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Lawless (2012)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 2 ott 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 11 nov 2024

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Lawless

USA 2012 noir 1h56'


Regia: John Hillcoat

Soggetto: Matt Bondurant

Sceneggiatura: Nick Cave

Fotografia: Benoît Delhomme

Montaggio: Dylan Tichenor

Musiche: Nick Cave, Warren Ellis

Scenografia: Gershon Ginsburg

Costumi: Margot Wilson


Shia LaBeouf: Jack Bondurant

Tom Hardy: Forrest Bondurant

Jason Clarke: Howard Bondurant

Guy Pearce: Charley Rakes

Jessica Chastain: Maggie Beauford

Mia Wasikowska: Bertha Minnix

Dane DeHaan: Cricket Pate

Chris McGarry: Danny

Tim Tolin: Mason Wardell

Gary Oldman: Floyd Banner


TRAMA: Nella Virginia dei primi anni del proibizionismo i tre fratelli Bondurant distillano e vendono clandestinamente alcolici, prima fuori città, senza immischiarsi con i gangster che si ammazzano tra loro per le strade, poi alzando il rischio e il tenore degli affari, quando anche il più giovane dei tre, Jack, trova il coraggio che inizialmente sembrava non avere. L'arrivo da Chicago di Charley Rakes, rappresentante della legge corrotto e feroce, mette però i fratelli Bondurant sulla strada di una guerra inevitabile e all'ultimo sangue.


Voto 6,5


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Quando nel 1920 il governo degli Stati Uniti decretò, tramite il XVIII emendamento e il Volstead Act, il bando sulla fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcool, quindi il proibizionismo, e una delle zone più malfamate dell’intera nazione diventò la Contea di Franklin, in Virginia, zona in cui le distillerie fuorilegge, quindi lawless, nascevano come funghi nel fitto bosco che predomina la regione. Come spiega la voce narrante che dà inizio e conclude il film, quella del giovane Jack Bondurant, al tramonto il paesaggio pareva l’albero di un maledetto Natale, luci sparse nel panorama di distillerie clandestine che lavoravano non solo il grano ma anche rape, zucche, more, farina di mai, corteccia, qualunque cosa, pur di poter estrarre l’alcol necessario per produrre whisky che era “come un coltello: prima buca e poi brucia fino in fondo”. Sono in tantissimi quelli che lo producono e bevono praticamente tutti, compreso lo sceriffo e i poliziotti, compiacenti e ben informati, che comprano casse e casse di barattoli pieni di quel liquido trasparente che, in quella profonda provincia, è pressocché l’unico passatempo. Nello stesso tempo la rivalità è forte come anche le alleanze, ma ciò che regna, assieme alla produzione, è la violenza tra i criminali e di conseguenza il sangue abbondante che bagna ogni angolo della contea.


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La famiglia Bondurant è composta da tre fratelli, che più diversi non possono essere, ma il legame che li unisce è fortissimo e gira la leggenda, più volte enunciata da Jack, che siano immortali. Come dice sempre ForrestNiente può ucciderci, non moriremo mai”. Il fratello maggiore Howard aveva visto durante la Grande Guerra il suo battaglione annegare in mare e solo lui era sopravvissuto. Per questo beveva e picchiava con tanta furia. Forrest, il secondo, era scampato all’influenza “spagnola” che aveva ucciso quasi l’intero stato, compreso madre e padre e lui era riuscito a sconfiggerla. Era difficile ucciderli. Erano tempi pericolosi e loro erano moon shiners, contrabbandieri d’alcol, bootleggers, gestendo legalmente solo una stazione di servizio, la Blackwater Station. Se Howard era quello che picchiava più sodo, Forrest era il vero duro di casa, quello che parlava poco ma fulminava con lo sguardo e quando tirava fuori il tirapugni erano dolori per chiunque. Jack, il piccolo, era tenuto in disparte perché troppo giovane e come tutti i giovani scalpitava non solo per poter dare il suo contributo ma anche per atteggiarsi da adulto e maneggiare danaro da spendere. La convivenza delle forze dell’ordine non creava fastidi ma le guerre tra bande erano pesanti e i cadaveri non si contavano. I gangsters come i mitici Al Capone e Tommy Maloy, spiega sempre Jack nell’introduzione, “raccoglievano soldi dalle strade come cicche” e il prepotente della zona era Floyd Banner, che, come un cane rabbioso, arrivava e prendeva il controllo. Le vendette erano all’ordine del giorno, rallentate la sera solo nei locali dove quell’alcol e il fumo di sigari e sigarette riempivano l’aria assieme alla musica. Il film è pieno di note bellissime, con i ritmi del country e del blues, contaminato dai primordi del R&B e dalle armonie del bluegrass: una meraviglia. Ma ciò che contava davvero, per i bianchi ovviamente, era il contrabbando dell’alcol.


