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La signora dello zoo di Varsavia (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 20 gen 2024
  • Tempo di lettura: 3 min

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La signora dello zoo di Varsavia

(The Zookeeper's Wife) Rep.Ceca/UK/USA 2017 dramma 2h7’


Regia: Niki Caro

Soggetto: Diane Ackerman (romanzo)

Sceneggiatura: Angela Workman

Fotografia: Andrij Parekh

Montaggio: David Coulson

Musiche: Harry Gregson-Williams

Scenografia: Suzie Davies

Costumi: Bina Daigeler


Jessica Chastain: Antonina Żabiński

Daniel Brühl: Lutz Heck

Johan Heldenbergh: Jan Żabiński

Val Maloku: Ryszard Żabiński

Michael McElhatton: Jerzyk

Iddo Goldberg: Maurycy Fraenkel

Goran Kostic: sig. Kinszerbaum

Shira Haas: Urszula

Efrat Dor: Magda Gross


TRAMA: La moglie del guardiano dello zoo racconta la storia dei guardiani dello zoo di Varsavia, Antonia e Jan Żabiński, che aiutarono a salvare centinaia di persone e di animali durante l'invasione tedesca.


Voto 6

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A causa dell’invasione nazista della Polonia e della conseguente devastazione dello zoo di Varsavia, il direttore del parco Jan Żabiński e la moglie Antonina sono costretti a sottomettersi al nuovo responsabile nominato dal Reich. Non appena i nazisti iniziano a deportare gli ebrei verso i campi di concentramento, essi rischiano il tutto per tutto per nascondere il maggior numero di future vittime nel loro zoo. Contro ogni previsione, Antonina e gli ebrei protetti riescono a creare, pur con qualche diffidenza iniziale, un particolare rapporto di fiducia che porterà a tracciare un piano di fuga.

Dalle prime sequenze verrebbe in mente che si tratti di una dolce fiaba che si snoda durante la Seconda Guerra Mondiale: una donna si sveglia accanto al figlio e a due cuccioli di leone, inforca la bicicletta e attraversa sorridente uno zoo in stile liberty, accompagnata da un simpatico dromedario, salutando elefanti, ippopotami, bisonti, scimmiette. Ma siccome siamo nella Polonia del 1939 il quadro non è così roseo. Anzi, siamo nel periodo del nazismo che impera in quella parte d’Europa e la storia - realmente accaduta e narrata nel libro di Diane Ackerman ‘Gli ebrei dello zoo di Varsavia’, a sua volta basato sui diari della protagonista Anotnina Żabiński - riguarda la vita di quella donna e suo marito Jan, i proprietari. Durante l’occupazione tedesca salvarono la vita a circa 300 ebrei, offrendo loro rifugio nelle gabbie sotterranee dell’edificio sgomberato dagli animali.

Il film, che si può classificare nel sottogenere del filone dei drammi riguardanti l’Olocausto, è sì attento alla ricostruzione storica, ma è troppo addolcito sia nella narrazione che nei colori pastello della fotografia, dal registro registico che stempera la tragicità dei fatti. Troppo pulito, insomma, per esprimere il dramma di quegli avvenimenti.

Tra l’altro, i personaggi che girano intorno alla protagonista Antonina (l’impeccabile Jessica Chastain) hanno una conformazione alquanto macchiettistica, poco incisiva. Come lo scienziato Lutz Heck di Daniel Brühl, già direttore dello zoo di Berlino ed ora ufficiale delle SS nominato capo zoologo della Germania nazista. Peccato, perché la potenzialità di una storia tragica poteva offrire alla regista Niki Caro (North Country - Storia di Josey, Mulan) un risultato più solido, ma le sue intenzioni naufragano nella semplicità e nel convenzionale didascalico.

Anche se ci sono ragioni per cui un film come questo abbia cercato di evitare la limitazione del divieto alla visione ai più giovani, la decisione di annacquare gli orrori dell’Olocausto è fuorviante. Mettere a tacere il maltrattamento degli ebrei nella Polonia occupata dai nazisti può consentire a tutti gli spettatori di qualsiasi età di vedere il film, ma crea l’impressione che le cose non siano andate così male come erano effettivamente, quando invece è sempre necessario e obbligo morale mostrare le atrocità del luogo e del tempo. Nessuno dei grandi film sulla Shoah, infatti, indietreggia nella rappresentazione di scene strazianti e inquietanti, ma sembra esageratamente accomodante l’immagine di una donna benestante e sorridente che va in giro come se si stia preparando in posa per una foto fuori dal cancello del ghetto. Comprensibile solo se le intenzioni della regista erano quelle di mettere in evidenza e contrasto la vita tranquilla di prima a confronto con la tragedia in arrivo.

Da notare anche che il leone bianco che si vede, in quegli anni non era ancora stato importato in Europa. Nonostante queste critiche legittime, il film ha riscosso consensi soprattutto nei piccoli festival dell’ambito ebraico.


 
 
 

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