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Lacci (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 3 giu 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 19 giu 2024

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Lacci

Italia/Francia 2020 dramma 1h40’


Regia: Daniele Luchetti

Soggetto: Domenico Starnone (romanzo)

Sceneggiatura: Domenico Starnone, Francesco Piccolo, Daniele Luchetti

Fotografia: Ivan Casalgrandi

Montaggio: Daniele Luchetti, Aël Dallier Vega

Scenografia: Andrea Castorina

Costumi: Massimo Cantini Parrini


Alba Rohrwacher: Vanda

Luigi Lo Cascio: Aldo

Laura Morante: Vanda anziana

Silvio Orlando: Aldo anziano

Giovanna Mezzogiorno: Anna adulta

Adriano Giannini: Sandro

Linda Caridi: Lidia

Francesca De Sapio: Isabella


TRAMA: Nella Napoli dei primi anni Ottanta, Aldo e Vanda vanno incontro a una separazione dopo che lui rivela il suo tradimento. I due figli piccoli vengono divisi tra i due genitori in un turbine di risentimenti. I legami che tengono insieme le persone sono però inevitabili, anche senza amore. Trent'anni dopo, Aldo e Vanda sono ancora sposati.


Voto 7

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Lacci, legami, fili che ci tengono uniti, a volte troppo – quando vogliamo sentirci più liberi -, a volte avvertiamo che il nodo si sta sciogliendo e abbiamo bisogno di tirare i capi per stringerlo. Legacci, fili spinati, funi che rinsaldano nei momenti difficili. L’amore è il sentimento più rigido che ritroviamo in cima ai due poli, è quello più arduo da manovrare, specialmente quando ci lasciamo trasportare eccessivamente da quell’impulso che parte da dentro e annebbia la mente. Istintivamente, ci porta a rompere un’armonia che pareva salda e che invece era fragile, così come in fondo lo siamo tutti. Si può imparare ad annodarli, anche in modo sicuro, affinché non si allentino, ma si sa, basta tirare bene un capo e il nodo non c’è più.

Vanda e Aldo sono una coppia sposata con due figli piccoli, Anna e Sandro, quando all’improvviso, un po’ per debolezza, un po’ per un momento di sincerità, l’uomo confida alla moglie, a cui continua a voler bene – almeno così afferma – che ha avuto un’avventura con un’altra, una collega di lavoro, presso RadioRai dove ha una piccola rubrica letteraria al mattino. La rappresenta come un evento casuale, una cosa che succede (non si dice sempre così?), ma Vanda, sorpresa e spaventata (“Noi abbiamo fatto un patto quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme, te lo ricordi o no che abbiamo fatto un patto?”), la prende malissimo e lo caccia di casa immediatamente, lasciando inebetiti i due bambini che ascoltavano atterriti nell’altra stanza. Immediatamente la mente va alle vere vittime dei litigi coniugali: i figli, soprattutto quando hanno sempre ritenuto il legame che unisce i genitori un rapporto inossidabile, senza guasti, come un giocattolo infrangibile, punti fissi di riferimento. Siamo negli anni ’80 e ben trent’anni dopo ritroviamo Vanda e Aldo ancora insieme, dopo tanti compromessi, andirivieni, weekend passati con i figli, i ritorni dall’amante, un amore sfilacciato, un altro rafforzato, e gli inevitabili litigi nella nuova coppia. Il ritorno, i ricordi che non si cancellano, un rapporto che si fa abitudine. Lo sconquasso domestico psicologico diviene materiale quando i due, ormai avanti negli anni, rientrano a casa trovandola semidistrutta forse da ladri che cercavano chissà che. Ed invece è un giallo, risolto solo nella lunga sequenza finale, che vede Anna e Sandro protagonisti al posto dei loro genitori.

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Il romanzo omonimo di Domenico Starnone, qui presente anche come sceneggiatore (elemento importante per mantenere l’essenza del racconto) assieme al regista Daniele Luchetti e il validissimo Francesco Piccolo, abbraccia, come il film, tre decenni e due generazioni, quella dei genitori e quella dei figli ormai cresciuti. Nella prima parte assistiamo alle tribolazioni dei due protagonisti, Vanda che oscilla tra la rabbia vendicativa e la voglia di riformare la famiglia, perché per lei quel legame è da ritenersi un impegno, per sempre, e Aldo combattuto tra il senso di restrizione che provava stando in casa e l’attrazione per la bella collega Lidia; nella seconda ritroviamo i due divenuti maturi e quieti, pur se agitati nei ricordi, e i due figli grandi che parlano ancora di ciò che hanno vissuto da bambini e che li ha segnati parecchio, che tornano nella casa dei genitori per fare progetti per il loro futuro e rinvangano le difficoltà passate negli anni in cui il papà uscì dalla porta, con le instabilità psicologiche della mamma e le follie compiute per far tornare il marito.

