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Le mani sulla città (1963)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 apr 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 7 set

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Le mani sulla città

Italia, Francia 1963 dramma 1h41’


Regia: Francesco Rosi

Sceneggiatura: Enzo Forcella, Raffaele La Capria, Enzo Provenzale, Francesco Rosi

Fotografia: Gianni Di Venanzo

Montaggio: Mario Serandrei

Musiche: Piero Piccioni

Scenografia: Sergio Canevari

Costumi: Marilù Carteny


Rod Steiger: Edoardo Nottola

Salvo Randone: De Angelis

Guido Alberti: Maglione

Carlo Fermariello: De Vita

Angelo D'Alessandro: Balsamo

Dany París: Dany

Marcello Cannavale: amico di Nottola

Dante Di Pinto: presidente della commissione d'inchiesta

Terenzio Cordova: commissario


TRAMA: Un consigliere comunale napoletano, Eduardo Nottola (militante di un partito di destra) e costruttore edile è costretto a ritirarsi dalla vita politica per il crollo di una palazzina da lui costruita. Cambiato partito (si sposta al centro) riesce a farsi eleggere di nuovo e ad avviare un gigantesco progetto speculativo.


Voto 8


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Scrivendo di Francesco Rosi è impossibile evitare di abbinare il suo nome al cinema di impegno civile, al cinema non come intrattenimento ma a quello che fotografa in maniera spietata ed ineccepibile la reale società italiana. Uno potrebbe obiettare che è un cinema di più di mezzo secolo fa, in una Italia che viveva gli anni del boom economico e che si ricostruiva dopo i disastri della guerra, ma se per ipotesi noi trasportassimo la trama di questo film ai giorni d’oggi potremmo tranquillamente pensare che tratti di avvenimenti attuali. Il film sarà pure datato ma cosa è cambiato in tutti questi anni? Malaffare, corruzione, criminalità organizzata oramai permeata nelle istituzioni: anzi, forse la situazione è pure peggiorata, perché, come si può ascoltare in un dialogo della ricca sceneggiatura, scritta da più mani, “Il denaro non è un'automobile, che la tieni ferma in un garage: è come un cavallo, deve mangiare tutti i giorni.”


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Dopo essersi messo in forte evidenza con i quattro film precedenti, soprattutto con i dovuti riconoscimenti ricevuti per I magliari e Salvatore Giuliano, quindi dopo due film che filmavano vicende lontane dalla sua terra di origine, il regista torna a Napoli e lo fa in maniera spietata, costruendo un soggetto narrativo che parla di quel momento storico in cui all’espansione demografica corrispondeva per forza a quella edilizia e quindi gli affari alzavano i giri del motore tra potere politico locale e imprenditoria. Se poi queste due figure coincidevano, non c’era più spazio per la legalità.


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Il personaggio principale (un magistrale Rod Steiger) è tale Edoardo Nottola, un abbiente e spregiudicato costruttore edile e consigliere comunale nelle file di un partito della destra al governo della città (chiari i riferimenti al partito di stampo monarchico dell’armatore Achille Lauro) che è direttamente interessato ed illustra ai suoi collaboratori il nuovo progetto di espansione edilizia voluto dalla giunta comunale che però è in netto contrasto con quanto già previsto dal piano regolatore. Nel frattempo, succede un fatto grave: i lavori dell'impresa di Nottola in un quartiere popolare provocano il crollo di un palazzo, in cui due persone muoiono e un bambino perde le gambe: tale incidente provoca le proteste del consigliere comunale DeVita che, a nome dei partiti d'opposizione, chiede l'istituzione di una commissione d'inchiesta che indaghi sulla speculazione edilizia in città. A quali conclusioni giungerà la commissione? Al nulla! È mai successo in Italia che le commissioni d’inchiesta – dai livelli comunale a quelli parlamentari – portino a risultati concreti? Mai. Oltretutto la solita soluzione è il cosiddetto cambio di casacca e tutto ricomincia.


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È impressionante notare come quelle sequenze ormai datate (siamo nel 1963) siano, seppur in maniera dei tempi, l’idea primordiale delle discussioni, dei litigi e delle schermaglie verbali che oggi chiamiamo talkshow, con l’immutato potere affabulatorio di certi personaggi, politici e non, che però hanno il preciso intento di convincere chi ascolta della giustezza di alcuni provvedimenti. Riunioni del consiglio comunale come tribune da fiction in cui vince sempre il magnetismo degli uomini di potere, le loro abilità oratorie e mistificatrici.


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Esemplare l’inizio del film, in cui Francesco Rosi fece costruire un’intera facciata di un palazzo per poi filmarne il crollo riprendendo da più punti di vista le reazioni di passanti inconsapevoli: le macerie, la macchina da presa per le strade, i passanti come protagonisti non professionisti. Un’apparente mistura tra documentario e film di finzione in una città di sole che si tinge di noir politico-sociale. Ma è anche un cinema lontano dalla retorica, che, senza schematismi facili e comodi, denuncia quello che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vuole vedere. O peggio ancora, risulta più comodo non vedere. Anzi, è la dimostrazione lampante di quanto la politica sia retorica, che è una sceneggiatura recitata a soggetto, da soggetti che hanno ben chiaro il traguardo da raggiungere.


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Lo so che la città sta là e da quella parte sta andando perché il piano regolatore così ha stabilito. Ma è proprio per questo, che noi da là, la dobbiamo fare arrivare qua.”


Leone d’Oro a Venezia 1963.




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Il Cinema secondo me,

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