La stranezza (2022)
- michemar
- 15 feb 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

La stranezza
Italia 2022 commedia 1h43’
Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Michele Braga, Emanuele Bossi
Scenografia: Mariangela Caggiani
Costumi: Maria Rita Barbera
Toni Servillo: Luigi Pirandello
Salvatore Ficarra: Sebastiano “Bastiano” Vella
Valentino Picone: Onofrio “Nofrio” Principato
Giulia Andò: Santina Vella
Rosario Lisma: Mimmo Casà
Donatella Finocchiaro: Maria Antonietta
Aurora Quattrocchi: balia Maria Stella
Galatea Ranzi: madre
Fausto Russo Alesi: padre
Aldo Failla: Tano
Filippo Luna: direttore di scena
Giordana Faggiano: Rosalia “Lietta” Pirandello
Tuccio Musumeci: Calogero Interrante
Luigi Lo Cascio: capocomico
Renato Carpentieri: Giovanni Verga
Tiziana Lodato: prostituta
Domenico Ciaramitaro: Fofò
TRAMA: Nel 1920 Luigi Pirandello, in Sicilia per qualche giorno, conosce per caso due attori dilettanti di teatro, Onofrio Principato e Sebastiano Vella, che stanno cercando di metter su uno spettacolo. L'incontro avrà risvolti inaspettati.
Voto 7

Si scrive stranezza, si legge, nell’idioma siciliano, turbamento, confusione interiore, che è quella sensazione che accompagna, per buona parte dell’esistenza, il drammaturgo Premio Nobel co-protagonista del film di Roberto Andò - palermitano di nascita – Luigi Pirandello. Scopriamo questo lato oscuro già dopo qualche minuto, quando egli, giunto da Roma, dove oramai vive da tempo, nella sua Sicilia per un riverente omaggio all’ormai vecchio e trascurato Giovanni Verga (Renato Carpentieri) e viene colto con rammarico dalla morte della sua anziana balia, la quale lo accoglieva affettuosamente da bambino sul suo grembo quando si sentiva invaso da quella malinconica “stranezza”. Sentimento che evidentemente lo coglie spesso nella vita, che condiziona il suo stato psicologico, lo mette anche in crisi creativa, maggiormente nella seconda parte della vita coniugale allorquando la moglie si è aggravata nella sua malattia mentale e l’ha lasciata a soggiornare a Chianciano Terme assieme ai figli (in quello che lo scrittore definì “il paesello annidato sul colle ventoso proprio dirimpetto della Collegiata”). Stato che lo turbava fino al punto di non riuscire a concretizzare bene le idee di partenza di una delle più importanti opere del suo teatro: Sei personaggi in cerca d’autore.

Con la sua mestizia, con i sorrisi stirati ma genuini (come sa fare in modo straordinario il grande Toni Servillo), incuriosito e divertito dal comportamento dei due strampalati “cassamortari” che lui stesso ha incaricato di tumulare la sua cara Maria Stella, torna ad adeguarsi presto alle abitudini locali, dove è sempre necessario oliare i meccanismi burocratici del comune per far liberare il loculo destinato ma indebitamente occupato da altra bara. A sbrigare queste pratiche cimiteriali e di “costume” locale, che prevedono una sostanziosa ricompensa al responsabile dell’ufficio comunale, sono proprio i due addetti ai funerali Bastiano (Salvatore Ficarra) e Nofrio (Valentino Picone), due amici di vecchia data e di carattere differente: il primo esuberante e imprevedibile, il secondo più quadrato e riflessivo, il primo attore ed il secondo anche scrittore di commedie-drammi per il teatro per la locale, scalcagnata (ma presa con molta serietà) compagnia filodrammatica composta dai concittadini. È qualcosa di più che un hobby e loro due affrontano l’impegno con vigore e passione, considerandosi seriamente “dilettanti professionisti”, presi anche dall’ansia dell’ormai prossimo debutto con l’opera che lo stesso Nofrio ha appena ultimato. Quasi per caso, ma più per destino, il grande scrittore si trova ad assistere ad una delle prove (semicomiche) nel piccolo teatro del paese, il giorno precedente della sperata tumulazione e prima della partenza per Catania dove l’attende Verga.

Ecco una rara occasione per il sorriso e la sorpresa provata da Pirandello, che intuisce l’ardore ed il coraggio dei due becchini/attori e del resto della compagnia, ognuno dei quali si ha modo di conoscere il modo di vivere e le problematiche domestiche, in quanto il regista Roberto Andò dedica diverse scene a volo radente per spiegarci l’ambientazione. Come, per esempio, la corte che Santina, sorella del gelosissimo Bastiano, subisce dall’ostinato amico e collega di palcoscenico Fofò, ma fermamente respinto perché già in tresca con l’inimmaginabile Nofrio, corte che scatenerà l’ira e l’imprevista ed eccessiva inimicizia del compagno di avventura. Ambiente che il regista disegna molto bene, con la casa di appuntamento dove puntualmente si ritrovano i maschi del paese, le piccole ripicche familiari, la prepotenza dei dipendenti pubblici, ma soprattutto l’anonimato in cui si muove Pirandello, neanche riconosciuto dai due aspiranti artisti. Come da prassi delle commedie popolari: il personaggio famoso che ritorna al luogo natio e che (con sommo piacere di Pirandello) nessuno del luogo identifica, lasciandolo in pace. In quel posto, il grande drammaturgo troverà inaspettatamente l’abbrivio per la stesura della sua celebre opera teatrale rimasta inceppata, il cui patema d’animo lo porta a vedersi continuamente circondato da quei sei personaggi ovunque, come fantasmi: in treno, in casa, a teatro… Un incubo che si dissolve miracolosamente, riuscendo, nel finale del film, a farla debuttare nel Teatro Valle di Roma, dove inviterà con simpatia i due simaticissimi personaggi, che nel frattempo hanno litigato a causa della contesa amorosa.

