Lasciami andare (2020)
- michemar

- 21 mar 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Lasciami andare
Italia 2020 dramma 1h38’
Regia: Stefano Mordini
Soggetto: Christopher Coake (romanzo Sei tornato)
Sceneggiatura: Stefano Mordini, Francesca Marciano, Luca Infascelli
Fotografia: Luigi Martinucci
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche: Fabio Barovero
Scenografia: Luca Merlini
Costumi: Marija Tosic
Stefano Accorsi: Marco
Valeria Golino: Perla Gallo
Maya Sansa: Clara
Serena Rossi: Anita
Antonia Truppo: Gloria
Lino Musella: Simone
Elio De Capitani: Carlo
TRAMA: Marco e Anita sono una coppia che aspetta felicemente un bambino. Marco è estremamente felice della nuova nascita, soprattutto dopo la morte del suo primogenito avuto con la prima moglie. I due dopo aver divorziato hanno abbandonato la casa in cui vivevano, ma un giorno Marco riceve la telefonata della nuova proprietaria dell'appartamento che dice di sentire la presenza di un bambino in casa.
Voto 6

Il lutto dovuto alla perdita di un caro è sempre duro, ma se questo riguarda un figlio, un piccolo figlio, allora è ancora più duro, diventa insopportabile per qualunque genitore. È quello che è successo a Marco e Clara quando il loro piccolo Leo è caduto giù dalla ringhiera della scalinata che campeggia nella loro bella e antica dimora che si affaccia sul Canal Grande di Venezia. Evento tragico che ha portato alla separazione della coppia. E adesso che la nuova moglie Anita aspetta un figlio sembra per lui un magico miracolo per girare pagina e per riempire un vuoto che lo addolora ogni istante di ogni giorno.

Marco è un ingegnere che restaura le vecchie bellissime case della città lagunare, mentre Anita canta la sera in piccoli locali. Il futuro potrebbe prospettarsi migliore dei nefasti ricordi, il lieto evento darà sicuramente una svolta all’uomo, non per dimenticare ma almeno per lenire l’angoscia del dolore che lo sovrasta da quel tristissimo giorno. Anche Clara è ovviamente in pena, ma l’elaborazione del lutto è più difficile per lui, come se il penoso accadimento lo abbia toccato più ferocemente della ex moglie, come se, è questo che si riesce a percepire vedendolo aggirarsi sui luoghi di lavoro e nei colloqui con le due donne, ne sentisse la responsabilità. Eppure non ne parla mai, non spiega più di tanto: chiuso in se stesso, porta il macigno nell’animo e sulle spalle alla pari di un’enorme zavorra che non gli concede tregua e non lo fa vivere. Quando sembra quindi che si prospetti il cambiamento che possa dare nuovo slancio alla sua vita e a quella di Anita, si presenta una misteriosa donna, Perla Gallo, la nuova proprietaria della casa in cui è avvenuta la disgrazia. Marco è contrariato, è come se avvertisse una istintiva repulsione verso questa sconosciuta che importuna e che insiste per parlargli. In quella casa si sta verificando uno strano ed inquietante fenomeno: il figlioletto che dorme nella cameretta non riesce più a dormire e a stare tranquillo perché “avverte” la presenza di un bambino, che rivuole la sua stanza e l’orsacchiotto a cui teneva tanto.

È possibile che lo spirito di un essere umano, pur se piccolo, possa rimanere nell’aria, nella casa in cui abitava, in attesa di essere contattato, accontentato, di tornare in relazione con i genitori? Clara è impaziente di andare a fondo, è eccitata all’idea di controllare, magari rivedere il suo Leo; Marco è terrorizzato e respinge ogni ipotesi trovando assurda la narrazione della sconosciuta, ed essendo pragmatico e abituato alla fisicità della materia, cerca conforto e spiegazioni prima dal padre, professore di filosofia, poi da uno scienziato di fisica quantistica. Potrebbe essere almeno l’appiglio del pensiero e della scienza a dargli l’opportunità di credere per lo meno in parte alla sorprendente rivelazione della nuova padrona della vecchia casa. Diverse cose succederanno, continuamente a cavallo tra la metafisica e l’extra sensorialità di un veggente, tra la voglia di credere che tutto ciò possa essere possibile e la razionalità che fa rifiutare ogni congettura non dimostrabile. Nella identica maniera che Marco fa la spola tra le due donne, facendo reagire, senza le dovute spiegazioni chiare, la moglie, la quale non è al corrente perché il marito si assenti così tanto e con scuse poco plausibili.

