Le ultime cose (2016)
- michemar

- 5 dic 2022
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 3 giu 2023

Le ultime cose
Italia/Svizzera/Francia 2016 dramma 1h25’
Regia: Irene Dionisio
Sceneggiatura: Irene Dionisio
Fotografia: Caroline Champetier
Montaggio: Aline Hervé
Musiche: The Sweet Life Society
Scenografia: Giorgio Barullo
Costumi: Silvia Nebiolo
Fabrizio Falco: Stefano
Roberto De Francesco: Sergio
Christina Andrea Rosamilia: Sandra
Alfonso Santagata: Michele
Salvatore Cantalupo: Angelo
Anna Ferruzzo: Anna
Nicole De Leo: Marilù
Maria Eugenia D’Aquino: Rosa
Margherita Coldesina: Simonetta
Matteo Polidoro: Gabriele
TRAMA: Tre semplici storie si intrecciano al Banco dei Pegni di Torino sulla sottile linea del debito morale con individui alla ricerca del proprio riscatto.
Voto 6,5

Tre storie di quotidiana difficoltà che popolano un luogo che ricorda altri tempi, un termine che pare sepolto nella memoria superata ed invece ancora presente, perché c’è ancora molta gente che ha bisogno di rivolgersi ad una istituzione dimenticata: il Banco dei Pegni. Di Torino, per l’occasione creata dalla giovane esordiente nel cinema di finzione Irene Dionisio regista, sceneggiatrice e soggettista appunto torinese, soprattutto documentarista. Occasione creata e diventata un film che avrebbe dovuto essere un documentario, che avrebbe guardato dritto negli occhi della realtà, ma che per ovvi motivi di privacy e, sarebbe il caso di dire, di discrezione è diventata fiction, però realistica, così chiaramente tangibile da far richiamare alla memoria di qualche critico uno sguardo addirittura rosselliniano. Sembrerà esagerato, ma gli intenti della regista sono limpidi e attendibili, forse non completamente in alcuni personaggi di contorno adattati e non del tutto delineati, ma sicuramente apprezzabile.

Sandra, giovane trans, è appena tornata in città nel tentativo di sfuggire al passato e ad un amore finito. Stefano, assunto da poco, si scontra con la dura realtà lavorativa e assiste ai miseri maneggi nel retroscena del Banco. Michele, pensionato, per ripagare un debito si ritrova invischiato nel traffico dei pegni. Tre individui, tre vicende personali diverse e indipendenti, tre esperienze di vita con punti di partenza e di arrivo differenti, un unico sguardo, quello della regista che li unifica in un ragionamento umanizzante nello sfondo anonimo della vita reale di una grande città.

Una pelliccia senza un bottone, una collana d’oro con ciondolo di brillanti, una cornice d’argento… Oggetti di vario genere che possono avere uno scarso valore di mercato ma che per il possessore valgono una vita di ricordi da cui non ci si vuole allontanare, ma che la vita costringe a farlo, rivolgendosi dove non avrebbe mai pensato di andare. Per spiegare queste dinamiche sociali la macchina da presa della Dionisio studia i visi, i comportamenti e le reazioni emotive, spesso trattenute di Sandra, giovane trans tornata in città dopo alcuni anni alla ricerca di un nuovo inizio; poi di Michele, pensionato che sta entrando nella fascia censita come povera; infine di Stefano, neoassunto nel Banco dei Pegni che resta inorridito non solo da questo ambiente che offre soprattutto l’orrore del bisogno, ma anche dalla freddezza burocratica della dirigenza, che stima, valuta, decreta al di là del vetro del bancone, lasciando sempre delusa la gente che si aspetta chissà che. L’obiettivo li segue anche nel privato per capire bene le loro storie e cosa li spinge a quel gesto disperato, dove offrono, per pochi euro, le ultime cose di cui avrebbero pensato di privarsi. E la disperazione la si trascina anche fuori dall’edificio a pochi metri, dove c’è il sottobosco degli affarucoli di miseri uomini che cercano di raccogliere le briciole lasciate o disprezzate dall’apprezzamento burocratico. Una piccola criminalità a cui si rivolge anche e persino il funzionario del Banco che non disdegna il doppio gioco per arricchirsi. L’unico che prova senso di umanità, compassione e pietà è l’esterrefatto Stefano.

Ciò che interessa sicuramente a Irene Dionisio era indagare il modo in cui il debito sia diventato qualcosa che molte volte non si è più in grado di controllare e trova la rappresentazione pratica in un banco dei pegni. Lì c’è una sorta di cortocircuito: un oggetto è vivo, porta con sé ricordi e affetti ed è pronto a diventare merce da esposizione, mentre, al contrario, le persone sono trattate come oggetti, parte di un sistema che ragiona solamente in termini di valore. Molte delle scene sono girate in quel luogo come un limbo della necessità. Tutto gira intorno a quell’ambiente e la coralità di cui è costituito il film ruota con le varie vicende personali. Il film, diventa, cioè, un racconto corale sullo stare nel mondo al tempo delle grandi diseguaglianze che la politica non vuole cancellare.

Difficile dire se il progetto documentaristico avrebbe fatto più impressione di un vero e proprio film come è diventato, ma se lo guardiamo con occhio civile ha lo stesso effetto, se sostituiamo i personaggi di fantasia presenti in altrettante persone vere deve darci la stessa sensazione. Se ci riesce vuol dire che il lavoro della regista è riuscito
Un piccolo film, un minuscolo tentativo, per raccontare gli invisibili.






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