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La sostituta (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 mar
  • Tempo di lettura: 6 min
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La sostituta

(La place d’une autre) Francia 2021 dramma 1h52’

 

Regia: Aurélia Georges

Soggetto: Wilkie Collins (The New Magdalen)

Sceneggiatura: Aurélia Georges, Maud Ameline

Fotografia: Jacques Girault

Montaggio: Martial Salomon

Musiche: Frédéric Vercheval

Scenografia: Thomas Grézaud

Costumi: Agnès Noden

 

Lyna Khoudri: Nélie Laborde

Sabine Azéma: Eléonore de Lengwil

Maud Wyler: Rose Juillet

Laurent Poitrenaux: Julien Valence

Didier Brice: Massip

Lise Lamétrie: Honorine

Judith Leder: Emilienne

Jacques Bachelier: maggiore Clarinval

Marie Hattermann: Marthe

 

TRAMA: Nélie assume l’identità di Rose, una giovane donna di buona famiglia che muore davanti a lei. Si presenta al suo posto a casa di Madame de Lengwil, per diventare la lettrice della donna benestante.

 

VOTO 6,5

 


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Fin dove può spingersi una bugia prima di essere scoperta? Fin dove si è capaci di mentire?

Presentato al Festival di Locarno e in Italia praticamente sconosciuto, fonde dramma storico, tensione psicologica e riflessione sociale. Diretto da Aurélia Georges e ispirato al romanzo The New Magdalen di Wilkie Collins, porta sullo schermo un racconto che parla di identità, menzogna e autodeterminazione. Un’opera che sfida le aspettative, incrociando generi e offrendo un racconto potente sulle maschere che indossiamo e sulle opportunità che scegliamo di cogliere.


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Succede infatti che la giovane protagonista Nélie Laborde sfugge a un’esistenza miserabile: cameriera in una casa dove il padrone la molesta e al suo rifiuto è licenziata, a ragazza ridotta a prostituirsi fin quando eccetta di diventare infermiera di guerra al fronte nel 1914. Un giorno incontra un’altra giovane donna, Rose Juillet, che ha lasciato la Svizzera per andare a Nancy, dove verrà assunta come lettrice per una vedova dell’alta borghesia, Eléonore de Lengwil, amica del padre defunto che era un colonnello. In seguito a un bombardamento, Nélie vede l’altra morire al suo fianco. Aspirando a un futuro migliore, decide di assumerne l’identità: ne indossa i vestiti, recupera la lettera di raccomandazione e getta il medaglione della ragazza nel fuoco, ma, sentendo i soldati tedeschi, cerca di recuperare il medaglione ustionandosi la mano destra. Particolare non secondario che tempo dopo avrà la sua importanza ai fini delle indagini per essere identificata. Vedendo nelle sue mani un libro di Victor Hugo, l’ufficiale tedesco le fornisce un lasciapassare a nome di Rose Juillet. L’avventuroso futuro della giovane ha inizio.


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Una volta assunta l’identità di Rose, e spacciatasi per lei, si presenta al cospetto di Madame de Lengwil e diventa la sua lettrice. Con il nome usurpato assume non solo quel compito ma conquista lentamente la fiducia della Madame diventando amica e confidente. Quando le chiedono notizie della sua vita, non esita a rispondere alle domande, senza destare sospetti, con calma, riflettendo e recitando abilmente la sua parte. Ovvio che, quando sente la signora dire ai suoi servi che l’onestà è la dote che apprezza di più nelle persone e che lei sa accorgersi quando qualcuno le mente, la mette un po’ in apprensione, ma ormai il gioco pericoloso ha avuto inizio e indietro non vuole più tornare: ora ha ciò che ha sempre sognato, dopo quella vita da disperata. L’inganno che ormai ha messo in piedi va al di là di ogni aspettativa di Nélie, che ha trovato non solo una casa ma anche tutto ciò che le è sempre mancato: l’amore, la tranquillità. Ma quanto potrà durare questa situazione solo apparentemente comoda? Ed infatti, il destino non perdona e un altro giorno, diverso da quello in cui è giunta in quel bel posto, il passato tornerà per chiederle il conto.


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Per guardare dentro e capire la storia, il periodo storico e i personaggi, poveri o benestanti, è necessario immagine come sopravvivere nel caos opprimente della guerra era difficile e chiedeva grande capacità di resistenza alla sofferenza per fame e miseria, specialmente in una società nella quale l’origine sociale giocava un ruolo preponderante. Ma soprattutto, le donne. Come e cosa potevano fare per difendersi da una società basata su un feroce e scontato (perché ritenuto normale) patriarcato? Quali sono le armi a disposizione per un essere femminile al quale è stato negato il diritto di esprimersi al meglio? Il film esplora queste importanti questioni, evidenziando come il passato, sebbene distante, possa riflettere le sfide attuali legate alla diversità. Ed oggi, nonostante i tanti passi fatti, non si può certo dire che le problematiche siano state risolte. Emblematica e non certamente casuale, la frase d’addio di una delle cameriere licenziata perché gravida: speriamo che non nasca femmina. L’antitesi del titolo del film di Monicelli sta a dimostrare quanto il destino dei maschi sia sempre stato più semplice e agevolato rispetto all’altro sesso.


