Little Odessa (1994)
- michemar

- 8 nov 2019
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 26 dic 2023

Little Odessa
USA 1994 noir 1h38’
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray
Fotografia: Tom Richmond
Montaggio: Dorian Harris
Musiche: Dana Sano
Scenografia: Kevin Thompson
Costumi: Michael Clancy
Tim Roth: Joshua Shapira
Edward Furlong: Reuben Shapira
Moira Kelly: Alla Shustervich
Vanessa Redgrave: Irina Shapira
Paul Guilfoyle: Boris Volkov
Maximilian Schell: Arkady Shapira
Natalya Andrejchenko: Natasha
TRAMA: Joshua Shapira, killer di professione, torna a Little Odessa, quartiere di immigrati russi a Brighton Beach dove è nato, per un "lavoretto pulito". Suo padre gli vieta di mettere piede in casa, dove sua madre è morente e suo fratello minore, Reuben, stravede per lui. Joshua vuole compiere il lavoro quella notte, ma suo padre lo vende al boss del quartiere. Pagheranno le sole persone che ama.
Voto 8

New York, Brooklyn, Brighton Beach, Little Odessa. La mappa ci porta qui, nelle strade di un quartiere che è diventato con gli anni la piccola Odessa, appendice lontanissima di quella originale sita sul Mar Nero dell’Ucraina. Una specie di Little Italy per i tanti russi immigrati a New York, come i genitori di James Gray. Dove quasi non si parla una parola di inglese, dove le scritte sono in cirillico e i tentacoli della mafia russa penetrano con la stessa profondità di quella italiana in città. È qui che si dipana la tragedia di una famiglia di immigrati russi, fra la severità del padre, la gravissima malattia della madre in fase terminale, un figlio criminale che è dovuto scappar via e un altro figlio studente che marina da mesi la scuola. È in quei luoghi che è cresciuto il nostro autore, è lì che da giovane ha respirato l’atmosfera e le vicende narrate poi nel film, “dove da adolescente” come raccontava lui stesso “potevi anche fare qualcosa di eccessivo senza paura di venir rimproverato. Una comunità, quella, che conoscevo bene ma che per me rappresenta ben di più, come mi auguro trapeli dal film, della presenza della mafia russa. La mafia, la sua criminalità, sono diventate un elemento centrale del cinema americano degli ultimi vent' anni, tanto che mi sembrava addirittura un cliché. Ho voluto usarla quindi solo come sfondo a quella che è la vera storia, che è la tragedia di una famiglia, dove il livello di repressione emotiva esclude ogni possibilità di comunicazione non solo fra i genitori, ma fra loro e i figli. Certo, in gran parte questo appartiene alla tradizione culturale russa, Dostoevskij, Tolstoj. Ma la repressione e il silenzio non appartengono solamente alla cultura russa.”

A soli 25 anni, James Gray si presenta al mondo (in particolare al Festival di Venezia 1994) con questa formidabile pellicola dove non solo racconta la sua terra ma si presenta con un cast talmente di lusso che si fa fatica a capire come questi attori già affermati si siano subito fidati dell’esordiente regista e sceneggiatore. Il film è privo di compromessi, è un dark movie che non sbanda minimamente in alcun frangente, che inizia nero e crudo, nel biancore fulgente della neve invernale di Brighton Beach che ricorda il clima russo, e finisce anche più nero in un bagno di sangue, come un epilogo inevitabile, come in una battaglia finale dove nessuno vince. Su tutto grava un pesante senso di colpa, di ineluttabilità, di fato scritto da tempo, da prima che la famiglia approdasse in quel quartiere. Dove non c’è forse neanche un’anima buona in giro, solo facce scure, giacconi di pelle, scarpe pesanti e nelle tasche pistole pronte. Le donne contano poco: tra quelle che ci mostra il film c’è la mamma Irina, che è appunto praticamente in fin di vita, poi c’è Natasha l’amante segreta e giovane di Arkady Shapira, il papà, e Alla, la ragazza del killer scappato.

