Un altro mondo (2021)
- michemar

- 3 nov 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 11 giu 2023

Un altro mondo
(Un autre monde) Francia 2021 dramma 1h36’
Regia: Stéphane Brizé
Sceneggiatura: Oliver Gorce, Stéphane Brizé
Fotografia: Éric Dumont
Montaggio: Anne Klotz
Musiche: Camille Rocailleux
Scenografia: Pascal Le Guellec
Costumi: Isabelle Pannetier
Vincent Lindon: Philippe Lemesle
Sandrine Kiberlain: Anne Lemesle
Anthony Bajon: Lucas Lemesle
Marie Drucker: Claire Bonnet-Guérin
Guillaume Draux: direttore delle risorseumane
Olivier Lemaire: Olivier Lefèvre
Jerry Hickey: M. Cooper
TRAMA: Philippe Lesmele, un manager, vede il matrimonio con la moglie disgregarsi. Si è fatto inghiottire a poco a poco dalle pressioni del suo lavoro e la donna non sopporta più la situazione. Dirigente di un'industria statunitense, Philippe non sa più come reagire alle richieste contraddittorie dei suoi superiori. Con le spalle al muro, raggiungerà presto un inevitabile punto di rottura.
Voto 7,5

Un dirigente d’azienda, sua moglie e la sua famiglia, nel momento decisivo in cui le sue scelte professionali stanno per stravolgere tutte le loro vite. Philippe Lemesle e sua moglie si stanno separando, il loro sentimento è irrimediabilmente danneggiato dalle pressioni del lavoro. Dirigente di successo in un conglomerato industriale, non sa più come rispondere alle richieste contraddittorie dei suoi capi. Ieri volevano un manager, oggi un risolutore. Ora egli deve decidere cosa significhi veramente la sua vita.
Dalle prime immagini si viene immersi in un clima scioccante. Da alcune foto incorniciate lungo i corridoi della loro casa, con i visi dei bei tempi andati, giovani e sorridenti, come provenienti dall’album dei ricordi, si è scaraventati nella discussione tra loro e i legali per la separazione tra i due coniugi, chiaramente afflitti da problemi di incomprensione e di lontananza mentale. Si discute animatamente della divisione dei beni e dell’appannaggio che lui deve versare alla moglie, dato che lei ha da tempo rinunciato al lavoro per accudire casa e un figlio con problemi psicologici. Lui, Philippe Lemesle, è da tempo totalmente assorbito dall’impegnativo lavoro che lo tiene occupato fino al punto di trascurare la famiglia e lei, Anne, si sente talmente trascurata e lontana che ormai ha deciso di chiudere definitivamente con il marito. Sono anni che non si trattano più bene, che non trovano più l’armonia e l’affetto di un tempo. La discussione è feroce, con lei in lacrime e lui, arrabbiato per l’atteggiamento severo della donna, tenta non solo di diminuire le richieste della controparte ma anche di ribadire che ne è sorpreso e deluso, che non ha colpe, che il lavoro lo ha costretto a non essere così presente come avrebbe voluto. Subito dopo, Stéphane Brizé ci porta a tempo addietro, quando l’azienda ha riunito i direttori degli stabilimenti francesi per illustrare il piano che prevede il taglio del 10% del personale. Altra discussione animata come fossimo in un altro film: i vertici spiegano le intenzioni e i vari responsabili che devono attuarle cercano di attutirne le conseguenze e di diminuire le richieste dei licenziamenti. Con scarsi risultati, perché il mercato è implacabile e la decisione è ormai presa. E non servono neanche la resistenza e le obiezioni da parte di Lemesle, che è persona molto stimata dai massimi dirigenti americani e francesi. Nel frattempo, entrambi i genitori seguono con affetto e apprensione i risultati che riesce ad ottenere il loro figlio Lucas, che frequenta una scuola specializzata nel seguire ragazzi con difficoltà di apprendimento, ragazzo a cui non fanno mancare la vicinanza e l’amore necessario, soprattutto ultimamente, quando è andato in escandescenze e ha aggredito compagni e istruttori. Hanno anche una figlia che studia e lavora oltre Atlantico che dà molte soddisfazioni.
La situazione per Philippe Lemesle è, a quanto pare, difficile in tutti i campi e si trova a dover affrontare tre crisi contemporaneamente: quella professionale, quella del proprio matrimonio e quella del figlio adolescente.