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Si nota evidente che nella trama manchi la classica parentesi sentimentale, una storia d’amore, un personaggio maschile giovane che possa far aprire il cuore della protagonista, ma non succede (leggo che nel romanzo da cui il film è tratto, c’era), e forse la regista Aurélia Georges ha fatto bene ad evitarlo per rendere meglio l’idea di quali difficoltà esistenziali la giovane stesse affrontando e che per lei non c’era spazio nella mente per un rapporto amoroso. Diciamo che non poteva permetterselo. Nélie affronta la vita così come le riesce, ricucendo gli strappi dell’anima e del fisico, si adatta, a volte recita, è sempre all’erta e quando tutto pare procedere come sperato, ecco i fantasmi del passato. Ed ora? A questo punto il dramma si colora di giallo, di rimedi improvvisati, di soluzioni non rinviabili, ma non sarà facile. Anzi, tutto pare crollare, facendo prendere alla giovane la decisione a cui non può sfuggire. L’ultimo imprevisto, per lei positivo, deriva dal fatto che la severa ma buona d’animo Eléonore de Lengwil le si è affezionata oltre l’immaginabile, la considera una di famiglia. La vuole come una di famiglia, nonostante tutto.


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A questo punto una domanda: come fa questa ragazza ad ingannare ogni persona della casa padronale immersa nel bosco (bellissimo, pieno di varietà floristiche e alberi e siepi dai meravigliosi colori autunnali) e conquistare la loro completa fiducia? Sì, il pastore ha qualche dubbio e fa le sue indagini, il commissario vorrebbe approfondire le cause di un litigio (no spoiler), ma la Madame è irremovibile anche nell’affetto e nella fiducia che ripone nella sua amata Nélie. La quale, con quel visino da adolescente che Lyna Khoudri si porta dietro e dentro ogni sua partecipazione, quella faccia commovente, infantile, e questa innocenza, anche se non si comporta sempre in modo così innocente, potrebbe ingannare tutto il mondo. Capiamo perché gli altri personaggi le credono. Forse è questo che lo rende più doloroso. La vita è dura e quando tutte queste cose accadono a qualcuno del genere, è ancora più straziante.

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La gestione da parte della regia mostra due donne che sono tanto diverse, sia per la loro età che per il loro passato, eppure trovano rifugio l’una nell’altra, anche se all’inizio non riescono a esprimerlo. C’è questo pudore in e tra loro. Non possono nemmeno toccarsi e solo quando accade qualcosa di inaspettato Madame finalmente prende la mano di Nélie tra le sue perché è spaventata all’idea che avrebbe potuto perderla. All’epoca, bisognava mantenere le distanze e si era incapaci di esprimere ciò che si sentiva. Ma questi sentimenti sono genuini e Aurélia Georges ha voluto indubbiamente che gli spettatori notassero questa distanza fisica tra loro, dovuta anche al carattere della padrona di casa, che nel finale cede al cuore e fa una proposta indeclinabile e non rifiutabile.

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Un film indiscutibilmente classico nella forma e nella esposizione, nella narrazione e nella regia: Aurélia Georges dirige con precisione e senza sussulti, nella maniera più rappresentativa e tradizionale, anche per la qualità degli attori. Lyna Khoudri è quella che conosciamo da tempo, di fisico gracile e minuta, dal viso adolescenziale che si fa fatica a considerarla adulta, e qui, in alcuni tratti, sembra perfino troppo giovane per un personaggio così determinato, ma la scelta è stata, come affermato dalla regista, voluta, proprio allo scopo di cui sopra. Il resto del cast è fatto di attori adatti al loro compito, ma la gigantessa del set è, e si nota di continuo, l’espertissima Sabine Azéma, un pilastro del cinema francese, donna che ha recitato con i più grandi autori transalpini, da Alain Resnais in giù. Una maestra della recitazione, una perfetta, misurata e maestosa attrice.


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Per il resto, il film è fatto con gli ingredienti più classici immaginabili, dai costumi all’ambientazione, dall’atmosfera che si respira alla scenografia. Film che mantiene l’aurea drammaturgica e di sospensione del misfatto per tutta la durata, fino al finale indulgente ed emozionante. Un appunto che mi sento di far notare è il clima interpretativo generale fin troppo rigido, pari alla postura della Khoudri, poco adattabile, non malleabile. Non direi poco credibile, ma di certo avrei preferito un’altra attrice. Cosa che non succede, infatti, alla Rose di Maud Wyler.



 
 
 

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