Stefano Mordini (Il testimone invisibile [leggi], Pericle il nero, Provincia meccanica) mescola in maniera un po’ azzardata l’elaborazione del lutto - argomento molto trattato dal cinema – con il sovrannaturale e aggiungendo il senso del thriller per via di un personaggio (l’imprenditrice furbastra e finanziariamente fallita) che scombussola lo status quo che è già di per sé instabile. Quando il protagonista si decide ad andare a fondo alla sua maniera, sebbene con qualche timore, scopre qualcosa che lo renderà ancora meno sicuro di sé e anche in fondo una verità che forse si attendeva. Poi, per dare maggiormente tono al mistery che caratterizza il film sin dal titolo, il regista accoda un finale che spiazza di nuovo: “Dammi le mani” dice il medium nella scena finale e Marco gliele dà, distruggendo con un gesto le deduzioni a cui era arrivato praticamente solo qualche ora prima.

Gli attori appaiono assolutamente in parte, a cominciare proprio da quello Stefano Accorsi che il regista aveva saputo dirigere nel suo film d’esordio: ancora una volta dosato (non urlante come lo hanno costretto altri), misurato e ottimamente connaturato all’uomo del dolore e dei dubbi. Bravo. Solo elogi per Maya Sansa: ogni volta che la vedo non capisco perché trova pochi film in Italia. Possibile che solo all’estero la cerchino così costantemente? Lei è sempre superlativa, come in questa occasione ma da noi va solo col contagocce. Serena Rossi, recitando come sa fare, ha anche occasione di far mostra delle sue conosciute qualità di cantante, mentre Valeria Golino si sta specializzando in ruoli che stanno solo un passo dietro ai protagonisti ma pesando notevolmente sull’evoluzione della trama, proprio come in questo film.

Nell’insieme pare davvero alla fine che qualcosa di indefinito manchi o forse è a causa dell’incertezza delle conclusioni che Mordini lascia appese nel finale che si resta un po’ interdetti, ma il mio giudizio non è negativo e la sufficienza va sicuramente aggiudicata, sia per una regia adatta agli attori, sia per la buonissima interpretazione di quegli interpreti, sia per la magia che Venezia (bella come una bella protagonista) riesce a dare a quasi tutti i film che ivi si sviluppano. Come dice lo stesso regista, a proposito della meravigliosa città: “Ci sono delle case a Venezia dove il sole, passando attraverso delle fessure, trattiene l'immagine di ciò che incontra e lo riflette sui muri. Il processo è quello della camera oscura. In una di queste case Marco e Clara hanno vissuto e in quell'immagine di un canale d’acqua, attraversato da barche in legno e qualche gondola, si riflette qualcosa di più di un semplice paesaggio. Nelle pieghe della luce, guardando più attentamente, si può scoprire altro. È da lì che la macchina da presa si è mossa alla ricerca del piccolo Leo, per aiutarlo ad andare.” L’ambientazione che viene facile, verrebbe da dire, è anche premiata dalla bellissima fotografia di Luigi Martinucci: colore e foschia che fanno trasparire l’umidità dalle calli e dalle antiche mura delle case storiche. Venezia si respira e questo è merito della regia e del suo direttore della fotografia. Credo che in molti siano rimasti perplessi più per la trama che per l’opera in sé e ciò abbia influenzato il giudizio finale.
Thriller mentale, è un film che nonostante le critiche merita comunque attenzione.






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