Come d’abitudine, Roberto Andò inserisce la consueta anima di lieve thriller in ogni film e neanche questa volta rinuncia ad inserire l’elemento di suspence anche se senza crimini o morti sospette – come era già successo ultimamente in Il bambino nascosto, Una storia senza nome, Le confessioni, giusto per fare qualche esempio. Il “giallo” è rappresentato appunto dalla mancanza di ispirazione creativa che, come d’incanto, si dissolve osservando la maldestra ma genuina esibizione della filodrammatica di Nofrio e Bastiano, da cui il drammaturgo trova, quasi istintivamente e con il sorriso che concede raramente, lo spunto necessario che gli mancava, forse proprio mettendo ordine nei confusi e grossolanamente abbozzati dalla scrittura dell’aspirante artista del paesello. L’aspetto thriller non si risolve così facilmente, però, neanche alla prima teatrale della famosa opera – caratterizzata ancora una volta dal concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella che degli attori sulla scena, che inaspettatamente subisce – perché quel debutto è, sia nel film come nella realtà, un sonoro fiasco, con il pubblico che non gradì lo spettacolo, ricevendo solo in seguito il tributo del successo che lo rese ancora più famoso.

Tutto ciò è ovviamente raccontato dal regista in maniera romanzata, adattando questo scorcio di vita dello scrittore alle esigenze del film che è, in fondo, una commedia. Il progetto di Andò ha infatti una genesi non molto pretenziosa ma molto più semplice, tanto far dichiarare all’autore: “Avevo il desiderio di fare un film con Ficarra e Picone e soprattutto raccontare il caos, il rapporto tra realtà e finzione. Bello poi vedere Pirandello al suo culmine che si confronta con due attori e mette a fuoco quello che vuole raccontare. Volevo portare sullo schermo un personaggio sottratto a tutta la sua monumentalità, un personaggio anche simpatico. E poi in questo film è protagonista anche il pubblico, quello popolare, come quello del teatro classico. Pirandello ha sempre coltivato un rapporto con il popolo e le sue storie. Ad esempio, è noto che si faceva raccontare le storie di corna che in Sicilia sono cose molto importanti. E poi assisteva personalmente ai dibattimenti forensi. Ovviamente per prendere spunti per le sue opere”. Servillo invece afferma: “Non esiste un mio Pirandello, ma ogni attore ha il suo. In questo caso è diverso, affascinante e fuori dai cliché di ogni pesantezza artistica. Lo vediamo che torna in Sicilia e riprende contatto con quel mondo e con questi due becchini che fanno gli attori amatoriali. Da qui la messa a fuoco di ‘Sei personaggi in cerca d'autore’. Ho amato tantissimo poi l'idea di poter contribuire ad abbattere gli steccati tra comici e attori non comici. L'alchimia che si è creata con Ficarra e Picone è stata pari alla curiosità di lavorare insieme.”

Accanto alla eccellente fotografia di Maurizio Calvesi e la scenografia di Mariangela Caggiani, è buonissima la regia di Roberto Andò, che da buon siciliano sa immergere il pubblico nell’ambiente di quegli anni ’20 e all’aria del paese dove si svolge la trama, caricando nella giusta dose, con l’aiuto di Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, i già coloriti personaggi indigeni, resi quasi maschere dalle loro caratteristiche di partenza e dai dialoghi così pieni di folclore e fatalità e, non ultimo, quello scetticismo che abita negli animi degli isolani. Ciò non vuole essere una banale e maleducata generalizzazione ma anzi un elogio alla straripante simpatia di questi personaggi così ben definiti, ad iniziare da quelli sulle spalle di Salvatore Ficarra e Valentino Picone, due comici che solitamente sono divertenti ma in questa occasione, proprio perché diretti bene, si sono espressi al meglio, avendo una valida guida e tenuti nei giusti binari del percorso che dovevano seguire. Mai visti così bene e in forma: simpaticissimi, come i bravi caratteristi che li hanno degnamente accompagnati sul set.

Non ho ancora scritto nulla di Toni Servillo? E secondo voi, è necessario farlo? Lui è come il nostro Robert De Niro, perfetto in ogni tipo di ruolo, anche in questo Pirandello magnificamente trattenuto e sofferente nell’intimo, silenzioso ma espressivo, padre padrone del Teatro di quegli anni. Servillo, solo l’anno precedente si era dovuto scatenare per un personaggio totalmente all’opposto (Qui rido io) e a qualche mese di distanza si è dovuto racchiudere nel contegno limitativo del Premio Nobel. I guitti sono gli altri due, Ficarra e Picone, in gambissima.
L’unico elemento restrittivo del film è quell’eterno salto di qualità che prima o poi Roberto Andò dovrà compiere per portare a termine un film più affermativo per la sua onorevole carriera, perché le sue opere sono sempre buone ma viene sempre in mente che qualcun altro avrebbe potuto fare meglio o che manchi chissà cosa, forse una briciola.
In ogni caso, va bene anche così, sia chiaro.
David di Donatello 2023
Migliore sceneggiatura originale
Miglior scenografia
Migliori costumi
Miglior produttore
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regia
Candidatura miglior attore protagonista a Ficarra e Picone
Candidatura miglior attrice non protagonista a Aurora Quattrocchi
Candidatura miglior compositore
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