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Tutto procedeva senza eccessivi scossoni, fino a quando, intorno al 1930, arriva Charley Rakes, il nuovo procuratore distrettuale, partito da Chicago appositamente per bloccare questo stato di cose e porre fine alla distillazione fuorilegge: e sarà guerra totale, scorrerà ancora più sangue, a fiumi. Perché quel tizio elegante, impomatato e profumato sino al punto di essere visto come un gay, è ferocissimo e intenzionato ad arrivare in fondo. Truce e caratterialmente volgare, pretende una tangente sugli incassi degli agricoltori a cui si ribellano solo i Bondurant. Rakes mette gli occhi anche su Maggie, la bella ragazza che è appena arrivata anch’essa da Chicago dove faceva la ballerina, qui assunta come cameriera nel locale della stazione dei tre fratelli. Contaminando il genere del film, a cavallo del western e il gangster movie, John Hillcoat dirige in pratica un crime-drama che è anche un racconto di formazione per la crescita soprattutto mentale del giovane Jack, che prima si invaghisce della bella ragazza figlia di un pastore dei Fratelli Battisti tedeschi, Bertha, poi impianta una distilleria tutta sua assieme al fraterno amico Cricket. In pratica si mette in proprio, arricchendosi in breve tempo e sognando grandi progetti. Ma Rakes è spietato e il dramma incombe.


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L’opera di John Hillcoat è costruita (forse fin troppo) alla maniera classica, come i vecchi noir in bianco e nero, dove dominano i duri dal cuore di pietra e le donne fanno da corollario, citando a piene mani Roger Corman e Robert Aldrich. La sceneggiatura è scritta da un musicista notissimo, Nick Cave, che si occupa naturalmente anche del commento musicale, già notevole con le canzoni su citate che culminano sui titoli di coda con la voce e il country di Willie Nelson. Nel colore di una fotografia spesso giallo sabbia e del verde notturno, l’ambientazione creata è proprio quella del western, dove i personaggi si muovono consci di non sapere se termineranno la giornata nel loro letto: solo i Bondurant paiono immortali. Se il personaggio del procuratore distrettuale Rakes è un po’ troppo colorato e macchiettistico, povero irriconoscibile Guy Pierce, Jason Clarke se la cava sufficientemente nei panni di Howard Bondurant, mentre il fisico robusto premia il violento Forrest di Tom Hardy, ruolo che gli calza a pennello, caratterizzandolo alla sua maniera: è lui che prende le decisioni più importanti, è lui quello che si erge da baluardo per difendere gli affari e la famiglia, è lui il più rispettato e temuto nel giro. Borbottii, sguardi traversi, timidezza imbarazzata, braccia e pugni come clave. Chi merita un apprezzamento è di certo Shia LaBeouf: il suo Jack è bullo e generoso come spesso gli capita nei film che lo vedono protagonista, ma anche avventato, poco riflessivo, passionale. La sua recitazione pare sempre matura, che però il suo doppiatore manda alla malora (in questo film capita a tutti gli attori), assumendo in ogni scena il tono giusto, l’espressione di chi vuole godere ogni attimo della vita e, quando si rende conto dell’amore corrisposto dalla sua bella, il suo sorriso si illumina come una giovane felice. È un attore che ho saputo apprezzare, dopo un lungo periodo di antipatia, frequentando i suoi film e i suoi personaggi sempre difficili, come, purtroppo, è stata sempre anche la sua vita. Mai lucente come stavolta è stato il viso di Mia Wasikowska, sorridente e solare, mentre il personaggio di Jessica Chastain è adattissimo alle sue qualità drammatiche che la contraddistinguono. Un cast di tutto rispetto, compreso Gary Oldman, il temibile e senza scrupoli Floyd Banner.


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Di sicuro, il film, in mano ad un regista più innovativo di John Hillcoat, reduce dal successo di tre anni prima con The Road, ne avrebbe guadagnato in variazione al tema scontato, tanto che il finale, inevitabile come una scadenza, arriva con la prevedibile battaglia finale cruenta e pirotecnica, tra centinaia di proiettili che volano prima nei due sensi classici, poi tutti diretti verso l’unico personaggio odioso di tutto il film. Soluzione forse troppo di comodo per una bella e feroce favola, abitata da così tanti cattivi che il meno violento pare l’eroe buono in quel mondo difficile da vivere. Invece il post-finale finalmente fornisce un attimo di tregua e di pace, con una conclusione che ha il sapore della beffa: se i Bondurant sono immortali, la morte deve sopraggiungere nella maniera più anomala e assurda possibile. Con una avvertenza: i titoli di coda (quante volte riservano belle sorprese? tante!) non vanno saltati, perché arriva, appunto, Willie Nelson e la sua limpida voce country, per chiudere il film che è tratto dal libro scritto da un discendente dei fratelli, Matt, autore di La contea più fradicia del mondo, a sua volta ispirato alla storia vera del nonno e dei prozii. Che sono esistiti veramente e questa è la loro reale e avventurosa storia.



 
 
 

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