vita, come la studentessa protagonista Anne ha in mente da sempre: studiare concentrata, laurearsi in lettere e realizzare il suo sogno di diventare una scrittrice.

Salta subito agli occhi come la giovane sia intelligente e dotata per gli studi, in aula è attenta e si dimostra subito una spanna al di sopra degli altri studenti che frequentano il corso del professore Bornec, uomo preparato e attento ad ogni singolo partecipante al suo corso. Per questo egli ha notato e mantiene il controllo del rendimento di Anne e quando si accorge che ella sta attraversando un periodo molto difficile, non è più concentrata come una volta durante le lezioni, rende molto poco e i suoi compiti sono parecchio deludenti, la affronta e cerca di capire cosa stia succedendo. Nell’imbarazzante dialogo, Anne risponde seccamente alla domanda se il cambiamento di rendimento sia dovuto a qualche problema familiare o personale: “È una malattia di quel genere che prende solo le donne e che le trasforma in casalinghe”. La verità e che lei è rimasta incinta dopo un veloce e poco rimarchevole rapporto sessuale con un giovanotto che risiede altrove e adesso teme, in quello stato, di non poter finire gli studi e di non riuscire a scappare dai vincoli imposti dal suo background d'origine, dalle umili origini, dai genitori bravi e premurosi che conducono una piccola impresa di ristorazione. Con gli esami finali che si avvicinano e la pancia che cresce, Anne decide di tentare un aborto illegale, anche se ciò significa dover affrontare vergogna, dolore e forse anche prigione. Infatti, siamo nella Francia del 1963, tempo in cui l’aborto è illegale. Glielo ricorda il dottor Ravinsky che la visita e che le comunica, con grande sua sorpresa, che è incinta. Tutto avrebbe immaginato come causa del ritardo delle mestruazioni ma mai le sarebbe saltato in mente di essere gravida.

Da quel momento ha un solo pensiero fisso: come liberarsi del feto che porta in pancia, impresa quasi impossibile dato che non solo è vietato dalla legge ma è anche una novità che non ha comunicato ad alcuna persona, men che meno alle due sue più intime amiche, colleghe del convitto dove vivono vicino all’università. È sola, nessuna la consiglia e, nonostante gli avvertimenti severi del dottore, prova a fare anche da sé ed è già un miracolo che, ovviamente non riuscendo, abbia minime conseguenze del suo dilettantismo fai-da-te. Tutto il film verte su quel viso imbronciato, nervoso, indisponente, di una donna che non sa come risolvere il problema che le attanaglia la vita: con quel bimbo i suoi sogni rimarrebbero infranti e irrealizzati. Come aveva detto, avrebbe fatto la fine di una comune casalinga e addio scrittura. Autodeterminazione femminile, gestione del proprio corpo, volontà di decidere il proprio futuro, scelta del tempo giusto per voler avere un bambino. “Non lo sopporterei, non riuscirei a volergli bene” dice al dottore che la invita a ripensarci. E come succedeva fino a qualche decennio fa e per tutta la storia dell’uomo, l’unico rischio che si può correre è quello di rivolgersi ad una donna che pratica aborti clandestini, con il pericolo dietro l’angolo di un intervento casalingo e non professionale che spesso porta a gravi conseguenze fisiche: emorragia ed eventualmente morte. E se va bene c’è sempre il rischio di andare a finire in un ospedale, dove il referto medico può scrivere se l’aborto è spontaneo o procurato. Quest’ultimo vuol dire prigione! E allora? L’unica buona soluzione è trovare (e come si fa? chi la aiuta?) una donna che lo fa di mestiere, costi quel che costi. Sono le nostrane “mammare” o “mammane”, termine che si usava per indicare l’ostetrica (professionale o no) ma anche chi aiutava la gestante ad abortire in modo clandestino, valendosi di pratiche rozze e spesso dannose per la salute, anzi, meglio, rischiosissime.

Persino osservata da un uomo, è una storia dolorosa, che trafigge l’anima, che sconvolge i sentimenti umani. Più passano le settimane - che la coraggiosa Audrey Diwan conteggia una ad una con una didascalia impietosa e cadenzata - più l’intervento abusivo assume maggiori rischi. Pare l’attesa in un braccio della morte con il tempo che passa e la grazia richiesta non arriva. Per trasmettere il pathos, l’ansia, la sofferenza intima della ragazza, che non vuole essere la mandante di un omicidio ma che non vede altre soluzioni per la sua vita (è sempre una scelta di vita!), per rendere la trama reale e credibile, la regista riesce ad imprimere un ritmo ossessivo al copione, saltando ogni orpello e restando incollata al viso, bello e giovanile, ma teso e preoccupato, tirato come una corda di violino, di Anne. Una giovane dagli occhi spalancati che parlano da soli.