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Un bel film fatto di parole, di dialoghi intensi, di ripicche e di voglia di evasione. Ma anche di responsabilità non assunte, di decisioni lasciate a metà, di assenza di ammissioni, di minimizzare il cambiamento, che invece è stato profondo. Si parla tanto, è un film verboso, eppure come afferma il maturo Aldo: “Per stare assieme bisogna parlare poco, l’indispensabile. Tacere sì, tanto.”. Forse è vero, forse per amarsi non bisogna mai dirsi tutto? Il bello è che questa pacata asserzione lui la fa dopo l’unica scena in cui scatena la sua rabbia, perché lui non si è mai sfogato nella vita, al contrario di lei che non nasconde la voglia che ha sempre avuto, quella di poter dire “adesso me ne vado via io”. È la crisi di una coppia invecchiata ma che parte da lontano nel tempo. I personaggi sono molto belli ma senza tutti questi dialoghi ben scritti e poi ben descritti da una regia puntuale non sarebbero risultati tali. Ci son voluti tre coppie di attori, tutti in forma eccellente. Che Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio siano tra i migliori attori nostrani non ci sono dubbi e ci sono occasioni in cui fanno faville e questo film ne è la prova, in particolar modo il secondo, che spesso non è valutato per il suo reale talento. Trasformati in una coppia matura, ecco il sempre affidabile Silvio Orlando che si esibisce nel personaggio tra i più tipici del suo repertorio, sorprendente nella scena della arrabbiatura (finalmente urla!) e persino Laura Morante pare al di sopra degli ultimi mediocri ruoli che le sono stati affidati. Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno fanno la parte dei leoni nella zona finale del film, quella che si accende di giallo per spiegare la sorpresa che i coniugi si ritrovano alla fine di una breve vacanza: un tocco di imprevedibilità che dà una scossa elettrica prima dei titoli di coda. Menzione doverosa a parte va fatta per una delle attrici emergenti del cinema italiano: Linda Caridi. Più la vedo più la apprezzo, soprattutto adesso che sta maturando come donna e come artista, acquisendo sicurezza nella recitazione e nella presenza fisica. Ed in ultimo un piccolo complimento alla bestia del cast, o meglio a Labes, il gatto di casa, chiamato così (con tendenza fuorviante da parte del padrone di casa che va e viene come lui) come abbreviazione, ma che dai vocabolari di latino che girano in casa risulta col significato di caduta, crollo, frana, rovina, danno, sventura, disastro, disonore, ecc.: sembra l’allegoria di ciò che la famiglia ha dovuto sopportare per la confessione di un tradimento coniugale. Ma l’ultimo vero accenno al non protagonista ma sempre presente va fatto al cubo di legno che attraversa quei tre decenni: la scatola misteriosa che nessuno (a sentire Aldo) riuscirebbe ad aprire e che invece viene schiusa (slacciata?), estremo scrigno di segreti intimi mai svelati.

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Due coppie, sei interpreti in forma, una sceneggiatura eccellente, un regista che aveva bene in mente quello di cui voleva parlarci: come ci condiziona l’amore in ogni nostra manifestazione vitale, dai rapporti interpersonali a quelli più intimi, dalle scelte esistenziali a quelle quotidiane, di sopravvivenza psicologica. Che tante volte facciamo per pigrizia o per egoistica convenienza. Così si esprime il bravo Daniele Luchetti: “Quando ho letto per la prima volta il romanzo di Domenico Starnone ho trovato domande che mi riguardavano e personaggi nei quali era difficile non identificarsi. Attraverso una storia familiare che dura trent'anni, si finisce di leggere il libro con una domanda: hai permesso alla tua vita di farsi governare dall'amore? È un film sulle forze segrete che ci legano. Non è solo l'amore ad unire le persone, ma anche ciò che resta quando l'amore non c'è più. Si può restare assieme per rancore, nella vergogna, nel disonore, nel folle tentativo di tener fede alla parola data. Racconta i danni che l'amore causa quando ci fa improvvisamente cambiare strada e quelli – peggiori – che produce quando smette di accompagnarci.” I primissimi piani sui visi dei personaggi, infatti, mirano proprio a studiarli e a mostrarceli, per far trapelare i sentimenti anche repressi, che si vogliono nascondere e che invece sono lì, perfettamente descritti nei loro occhi, nelle pieghe della bocca, nei gesti più innocenti.

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Forse perché, semplicemente, la nostra vita è fatta di lacci che ci tengono stretti, a volte anche troppo. Ed è allora che, non ammettendolo, cerchiamo di sciogliere i nodi che ci tengono legati, perché, come succede ad Aldo, ci si sente in una prigione. E sono lacci anche i richiami che il protagonista sente verso i propri figli, da cui non riesce a distaccarsi e di conseguenza a tagliare i ponti con la famiglia. Un giallo sui sentimenti, una storia di lealtà ed infedeltà, di rancore e vergogna. Un tradimento, il dolore, una scatola segreta, la casa devastata, un gatto, la voce degli innamorati e quella dei disamorati.


Riconoscimenti

2020 – Festival di Venezia

Premio RB Casting a Linda Caridi

2021 - David di Donatello

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

Candidatura per la migliore attrice protagonista ad Alba Rohrwacher

Candidatura per il miglior attore non protagonista a Silvio Orlando

2021 - Globo d’oro

Miglior regia a Daniele Luchetti

2021 - Nastro d’argento

Candidatura per la migliore attrice protagonista ad Alba Rohrwacher

Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Linda Caridi

Candidatura per il migliore sonoro



 
 
 

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