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Lettere da Iwo Jima (2006)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 14 giu 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 23 ott

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Lettere da Iwo Jima

(Letters from Iwo Jima) 2006 guerra/dramma 2h21’


Regia: Clint Eastwood

Soggetto: Tadamichi Kuribayashi, Tsuyoko Yoshido (romanzo)

Sceneggiatura: Iris Yamashita, Paul Haggis

Fotografia: Tom Stern

Montaggio: Joel Cox, Gary Roach

Musiche: Kyle Eastwood, Michael Stevens

Scenografia: Henry Bumstead, James J. Murakami

Costumi: Deborah Hopper


Ken Watanabe: generale Tadamichi Kuribayashi

Kazunari Ninomiya: Saigo

Tsuyoshi Ihara: barone Takeichi Nishi

Ryō Kase: Shimizu

Shidō Nakamura: tenente Ito

Hiroshi Watanabe: tenente Fujita

Takumi Bando: capitano Tanida

Yuki Matsuzaki: Nozaki

Takashi Yamaguchi: Kashiwara


TRAMA: Seconda guerra mondiale: sulla sacra isola dalle spiagge nere, i soldati nipponici combattono strenuamente. L’ex fornaio Saigo, l’allievo poliziotto idealista Shimuzu, il barone Ishi, campione olimpico di equitazione, e tutti gli altri sono sotto il comando del generale Tadamichi Kuribayashi, uomo di grande cultura che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti.


Voto 7


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Si può affermare tranquillamente che questo è un film di guerra unico nel suo genere e non solo dal punto di vista americano, essenzialmente per almeno due motivi: descrive la battaglia dal punto di vista dei perdenti giapponesi e rappresenta gli Stati Uniti come nemico. Fa da contraltare all’altro film di Clint Eastwood sull’argomento, dello stesso anno, Flags of Our Fathers, che descrive la medesima battaglia con gli occhi però degli americani. È senz’altro fuori dai soliti schemi del regista, lontano dal patriottismo e dagli abituali eroi che fanno da protagonisti nelle sue opere. Se nel precedente polemizza con la propaganda USA e le falsità che servivano alla divulgazione di notizie euforiche della guerra, in questa occasione rende onore, non soltanto militare, ai coraggiosi difensori di quella piccola isola che rappresentava l’ultimo baluardo prima della temuta invasione della loro nazione.


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Tutto ha inizio quando nel 2005 un gruppo di archeologi giapponesi, che stanno eseguendo degli scavi nelle grotte dell'isola di Iwo Jima, ritrovano una sacca militare sotterrata nella sabbia e cominciano ad esaminarla. Ecco che piombiamo nel 1944, allorquando il generale Tadamichi Kuribayashi viene inviato a comandare il piccolo contingente giapponese sull'isola da poco divenuta linea di confine dopo la perdita dei domini giapponesi nel sud del Pacifico. Del contingente fanno parte molti giovani soldati, la maggior parte dei quali arruolati con la forza e senza quasi nessuna esperienza di combattimento; tra questi ci sono il soldato Saigo, un giovane panettiere che ha lasciato a casa la moglie incinta, e il suo amico Kashiwara. Il generale Kuribayashi, tuttavia, non favorisce il rigido approccio tradizionale raccomandato dai suoi subordinati, e il risentimento e la resistenza si inaspriscono tra il suo staff. Nei ranghi inferiori, il giovane Saigo lotta con i suoi amici per sopravvivere al duro regime dello stesso esercito giapponese, pur sapendo che una feroce battaglia incombe. Quando inizia l'attacco americano, Kuribayashi e Saigo trovano forza e onore e soprattutto il coraggio per affrontare gli orrori che vanno oltre ogni loro immaginazione. Per resistere all’offensiva, l’ufficiale schiera l'artiglieria dalle spiagge alle alture e ordina di scavare una serie di tunnel al fine di proteggere gli uomini dagli attacchi aerei, ma anche per collegare vari punti forti della difesa. Le sue tattiche sono derise da alcuni, che le vedono come codardi, ma applaudite da altri.


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L’attenzione del lavoro di Eastwood è rivolta a sviluppare i personaggi come qualcosa di più che semplici soldatini votati alla sicura morte, anche se il film non si concentra troppo sui singoli, ad eccezione della bellissima figura del generale, uomo di cultura che ha vissuto negli Stati Uniti e ne conosce l’indole, ammirandoli e temendoli. La caratteristica principale del film è, ampiamente al di là delle opere firmate prima e dopo da Clint, la solennità del passo ma anche il ritmo compassato e riflessivo, come diretta conseguenza della bella personalità dell’ufficiale giapponese. Inoltre, i soldati giapponesi, in generale, non credono e non vorranno mai la resa, come è insito nella loro tradizione e quindi diventa prevedibile fin dall'inizio che la maggior parte di loro saranno morte prima che scorrano i titoli di coda. Anzi, facile da pensare, invece di arrendersi, le loro opzioni includono attacchi suicidi. Che vuol dire solo morire da eroi. E ciò basta e avanza per le preferenze del regista, a maggior ragione pensando che queste scelte e questi avvenimenti sono tutte vere, tutto accaduto realmente.