È proprio quando Joshua Shapira - un Tim Roth come sempre spigoloso e feroce, appena reduce dai successi di Quentin Tarantino – riceve l’ordine di eliminare un gioielliere iraniano che ha il negozio a Little Odessa che il film ha inizio, anche se il dramma è ormai iniziato da anni, dalla sua fuga. Il suo ritorno è estremamente pericoloso per la sua vita ed è di importanza primaria mantenere segreto il suo arrivo. Deve compiere l’azione e sparire di nuovo, velocemente. Ma il fratellino Reuben – il giovane Edward Furlong quattro anni prima di American History X (recensione) – desidera fortemente rivederlo: lo ritiene da sempre un esempio di forza e di uomo ed è pronto a fare qualsiasi cosa per lui, al contrario del severo padre Arkady – un magnifico Maximilian Schell - che ha ormai ripudiato il figlio maggiore dopo le nefandezze compiute. A loro, dice, ha dedicato la vita, li ha istruiti meglio possibile, ma ha ricevute solo delusioni, specialmente dal cattivo Joshua. Confidandosi alla giovane amante Natasha ricorda: “Mio figlio! Avevo due figli una volta. Ho sempre cercato di educarli. Ho sempre provato a fare del mio meglio. Gli ho insegnato la musica. Strimpellavo Mozart per loro quando avevano solo cinque mesi. Poi gli ho comprato un pianoforte, facevo pratica con loro. Gli leggevo sempre le favole, tutte le sere. Sono stato stupido, credo. Trovo stupido leggere a un bambino ‘Delitto e castigo’ a un bimbo di due anni.” “Non ho mai obbligato i miei figli, mai! Ma sai, c’è un detto: Quando un bambino ha 6 anni dice che suo padre può far tutto, quando arriva a 12 anni dice che suo padre può fare quasi tutto, a 16 anni dice che suo padre è un idiota. E quando ha 24 anni dice che il padre magari non era tanto idiota. E poi a 40 anni dice ‘Se solo potessi chiedere a mio padre.’ Ma ho paura che i miei figli non diranno mai questo a se stessi.” È indubbiamente un padre che ha voluto bene ai figli e che avrebbe voluto vederli osservanti della loro tradizione. Ma intanto, non dimentichiamo, la missione ricevuta dal sicario deve essere portata a termine a tutti i costi ma nessuno immagina quali potrebbero e quali saranno alla fine questi costi. E saranno altissimi, di vite e di rammarichi.

Era la prima volta per James Gray affrontare i dissidi, le incomprensioni e i segreti tra padri e figli, come infatti si ripeterà nel prosieguo dei suoi film, fino ad arrivare al bellissimo Two Lovers (recensione), dove mi è parso di rivedere lo stesso cortile e la stessa finestra nell’angolo dove abitano gli Shapira, lì dove si affacciava nuda la Michelle di Gwyneth Paltrow. Se non è la stessa è praticamente uguale. Anche in questa prima occasione c’è lo spazio riservato all’amore, se così si può chiamare impropriamente il rapporto che c’era e si rinnova con il ritorno nelle strade della cittadina del killer taciturno: è un rapporto fatto solo di ricordi, di ritorni e di mancate promesse che non si possono mantenere quello tra Joshua e Alla, al massimo di un paio di incontri per tornare a fare sesso come una volta.

L’aria è rarefatta e ha il sapore della morte, la macchina da presa non indugia in primi piani, si va sempre di corsa, anche per scomparire presto dalla vista della gente, il tempo a disposizione è poco, è tempo di agire velocemente. Ma si è mai visto che un killer non saluta la sua donna prima di sparire di nuovo? No e non sarà neanche stavolta. E anche stavolta sarà un errore: Joshua viene tradito, Reuben corre ad aiutarlo, i russi lo braccano, il finale attende. Film asciutto e senza fronzoli, direi essenziale. Eppure, il melodramma lo si avverte ugualmente: il cinema di James Gray è sostanzialmente e sempre un mélo, come tutte le altre volte. Il suo cinema è dramma e le donne, anche se non sembra, contano, contano sempre, anche quando stanno un passo indietro. E la giustizia è spesso un melodramma e anche questo durissimo finale è giustizia. Giustizia divina e umana.

Il film convinse la giuria di Venezia e si aggiudicò il Leone d’Argento, mentre la sempre meravigliosa Vanessa Redgrave, interprete della mamma morente, vinse la Coppa Volpi. Raccontava l’autore che solo dopo mentre il cast si andava completando si arrivò a consegnare il copione alla superba attrice per coinvolgerla nel progetto. Gray, suo grande ammiratore, non osava sperare che accettasse. Invece, con sua grande sorpresa, la grande attrice inglese si interessò subito alla storia: “Questo ha improvvisamente reso il mio lavoro più facile" confessò il regista, “perché un'attrice come Vanessa Redgrave non ha bisogno di venir diretta. Una volta discusso con lei il personaggio, se ne è appropriata e non ho dovuto dirle più niente.”
Riconoscimenti
1994 - Festival di Venezia
Leone d'Argento - Premio speciale per la regia
Coppa Volpi miglior attrice non protagonista Vanessa Redgrave






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