Dopo La legge del mercato (2015) e In guerra (2018), eccoci nel 2021 per un’altra storia impegnativa, sempre con lo scopo di esplorare l’evoluzione del mondo del lavoro e le problematiche attuali dell’economia e della finanza e se nei primi due il protagonista (sempre interpretato in manera vigorosa da Vincent Lindon) si agitava nella trincea maltrattata dei sottoposti, ora si ritrova nel fronte opposto: prima nei panni di un dipendente di un supermercato in crisi di coscienza, poi negli occhi e nei corpi degli operai in sciopero, oggi manager locale di una potente multinazionale con mansioni di responsabile di uno stabilimento francese. Data la situazione creatasi con la crisi economica mondiale, anche i vertici americani della Elsonn (che produce elettrodomestici) hanno deciso che necessita riorganizzare l’azienda nonostante i buoni risultati produttivi e di bilancio. Nel linguaggio tecnico questo significa sempre e solo il ridimensionamento del personale produttivo, cioè degli operai, ultima ruota del carro. L’incarico che Philippe Lemesle riceve è quello di tagliare il suo personale, che, in buona sostanza, si traduce nel licenziamento di un numero di dipendenti. Con lui i rappresentanti sindacali hanno sempre avuto un buon rapporto basato sulla lealtà e la sincerità, ma ora, per il dirigente, non sarà facile non solo riferirlo ma anche scegliere i nomi da lasciare a casa. Operazione difficilissima sia dal punto di vista sindacale che quello umano, conoscendo personalmente le persone e il loro indefesso impegno quotidiano. Con i rappresentanti dei dipendenti discute, cerca soluzioni per una maggiore efficienza produttiva ma nega, tergiversando, che ci siano intenzioni di tagli, mentre si chiede come abbiano mai saputo del riservatissimo piano. Davanti a loro non ha il coraggio né il permesso di ammetterne l’esistenza ed è, intanto, obbligato a tacerne. Poi si vedrà, nel frattempo deve penosamente stilare l’elenco dei nomi dei dipendenti da licenziare.

In casa, ormai, è solo e non dorme neanche per lavorare al documento richiesto. La scadenza prevista è ormai di solo poche settimane, dopo le quali è attesa una risposta chiara e definitiva. Il grande boss americano della Elsonn, M. Cooper, non si accontenta neanche di un suggerimento fuori percorso suggerito da lui stesso (la riduzione dello stipendio dei vari direttori pur di salvare i posti di lavoro degli operai) perché pretende solo e soltanto il taglio deciso. In collegamento Skype egli prima approva, elogia, ringrazia della eccellente idea, poi lo schiaccia come insetto: gli azionisti aspettano risposte nette alle chiare richieste, solo licenziamenti, perché il padrone è solo uno. Wall Street! A questo punto, ecco però la svolta decisiva e definitiva alla vicenda umana e professionale di Philippe e del film: il ricatto! Scegliere tra due strade è spessissimo il momento determinante nella vita di una persona e lui ora è davanti a quel bivio. Rimanere in sella, come meriterebbe, almeno per le rinunce che ha dovuto accettare sacrificando la famiglia, a cui, nonostante tutto, teneva tanto, oppure decidere per la propria dignità e il proprio l’onore scegliendo liberamente la vita. Non avrà dubbi. Non tentennerà.

Il discorso centrale delle tre opere è quindi sempre lo stesso, seppure da punti di vista opposti. In questa angosciante ennesima esplorazione del pianeta occupazione non solo operaia si sviluppa il quinto film di Stéphane Brizé con il suo attore simbolo Vincent Lindon, ma è soprattutto la chiusura di una trilogia disperata sul mondo del lavoro di oggi. Nell’oggi com’è concepito e come si è evoluto, disumanizzato, reso un fatto meramente finanziario. Implacabilmente. Dove un essere umano che lavora è divenuto un numero dell’azienda che lo ha inglobato nel suo piano di sviluppo, espansione e arricchimento. Non è facile saper rendere bene l’idea di ciò che avviene nel mercato del lavoro nel mondo globalizzato, dove un prodotto può essere fabbricato in un altro luogo non meglio ma a più basso costo, dove le aziende vengono delocalizzate (che termine elegante!) per semplici motivi di mano d’opera più sfruttata, dove gli imprenditori se ne infischiano delle famiglie che hanno mutui e figli da sfamare e mandare a scuola. Non è facile, ripeto, rendere bene tutto ciò se il regista non ha idee chiare e un progetto artistico robusto. Stéphane Brizé ce l’ha sempre in questa trilogia ma non basta, perché a questo punto diventa essenziale l’attore che personifichi il protagonista e le angosce che lo trafiggono: un attore normalmente straordinario ma che nell’occasione diventa gigantesco. Di norma lui è sempre un artista di grande carattere, figura di spicco che si esalta in ruoli difficili, anche fisici (quasi debordante in Titane, fantastico!), ma sempre intenso, come una radio trasmittente emozioni e sentimenti (come dimenticare Welcome?). Sarebbe infinito l’elenco dei film in cui ha mostrato il suo valore ma in questo è forse andato oltre.

