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La tela dell'inganno (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 ago 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

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La tela dell'inganno

(The Burnt Orange Heresy) UK/Italia/USA 2019 thriller 1h39’


Regia: Giuseppe Capotondi

Soggetto: Charles Willeford (Il quadro eretico)

Sceneggiatura: Scott B. Smith

Fotografia: David Ungaro

Montaggio: Guido Notari

Musiche: Craig Armstrong

Scenografia: Totoi Santoro

Costumi: Gabriella Pescucci


Claes Bang: James Figueras

Elizabeth Debicki: Berenice Hollis

Mick Jagger: Joseph Cassidy

Donald Sutherland: Jerome Debney


TRAMA: Il carismatico critico d'arte James Figueras unisce le forze con la seducente americana Berenice Hollis. Insieme si imbarcano in un tour dell'Europa, compresa una visita alla tenuta del collezionista d'arte Cassidy sul lago di Como. Il loro ospite rivela di essere un grande ammiratore di Jerome Debney, un solitario pittore. Così chiede a James di rubare un nuovo capolavoro dallo studio dell'artista, pronto a ricompensarlo bene.


Voto 7

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Ci aveva sorpresi Giuseppe Capotondi nel suo esordio dieci anni fa con l’interessante La doppia ora, in cui il doppio non c’era solo nel titolo ma anche nel dubbio comportamento dei personaggi. Nel suo secondo lavoro si ripresenta con protagonisti che non si riescono bene a mettere a fuoco, anch’essi dal passato non del tutto chiaro e con qualcosa da nascondere, a cominciare dall’uomo in primo piano. James Figueras è un critico d’arte dotato dal dono della dialettica intelligente e soprattutto furba, piena di aneddoti sui pittori celebri spesso contradditori e tante volte falsi ma raccontati come veri. Oppure il contrario, come fa ben capire sin dai primi dialoghi con la donna che incontra ad una sua conferenza su un dipinto misterioso. Berenice Hollis sta presto al gioco del critico, dimostrando duttilità nell’accettare con molto beneficio d’inventario le sue storie e le mezze verità che egli racconta. Scoppia subito la scintilla tra i due ma, data l’atmosfera che predomina nel film, non si capisce bene cosa effettivamente viaggi nelle menti dei due. Il terzo personaggio che compare acuisce i dubbi sui contorni delle personalità che abitano la trama: Joseph Cassidy è un ricco collezionista d’arte che nella sua vasta villa che si affaccia sul lago di Como ospita in una casa poco consona al resto della tenuta un pittore altrettanto misterioso che da tempo nasconde agli appassionati le sue tele. Jerome Debney è un anziano artista dal comportamento alquanto bizzarro (è definito universalmente come “J.D. Salinger del mondo dell'arte”) e quando finalmente riceve il critico con la sua nuova amica rivela che non dipinge da molto tempo, mostrando tante tele ma tutte bianche, come un’ulteriore azione artistica che non fa altro che aumentare la sua fama. Provocatorio, irriverente, controcorrente, invita i due ospiti a condizione di una sfida atletica nella piscina.

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Come il film precedente del regista, anche questo è un thriller dai molteplici aspetti, soprattutto nel comportamento e nel pensiero di ognuno. Nessuno è limpido, nessuno è apparentemente affidabile. Il doppio di questa volta è nella duplice vita di ognuno dei quattro. L’ingordigia possessiva del ricco collezionista, un sorprendente e mefistofelico Mick Jagger, convince James – con il compenso di rilanciarlo nella professione - a sottrarre una tela del pittore suo ospite facendo distruggere tutte le altre, affinché quell’unica acquisti un valore inestimabile. Ha un certo che di satanico il modo di porsi di Cassidy: le rughe del viso, il sorriso permanente mentre spiega il suo diabolico piano, l’apparire e lo scomparire improvvisamente, la fermezza e la volontà di attuare lo schema che ha immaginato, tutto lo fa diventare un personaggio che incute rispetto e timore. Egli conosce benissimo il passato turbolento (un reato di appropriazione indebita) e poco limpido del critico e sa perfettamente le sue tribolazioni economiche, punto debole di James, il quale vede in questa strana situazione l’occasione per sistemare le sue finanze disastrate.

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La trama viaggia sempre in bilico, continuamente sul filo del rasoio, principalmente per il rapporto tra il critico e la donna, ora in armonia (sessuale) ora spigoloso, con qualche battibecco causato dalla scarsa fiducia che lei avverte, nonostante tutto, verso l’altro. Nel piano previsto dal collezionista si insinua quello personale di James che non accetta che nulla e nessuno possa ostacolarlo, immaginando che finalmente potrà consolidare la sua fama di critico internazionale. La voglia di riuscire, aiutata dalle continue pasticche che lo stimolano a stare sempre all’erta, fa sì che non provi remore o pentimenti e quando la situazione si complica e gli scappa di mano non esita a togliere di mezzo ogni inconveniente che lo possa ostacolare. Persino il finale ci lascia sorpresi e in sospeso. Se nel film precedente Giuseppe Capotondi ci aveva lasciati in piena suspense fino alla fine, qui le giravolte del filo conduttore sono tante e il colpo finale è in linea con tutta la trama.

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Il titolo originale (L’eresia dell’arancio bruciato) è molto più adeguato di quello italiano (e non è una novità) innanzitutto perché è più misterioso e solo il prefinale ne rivela il significato e ci accompagna sino ai titoli di coda. È l’adattamento del romanzo (Il quadro eretico) di Charles Willeford e la scrittura dello sceneggiatore Scott B. Smith è molto performante. Lo avevamo conosciuto e apprezzato nel riuscito Soldi sporchi, di Sam Raimi e anche qui si dimostra un autore molto interessante. Il regista italiano si dimostra ben all’altezza e realizza un film che se anche stenta all’inizio a decollare – molti dialoghi e poca azione - poi assume le sembianze del thriller intrigante, che cresce col passare dei minuti. Viste le due prove di regia dispiace constatare che abbia girato solo questi film: senza dubbio ha idee chiare, una sua filosofia di cinema e sa firmare opere abbastanza differenti dai soliti gialli. Inevitabile notare che l’attore protagonista, Claes Bang, è lo stesso di un film basato sull’arte (anche se solo come pretesto), il sorprendente e affascinante The Square (recensione). Questo accostamento c’entra forse poco ma non si può fare a meno di pensarci. Lui è bravo ma mi ha dato l’impressione di essere un po’ “ingessato” per questo ruolo (un po’ è il suo stile, in fondo), mentre Mick Jagger è sicuramente a suo agio con un personaggio così particolare e demoniaco, sobillatore e inscalfibile: gli va a pennello. Inutile dire che Donald Sutherland stupisca ancora una volta per la sua adattabilità a mille personaggi della sua lunga carriera. Un maestro di recitazione che fa sempre piacere rincontrare sullo schermo. La migliore performance è indubbiamente quella di Elizabeth Debicki, che dimostra come sia diventata pian piano un’attrice completa. Ha molto da lavorare ancora, non c’è dubbio, ma è già bravissima. Tempi perfetti, gesti e sguardi distillati con enorme classe, stile innato nei movimenti e Giuseppe Capotondi la premia inquadrandola nei momenti giusti, anche soffermandosi in alcuni frangenti, facendo risaltare ancor di più le sue doti fisiche e interpretative.

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Il film è stato presentato in anteprima alla 76ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia il 7 settembre 2019 come film di chiusura e non è mai andato in sala. Il giudizio complessivo è certamente più che sufficiente. Aspetto con ansia, speriamo presto, un altro lavoro del regista, perché merita attenzione.


 
 
 

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