Le belve (2010)
- michemar

- 8 feb 2024
- Tempo di lettura: 4 min

Le belve
(Savages) USA 2010 azione 2h11'
Regia: Oliver Stone
Soggetto: Don Winslow (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Don Winslow, Shane Salerno, Oliver Stone
Fotografia: Daniel Mindel
Montaggio: Joe Hutshing, Stuart Levy, Alex Marquez
Musiche: Adam Peters
Scenografia: Tomas Voth
Costumi: Cindy Evans
Taylor Kitsch: Chon
Aaron Taylor-Johnson: Ben
Blake Lively: Ophelia “O” Sage
Salma Hayek: Elena Sanchez
Benicio del Toro: Miguel “Lado” Arroyo
John Travolta: Dennis
Demián Bichir: Alex
Joaquin Cosio: El Azul
Emile Hirsch: Spin
Sandra Echeverría: Magdalena
TRAMA: È stato Chon, ex marine, a riportare i primi semi dall’Afghanistan, poi è venuto Ben, botanico e buddista, che ne ha fatto un prodotto sopraffino, buono per far dollari così come per alleviare il dolore dei malati terminali. A loro si aggiunge la bella Ophelia. La vita scorre dunque idilliaca per il fortunato trio e i loro amici, finché un brutale cartello di trafficanti messicani non decide di fare affari con loro, che lo vogliano o meno.
Voto 6

È, Savages (titolo che definisce meglio), un delirio criminale alimentato dalla droga che non apre molti nuovi orizzonti nel sottogenere ma offre un intruglio, tra l’evanescente e il sostanzioso, di violenza, eroismo e amoralità che si lascia seguire fino alla fine. Il regista è Oliver Stone, un cineasta spesso associato a materiale controverso, tra alti e bassi, ma sempre clamoroso, e questo rappresenta un film diretto e stranamente non politico, che sembra più vicino a ciò che ci aspettiamo da altri autori come Michael Mann, più che da lui. È inutile cercare secondi fini: l’obiettivo del regista è quello di portare sullo schermo il romanzo di Don Winslow e lo fa in modo efficace. La sceneggiatura, che vede anche lo stesso scrittore, fa il suo dovere soprattutto nei colpi di scena, che il regista piazza con accortezza nei momenti giusti, tenendo alta la tensione e, aumentando il ritmo, raggiunge attimi da brivido thriller. Purtroppo non sono rari anche i punti morti, le cadute di attenzione, mentre Stone non disdegna costruire una introduzione sul modello dei film di Martin Scorsese. Film scorrevole e a tratti contorto.
Chon (Taylor Kitsch) e Ben (Aaron Johnson) sono spacciatori assortiti in maniera anomala. Chon, un veterano di diverse missioni in Afghanistan, è un freddo assassino che non si fa scrupoli a sparare una pallottola in testa a qualcuno che lo inganna; Ben, all’opposto, è un pacifista che segue gli insegnamenti buddisti e usa la sua parte dei profitti per finanziare imprese filantropiche all’estero. Possibile? Così sembra. E non finisce qui: entrambi sono innamorati di Ophelia (Blake Lively), detta “O”, e lei è innamorata di loro. Il trio convive in uno stato di beatitudine domestica non convenzionale, dove il sesso a tre è all’ordine del giorno e tutto avviene attraverso una foschia di fumo di marijuana. Alè! Perché Ben e Chon, che, come si intuisce, sono due amici per la pelle, condividono tutto, dall’amore per la bella all’attività di coltivatori e spacciatori della miglior erba della California del Sud. Questo il quadro di partenza. Poi viene il resto.
Potrebbe filare tutto liscio, data anche una certa amicizia con un agente che li protegge e li informa. Le cose si complicano – e parecchio – quando il marchio dei due, dotato della buona qualità della “merce” e per questo molto richiesta, attira l’attenzione di un cartello messicano, guidato dalla signora del crimine Elena Sanchez (Salma Hayek) che decide di intervenire energicamente e pretende di “collaborare” con la ditta. A questo scopo manda il suo avvocato, Alex (Demián Bichir), per trattare. Ben e Chon, un po’ colti di sorpresa, sono indecisi e anche non concordi sul fatto che la partnership sia una buona idea. Dopo essersi consultati con un agente corrotto della DEA, Dennis (John Travolta), decidono di rifiutare l’offerta. Non volendo lasciarsi sfuggire l’occasione e anche arrabbiata per lo sgarbo, Elena sguinzaglia i suoi truci uomini. Il primo e più temibile è lo psicopatico Miguel Arroyo detto Lado (e chi se non Benicio del Toro?) che ha il compito di spaventare i due rapendo Ofelia. Alè! Adesso si comincia sul serio.
Sprecato cercare retroscena o contenuti filosofici o esistenziali: qui si tratta di azione e manovalanza. Per questo Oliver Stone punta sui contenuti selvaggi, da belve, offrendo cattivi dal cuore nero, violenza senza remore e il brivido di non essere sicuri di come le cose andranno a finire. L’importante è che il pre e il finale siano densi, coloriti e sanguigni, con qualche sorpresa che infiamma la platea.
Il nostro autore, si sa, non ama storie facili e ordinarie e va sempre a scavare dove l’individuo si trova in difficoltà in situazioni più grandi di lui. Siamo addirittura, se è possibile dire, alla frontiera della frontiera e nessun personaggio - tipico topic di Stone - è totalmente negativo come ognuno non è del tutto buono: qui è il caso di una coppia di giovanotti che si dividono tutto, affari e donna, e tirano avanti, ma quando possono o sono costretti a fare il salto, il terreno diventa impervio, perché non erano nati per le grosse difficoltà. Fin quando andava bene, ok, ma adesso diventa tutto difficile. È così che, belve, lo diventano un po' tutti.

Si inizia col bianco e nero, si continua col colore (acido) e si finisce col rosso, sangue. Tra il ritmo che si alza e i colori da Daniel Mindel, perfino esaltato dallo sfondo californiano soleggiato, la storia si complica e di parecchio.
Lui si chiama Oliver Stone e non va mai per il sottile e il cast è sicuramente importante. Questa è la pista, non spetta che ballare, per vedere come va a finire.
























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