La sceneggiatura è, come al solito con questo regista e con questo attore, così fitta di dialoghi che spesso le frasi dei personaggi si sovrappongono (il che si traduce in una enorme fatica per la lettura dei sottotitoli, ma ne vale sempre la pena), che discutono animatamente in diverse scene come se poco sia scritto e molto improvvisato per rendere ogni sequenza realistica, spontanea, efficace. Sembra ciò che nella realtà succede davvero tra la gente che si incontra e parla interrompendo l’interlocutore per esprimere il proprio parere o per prevalere su quello degli altri. Il tutto maggiormente esaltato dalla presenza di più camere da presa che, in fase di montaggio, danno un notevole ritmo alla recitazione, con continui campi e controcampi: più che un copione, dà l’idea di un canovaccio in cui tutti improvvisano e si parlano addosso. Un sistema recitativo che lo straordinario Vincent Lindon, assoluto mattatore del film, interpreta nel migliore dei modi, già abituato alla tecnica del suo sodale regista, tanto da riportarla anche in altre occasioni. Infatti, proprio recentemente, Juliette Binoche (attrice che rispetta evangelicamente i copioni) ha confessato le non poche difficoltà a recitare sul set di Incroci sentimentali con l’attore, che la spiazzava spesso con improvvisazioni e cambiamenti rispetto alla sceneggiatura prevista. Il risultato è un film che diventa assillante ed emozionante, sia dal punto di vista artistico che umano, infervorato dal superlativo attore francese la cui impressionante prestazione raggiunge il culmine nel prefinale, quando i due coniugi decidono di vendere la bella casa in cui abitano: la camera da presa a mano – così tanto frequente con Brizé - si sofferma sul suo viso, mentre la moglie Anne (la brava Sandrine Kiberlain, vera ex moglie di Lindon) mostra le stanze ai potenziali acquirenti e risponde alle loro domande. Silenzioso, pensieroso, malinconico, riflettendo sui cambiamenti che si sono abbattuti nella sua vita, alza frequentemente lo sguardo per osservare gli altri, lo riabbassa, si guarda in giro, non ha nulla di dire. Ha parlato tanto per tutto il film ma adesso non ha più parole e lavora solo di espressione. Una sequenza intensa, significativa, dolorosa, emozionante, indimenticabile, mentre il commento musicale insacca il suo dolore. Che attore!

Un altro mondo è possibile? o ci si deve rassegnare alla spietatezza del mercato, dei licenziamenti, dei crudeli compiti di tagliatore di teste (come viene oggi spietatamente denominato), alla rinuncia della famiglia e degli affetti e soprattutto del bisogno dei figli di essere accompagnati nella crescita da genitori presenti? L’uomo o la donna, che si trova nella difficoltà di scegliere la strada giusta, spesso deve rinunciare a qualcosa di importante per non disperdere la ricchezza umana e affettiva che nel frattempo ha saputo accumulare. Senza dover mai fare del male agli altri.

Un bellissimo film che è divenuto la conclusione della trilogia (tutta scritta assieme a Olivier Gorce) senza che neanche lo stesso Stéphane Brizé se ne fosse reso conto, in quanto lo ha costruito sopra La legge del mercato senza badare al film intermedio. Il regista spiega il suo rapporto con l’attore feticcio: “Ho pensato ad altri attori, ma quando scrivo lui esce sempre fuori e si mette nei panni del protagonista, per così dire. Conosco Vincent da più di dieci anni. Veniamo da ambienti molto diversi, ma ci arrabbiamo o ci rallegriamo o ci rattristiamo per le stesse cose. Quindi è facile per lui capire cosa voglio dire. Non si parla di psicologia, nessun discorso prima delle riprese. È tutto molto organico.” E spiega anche l’obiettivo dell’opera, dato che la storia si svolge nell’ambito di una cultura aziendale spietata, mors tua vita mea, con poco o nessuno spazio per il beneficio del dubbio, dove tuttavia, la sceneggiatura offre una svolta sorprendentemente umana. Ma può succedere davvero nella vita? “Può succedere. Ci sono dirigenti come il personaggio di Vincent che si rovinano, e si suicidano persino, ma c'è anche chi decide di staccarsi completamente da questa realtà per reclamare un po' della propria umanità. Con questa svolta, esprimo la mia convinzione personale, ovvero che l'umanità a volte è in grado di liberarsi dai suoi vincoli. La difficoltà con questo sta nel non sembrare ingenuo, cosa che non sono. Percorro una linea sottile qui, tra il buio e la possibilità di fare la cosa giusta.”






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