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Salvatore Giuliano (1962)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 1 dic 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 3 giu 2023


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Salvatore Giuliano

Italia 1962 storico 2h3’


Regia: Francesco Rosi

Sceneggiatura: Francesco Rosi, Enzo Provenzale, Suso Cecchi D'Amico

Fotografia: Gianni Di Venanzo

Montaggio: Mario Serandrei

Musiche: Piero Piccioni

Scenografia: Sergio Canevari, Carlo Egidi

Costumi: Marilù Carteny


Salvo Randone: Presidente della Corte d'Assise di Viterbo

Frank Wolff: Gaspare Pisciotta

Pietro Cammarata: Salvatore Giuliano

Federico Zardi: avvocato di Pisciotta

Mario Lorito Fricano: poliziotto

Nando Cicero: bandito

Sennuccio Benelli: giornalista

Bruno Ukmar: spia

Carmelo Oliviero: Don Nitto Minasola


TRAMA: Salvatore Giuliano nel secondo dopoguerra forma un esercito separatista che vuole staccare la Sicilia dal resto dell'Italia. Tiene a lungo in scacco i carabinieri, semina il terrore sull'isola e si rende protagonista di molti fatti di sangue come la strage di Portella della Ginestra, quando spara sulla manifestazione dei lavoratori per la ricorrenza del Primo Maggio. Nel 1950 viene ucciso. Gaspare Pisciotta, ex-luogotenente di Giuliano, che lo ha denunciato, viene assassinato in carcere.


Voto 7,5

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Il nome di Salvatore Giuliano per i giovani forse non significa nulla, eppure ebbe una parte nella Storia dell’Italia del dopoguerra. Noto come il bandito Giuliano, o Bannera, o Re di Montelepre, detto Turiddu, ufficialmente è stato un brigante siciliano a capo di una banda armata che, coperto dalla EVIS, il braccio armato del Movimento Indipendentista Siciliano, fu attivo a partire dalla fine sella Seconda Guerra Mondiale e resta tutt’oggi legato tragicamente alla Strage Della Ginestra avvenuta il 1° maggio del 1947, eccidio perpetrato dalla sua banda che sparò contro la folla di inermi contadini riuniti per celebrare la Festa dei Lavoratori, provocando undici morti e numerosi feriti. Era cresciuto studiando quello che i tempi permettevano, aveva frequentato il prete del paese di Montelepre in provincia di Palermo, ma quando, durante l’occupazione tedesca, fu fermato da un posto di blocco dei carabinieri con il grano comprato al mercato nero ne ferì uno e ne uccise un altro. In seguito, braccato e avvistato, uccise ancora, iniziando così la sua carriera di criminale ricercato dallo Stato. Quello Stato che la Storia ha abbinato alla sua storia a causa dei rapporti che ebbero precisi scopi di alleanza strategica e politica, nell’eterna fosca connivenza tra il potere e la malavita siciliana. Argomento spinoso che puntualmente salta fuori in ogni occasione di stragi e uccisioni di politici o magistrati. Ma questa è un’altra faccenda.

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Il film inizia con un cadavere e con un altro si chiude. Il primo è quello di Salvatore Giuliano, ucciso dalle forze dell’ordine e descritto, come da burocratico linguaggio di polizia, “di sesso maschile dell’apparente età di anni 30, che giace in posizione prona, con la gamba sinistra distesa e la destra leggermente piegata in modo da formare quasi un angolo retto”. Per Francesco Rosi il suo film è seccamente “Un discorso sul cadavere di un giovane bandito” e quando lo inquadra vengono in mente somiglianze alla celebre foto di Che Guevara o del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, e in seguito, con la mamma in lacrime che lo abbraccia, alla Pietà. Era successo che nel mese di luglio del 1950, venne accerchiato da decine di rappresentanti di quello Stato che di lui si era prima servito e adesso sbarazzato.

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Senza alcun intento retorico, come sempre nello stile impeccabile del grande regista, il film si sviluppa a metà strada tra il documentario e la narrazione del realistico, con ritmi da thriller (anche per l’effetto del montaggio di Mario Serandrei) degni di un cinema d’inchiesta, con la spinta di voler capire e spiegare. Anche tramite la realizzazione da neorealismo in bianco e nero, con la luce abbagliante della bella Sicilia, in forte contrasto con i paesaggi brulli e rocciosi delle alture dell’isola, i pascoli, le rocce per ripararsi. Di certo non è una elegia per il bandito né per uno Stato che invece pare compromesso, perché – come appare chiaro – i misteri italiani e gli inestricabili intrecci tra politica e affari sono alla base del magistrale film di Francesco Rosi.

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Come un giallo di finzione si termina con un’altra esecuzione, quella appunto di Gaspare Pisciotta, l’ex braccio destro del bandito, che lo tradì con le sue testimonianze e rivelazioni e come da tradizione fu raggiunto per l’atto finale addirittura in carcere. Non saranno tutti cadaveri eccellenti, tanto per usare un altro titolo del regista, ma la trama del film ma anche la storia reale, dall’autoproclamato governo siciliano allo spegnimento del malsano disegno, fu tracciata da corpi senza vita, sia di colpevoli che di innocenti come i contadini della Ginestra.

Grande film!


Riconoscimenti

Festival di Berlino 1962:

Orso d'argento per il miglior regista



 
 
 

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