La collaborazione e l’armonica intesa, autoriale e attoriale, delle due donne fanno sì che raggiungano lo spettatore come tanti colpi di pistola, inesorabili. Ci si trova, a prescindere dalle private emozioni e punti di vista in merito a questo angosciante argomento, inevitabilmente a parteggiare per la ragazza, per non vederla più soffrire prima psicologicamente – anche a causa degli insuccessi di studio che si stanno verificando – e poi fisicamente allorquando si reca con timore dalla donna che “opera” clandestinamente in casa (Anna Mouglalis). Sono il connubio tra queste due donne di cinema, Audrey Diwan e Anamaria Vartolomei, e la loro lampante intesa sul set che rischiara l’orizzonte e il cammino di un film difficilissimo da fotografare passo dopo passo, che rendono realistico ogni immagine ed ogni sequenza. La macchina da presa è quasi costantemente sul primo piano di Anne, la scruta, la spiega e la mostra come un intervento a cuore aperto. Tra le bevute al bancone del bar, i rifiuti agli inviti dei maschietti abbindolati dalla bellezza della studentessa, il segreto celato a fatica quando verrebbe voglia di confidarsi per sfogo o per richiesta di aiuto, il ventre che si gonfia appena e lentamente ma inesorabilmente, il professore che pressa per poter capire il calo di rendimento nello studio. Anamaria Vartolomei è straordinaria, rende tutto palpabile, mentre Audrey Diwan le si incolla addosso e ci illustra i pensieri che le attraversano la mente.

Per fare un film del genere ci voleva solo una donna, è intuibile e logico, ma non tutte sarebbero state capaci di farlo così bene, così stravolgente e drammaticamente emozionante. Fuor di dubbio che parte avvantaggiata dal romanzo di Annie Ernaux che racconta se stessa (e attribuisce la medesima data di nascita ad Anne) e della sua autobiografica esperienza per un “evento” (il titolo originale del film) che ha vissuto in prima persona. Un avvenimento tanto intimo quanto immersivo, come il buio della sequenza iniziale, che la regista ha saputo trasferire con grande sensibilità tutta femminile sullo schermo. Lo fece molto bene anche nel 2007 Cristian Mungiu con il premiato 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, ma in questa occasione è differente perché si vive ancora di più la maniera opprimente con cui la protagonista affronta la questione. “Ho fatto questo film con rabbia. L’ho fatto con le viscere, con la pancia, con il cuore e con la testa” dice la regista trionfante dopo il Leone d’Oro di Venezia 2021, e fa notare che la parola “aborto” viene accuratamente evitata nella sceneggiatura sua e di Marcia Romano, mentre “gravidanza” viene definita seccamente come descritto all’inizio di questo scritto. E a ben guardare, è un film poco parlato in generale e l’assenza di parole riflette il fatto che Anne stessa, visto che l’aborto era illegale, non poteva parlare apertamente della questione. Questo silenzio rafforza la sua solitudine, e al tempo stesso nutre la sua determinazione ad andare avanti, il suo coraggio.

La regista Audrey Diwan: “Qual è il destino di una giovane donna che si misura con un aborto clandestino? Spesso, possiamo solo cercare di indovinare la risposta. Quando ho deciso di realizzare l’adattamento del romanzo di Annie Ernaux, ho cercato di trovare il modo per catturare la natura fisica dell’esperienza, di tenere conto della dimensione corporea del percorso. La mia speranza è che l’esperienza trascenda il contesto temporale della storia e le barriere di genere. Il destino delle giovani che hanno dovuto ricorrere a questo tipo di operazioni è rischioso, insopportabile. Tutto quello che ho fatto è stato cercare la semplicità dei gesti, l’essenza che potesse veicolarlo.”
Davvero un gran bel film.

Riconoscimenti
2021 – Festival di Venezia
Leone d'oro al miglior film
Premio FIPRESCI
Premio Arca CinemaGiovani al miglior film
Premio Brian dell'UAAR
2022 - Premio Lumière
Miglior film
Miglior attrice a Anamaria Vartolomei
Candidatura a miglior regista
Candidatura a miglior fotografia
2022 - Premio César
Migliore promessa femminile a Anamaria Vartolomei






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