Le paludi della morte - Texas Killing Fields (2011)
- michemar

- 14 giu 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 13 mag 2023

Le paludi della morte - Texas Killing Fields
(Texas Killing Fields) USA 2011 thriller 1h45'
Regia: Ami Canaan Mann
Sceneggiatura: Don Ferrarone
Fotografia: Stuart Dryburgh
Montaggio: Cindy Mollo
Musiche: Dickon Hinchliffe
Scenografia: Aran Mann
Costumi: Christopher Lawrence
Sam Worthington: Mike Souder
Jeffrey Dean Morgan: Brian Heigh
Jessica Chastain: Pam Stall,
Chloë Grace Moretz: Anne Sliger
Stephen Graham: Rhino
Jason Clarke: Rule
Annabeth Gish: Gwen Heigh
Sheryl Lee: Lucie Sliger
TRAMA: Nel Texas, il poliziotto locale Mike Souder è affiancato da un agente proveniente direttamente da New York per investigare su una serie impressionante di delitti irrisolti che hanno interessato tutta la zona della baia di Galveston, all’ombra dei pozzi petroliferi, e mietuto vittime, di cui la maggior parte erano giovani prostitute. Ma, pescando nel torbido, i due si ritrovano presto con le spalle al muro quando vengono presi di mira i loro più cari affetti, mettendo a repentaglio la vita dell'adolescente Ann, ragazza di strada dalla storia difficile, a cui si sono nel frattempo legati.
Voto 7

Il piano sequenza iniziale è un buon biglietto da visita per la regista figlia d’arte, al suo secondo lungo: la camera da presa sorvola una zona cupa e polverosa, paludi e alberi secchi nonostante la forte umidità della zona. Case non di pregio, strade sporche, popolazione che si arrabatta per tirare avanti. Siamo nella Louisiana ma il romanzo e il film sono ambientati nel Texas, terra di petrolio e acquitrini, a poca distanza da Texas City, sede della polizia locale. La sequenza “atterra” ad altezza di adolescente, inquadrando una ragazzina molto carina ma trasandata, intuibilmente lasciata fuori casa ad arrangiarsi. È così che Ami Canaan Mann, figlia di Michael, ci proietta violentemente nell’atmosfera di una cupa storia di efferatezze e violenza, di degrado morale e di agenti nauseati da ciò che vedono e su cui devono indagare. La baia di Galveston sembra il luogo ideale per un noir di questo tipo e l’irruenza dei due agenti protagonisti, Mike Souder e Brian Heigh, che si bilanciano nelle azioni (l’uno attaccabrighe e impetuoso, l’altro paziente e riflessivo) sembrano compatibili con il resto del paesaggio. Il primo è stanziale, appena separato da una collega il cui matrimonio è fallito per evidenti motivi di mancata sopportazione e da stress di lavoro senza orari, ma la regista evita spiegazioni in merito. Il secondo è un poliziotto che arriva da New York per oscuri motivi, molto religioso lo vediamo pregare sul corpo delle giovani vittime, ragazze che prima scompaiono e poi ricompaiono uccise e mutilate.

È evidente che questo sia il luogo ideale per un serial killer a cui interessano giovani ragazze e difatti la adolescente di inizio film, Ann, figlia di una prostituta che la caccia via ogni qual volta deve ricevere in casa, è sicuramente un probabile obiettivo del criminale ancora a piede libero. Per sua fortuna l’agente Brian la protegge per quello che può e la tiene d’occhio. Le paludi del titolo, meglio indicate in quello originale come campi che uccidono, hanno una fama terribile: storie antiche raccontano di gente dispersa, di morte e di indiani rifugiatisi che divennero carnivori. Una pessima reputazione di cui quel luogo non ha bisogno, facendo paura già a guardarlo di giorno. È un vasto terreno acquitrinoso che diventa una trappola per chi vi si addentra senza un minimo di conoscenza ed è ovviamente il posto giusto per nascondere corpi.

Il canone classico del noir poliziesco, splendidamente praticato dal padre, Ami Canaan Mann lo affronta con gli ingredienti essenziali e necessari: una coppia di detective in perfetta sintesi da buddy-movie, l’omicida seriale, la ragazzina educata che peggio non si può da una madre prostituta, i risvolti umani dei principali protagonisti con il compito di contraltare alla storia centrale. Anzi, è sui caratteri e gli affari privati dei vari personaggi che si concentra l’attenzione della regista, portandoli forse su un piano più importante della indagine stessa, all’investigazione che doveva essere l’ossatura del film. Soprattutto sulle relazioni tra loro, a cominciare da quella tra la grintosa Pam e il suo ex marito Mike, causa di continui e aggressivi battibecchi che cadenzano la narrazione dei fatti. Ciò inevitabilmente porta ad una perdita di tensione thriller ma ci guadagna sul piano dell’atmosfera, che, unitamente al tetro paesaggio, ci offre i chiaroscuri di questa umanità di persone perse, di gente perditempo e di ubriaconi, di sceriffi di comodo e uomini senza il senso della giustizia. Ombre di umanità perduta, dove solo i poliziotti integerrimi sembrano sentire il bruciore delle cicatrici passate. Finale conciliatorio, anche con l’essenza della fede cristiana accogliente del generoso Brian.

Jessica Chastain veniva da qualche successo personale (Il debito, The Tree oh Life, The Help) ma qui è già evidente quello che stava diventando quando ci mette tutta la sua forza (Zero Dark Thirty sarà la sua definitiva affermazione): determinazione da vendere, sguardo dritto, postura da dura. Sam Worthington legnoso quanto vogliamo ma furibondo e tosto come doveva servire. Chloë Grace Moretz, solo 14enne al momento dell’uscita del film, mostra subito di che posta è fatta e sciorina con destrezza le sue doti, oramai comprovate da numerose precedenti presenze in altri film o in serie TV. Impressionante. Stephen Graham come sempre nel ruolo dell’antipatico sociopatico, obbligatorio con quella faccia e come al solito efficace per lo stesso motivo. Sorprendente invece ritrovarsi la mitica Sheryl Lee, l’indimenticabile Laura Palmer di lynchiana memoria, nei panni della madre tossica, ubriaca e meretrice. Lascio per ultimo Jeffrey Dean Morgan, che assurge al ruolo di definitivo protagonista: sul suo enigmatico, ma sereno e sofferto, volto c’è il trailer del film, c’è il summa della sofferenza di chi ha vissuto le tragedie della vita e che trova conforto nella religione (paradigmatico il ritratto di Giovanni Paolo II nel suo ufficio) e che cerca di darne come un prete da estrema unzione recitando una Ave Maria con una mano sul volto delle povere ragazze scoperte senza vita nei posti più impensabili. Un omone dalla bella presenza fisica che recita come non ci sia mai un domani.

Ami Canaan Mann, la donna dal naso strappato al padre, è sparita nel frattempo dal grande schermo e va avanti con qualche episodio all’anno nelle serie di successo (vedi il recente Cercando Alaska): un po’ troppo poco per quello che mi ero aspettato dopo questo buonissimo film, tratto da una storia realmente accaduta.






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