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Non è la prima volta che il cinema si occupa di questa isola e della relativa battaglia (vedi Iwo Jima, deserto di fuoco con John Wayne) e per nazionalismo i giapponesi vengono proposti sempre come un nemico implacabile e senza volto. Clint rende loro giustizia, spiegandoci l’umanità che li abita, le paure e la nostalgia per la loro famiglia. Ma soprattutto i tanti dubbi che li animano: sono a corto di uomini, cibo, acqua e munizioni, sono respinti dalla terraferma quando richiedono rinforzi e non hanno copertura aerea; gran parte delle loro apparecchiature di comunicazione sono rotte, quindi in molti casi il generale non ha modo di raggiungere con gli ordini gli uomini sul campo; i messaggeri sono inaffidabili e molti non raggiungono mai le loro destinazioni. L'esercito è anche pieno di pensieri che porterebbero all’ammutinamento, tanta è la disperazione. Per di più alcuni ufficiali inferiori pensano che Kuribayashi sia debole e addirittura filoamericano, dato il suo passato.


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Clint Eastwood fa alcune scelte stilistiche interessanti. La maggior parte del film è girato con una particolare fotografia di Tom Stern in cui predomina il bianco e nero. Occasionali sono i lampi di colore ma solo quando ci sono esplosioni, altrimenti, per la maggior parte, il film è monocromatico seppiato come le vecchie foto: quasi un omaggio ai classici film della Seconda Guerra Mondiale oppure lo si può leggere come un approccio di pseudo-documentario. Il sangue, ovviamente, non manca ma non è quello che interessa principalmente a Clint, è guerra e quelle scene sono immancabili, ma in buona sostanza l’opera si presenta come non molto cruenta. Piuttosto, come detto, l’attenzione è rivolta alle persone. Per noi europei, gli attori sono abbastanza sconosciuti, tranne il personaggio centrale, interpretato dal bravissimo e adeguato (chi meglio di lui?) Ken Watanabe. Uomo elegantemente serio e determinato, che capisce che non sopravviverà a questa missione e ha accettato il suo destino: ha un lavoro da fare e intende farlo al meglio delle sue capacità. Prima di lasciare sua moglie, si assicura che i suoi affari siano in ordine e che la vita in casa proceda come previsto. Dei 100.000 soldati statunitensi che parteciparono alla battaglia, quasi 7.000 morirono e 20.000 rimasero feriti, mentre i difensori giapponesi erano circa 20.000 e solo 1000 sopravvissero. Iwo Jima, a causa del suo tempismo e del suo valore pubblicitario più che della sua importanza strategica, divenne uno dei conflitti più noti del teatro del Pacifico. Con i suoi due film del 2006 Clint Eastwood ha voluto eliminare alcune delle idee createsi intorno alla battaglia e ha fornito nuove prospettive e uno sguardo misericordioso e solenne. Nel loro insieme, i due film offrono un'interpretazione imperfetta ma interessante della storia.


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Nelle sequenze finali viene esaltata la commozione patriottica giapponese, come è giusto che sia: la scena torna al presente, dove gli archeologi, aperta la sacca (che lo stesso Saigo aveva sotterrato poco prima della caduta) e vi trovano dentro le centinaia di lettere scritte dai soldati giapponesi ai propri cari in patria. Commovente atto verso gli sconfitti, come un rendere onore ai caduti dell’altra parte. È meraviglioso scoprire quanto l’amato regista, sempre considerato politicamente conservatore, abbia voluto e saputo dedicare alcuni film, in tarda età, ad argomenti distanti da quelli tipici dell’americano medio: oltre ai suoi cari eroi nazionali c’è Gran Torino, c’è Richard Jewell, c’è Million Dollar Baby, ci sono questi due film.

Dei due, molti preferiscono il primo, io quest’altro. Bello e solenne, sincero e leale.


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Riconoscimenti

2007 - Premio Oscar

Miglior montaggio sonoro

Candidatura miglior film

Candidatura migliore regia

Candidatura migliore sceneggiatura originale

2007 - Golden Globe

Miglior film straniero

Candidatura migliore regia



 
 
 

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