Lo strangolatore di Boston (2023)
- michemar

- 20 mar 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

Lo strangolatore di Boston
(Boston Strangler) USA 2023 thriller storico 1h52’
Regia: Matt Ruskin
Sceneggiatura: Matt Ruskin
Fotografia: Ben Kutchins
Montaggio: Anne McCabe
Musiche: Paul Leonard-Morgan
Scenografia: John P. Goldsmith
Costumi: Arjun Bhasin
Keira Knightley: Loretta McLaughlin
Carrie Coon: Jean Cole
Alessandro Nivola: detective Conley
Chris Cooper: Jack Maclaine
David Dastmalchian: Albert DeSalvo
Morgan Spector: James McLaughlin
Bill Camp: commissario McNamara
Rory Cochrane: detective DeLine
Peter Gerety: Eddie Corsetti
Robert John Burke: Eddie Holland
Ryan Winkles: Marsh
Greg Vrotsos: George Nassar
TRAMA: Loretta McLaughlin è stata la giornalista che per prima ha collegato gli omicidi e ha svelato la storia del serial killer che infestò la città di Boston nei primi Anni Sessanta.
Voto 7

Basato sugli omicidi del famigerato Boston Strangler, questa è la vera storia di Loretta McLaughlin, una reporter del Boston Record American, giornale locale in cui era incaricata di recensire piccoli elettrodomestici e altri articoli per la casa, lavoro che svolgeva con sommo rincrescimento in quanto, pur sentendosi in grado di fare molto di più, non riusciva ad avere incarichi più importanti. La redazione vedeva anche qualche altra donna, soprattutto la esperta Jean Cole, ma erano minoranza e gli uomini, in tempi di pieno sessismo, erano preponderanti e avevano peso nelle decisioni. Aveva uno spiccato senso di osservazione e di ragionamento deduttivo, dote sprecata fino al giorno in cui si interessò vivamente, pur se ostacolata dal direttore del giornale e dai colleghi maschi, alla serie di omicidi che passava quasi inosservata presso l’opinione pubblica e con pieno disinteresse della inerte stazione di polizia della città. Ed invece, lei fu la prima giornalista a collegare gli omicidi e scrivere la storia e il frutto delle sue personali indagini sul serial killer che agiva pressocché indisturbato su donne sole in casa, prima solo signore mature poi anche giovani ragazze. Figura che, in seguito ai suoi articoli e con la notorietà che l’assassino si era guadagnata, fu definita come lo strangolatore di Boston. Lei e la collega giornalista Jean Cole, che inizialmente la guardava con sufficienza ma che poi, stimandola, la affiancò con tutta la sua esperienza, sfidarono il sessismo imperante e la scarsa fiducia che in primo momento aleggiava sul loro interesse in merito a questa macabra storia. Il loro grande merito fu appunto quello di informare, tramite gli articoli sul giornale, seguitissimi dalla popolazione, soprattutto le donne affinché stessero attente, ma tennero anche vivo l’interesse per la pericolosità del misterioso soggetto che vagava per la città. Il primo ostacolo, in verità fu proprio la polizia, che pareva paralizzata e senza alcuna seria intenzione di andare a fondo con le indagini, che infatti languivano.

Perfino l’editore e il direttore del giornale erano perplessi sulla fondatezza dei risultati delle indagini della giornalista e, non volendo inimicarsi il commissario e le autorità, tentennavano per lasciarle carta bianca, ma quando il caso esplose, con la pubblicazione degli articoli, e quindi con il mostro sbattuto in prima pagina, non si poté più tornare indietro. Ma, purtroppo, fino a quando, almeno in apparenza, un certo Albert DeSalvo confessò l’omicidio di ben 13 donne, tra il 1962 e il 1964. Purtroppo, semplicemente perché apparve chiaro, per chi come Loretta McLaughlin aveva tutt’altra tesi in merito, che quella confessione sembrò subito falsa e architettata dall’avvocato difensore del reo confesso per chissà quale scopo (chiarito in seguito). L’impegno che profondeva nell’impresa di venire a capo della intricata faccenda fu enorme, sia fisico che mentale, totalmente immersa nella indagine giornalistica, fino al punto di cominciare a trascurare la famiglia. Il marito e i disorientati figli non capivano. James McLaughlin (Morgan Spector) accettò obtorto collo l’anomala situazione solo all’inizio, ma dopo si accorse che la moglie era completamente assorbita dal lavoro diventato ormai una missione, una fissazione, che la indusse addirittura ad abbandonare la cena di fine anno con i parenti, lasciandoli a tavola, per via della telefonata che l’avvisava dell’ennesimo delitto: ancora una volta, quella notte, il corpo di una donna trovata strangolata con indumenti femminili annodati a fiocco attorno al collo. Inevitabile che il rapporto coniugale peggiorò sino alla separazione e poi al divorzio come spiegato dalle didascalie prima dei titoli di coda.

Il film è centrato sul misterioso strangolatore ma la macchina da presa è sempre puntata sulla tenace e inarrendevole Loretta, anche quando è passato diverso tempo dopo quello che si sperava fosse l’ultimo delitto. Sempre lei al centro dello schermo, che combatte contro il direttore della redazione Jack Maclaine (Chris Cooper) che non credeva inizialmente al suo scoop, contro l’editore scettico Eddie Holland (Robert John Burke), contro soprattutto l’assopito corpo di polizia che cercava solamente di chiudere le indagini con una soluzione di comodo che accontentasse l’opinione pubblica per non fare brutta figura. Ora è sola, avverte intimamente la mancanza dei figli, ma ormai è votata alla causa come una missionaria. L’unica persona, o quasi, che sostiene la reporter è la collega esperta Jean Cole, che non solo la sorregge moralmente ma le dà una mano fattiva, la aiuta ad introdursi dove serve, date le sue conoscenze, consultano assieme cartelle e cartelle di documenti vecchi e nuovi. Diventeranno amiche per tutta la vita. L’altro aiuto, ma limitatamente a quello che si può permettere, dato il suo ruolo, è il detective Conley (Alessandro Nivola), con cui la protagonista si incontra segretamente per ricavare qualche utile informazione o procurarsi carte secretate dalla polizia, ricambiando con quello che lei ha scoperto. Perché risulta chiarissimo che i delitti hanno alcuni punti in comune e si tratta solo di concentrare l’attenzione su un nome ben preciso. Il finale sarà sorprendente ma sarà solo una soluzione di opportunità, non quella definitiva. Ancora oggi!

La sceneggiatura e la regia di Matt Ruskin piazzano qui e là momenti di tensione, di ombre, rumori sospetti, telefonate minatorie, anche perché il giornale ha voluto aumentare le tirature pubblicando la foto delle due giornaliste, facendo correre loro non pochi rischi. Il ritmo imposto è sufficiente e persistente, non ci sono attimi di pausa, o perché gli eventi si succedono senza sosta o perché anche in casa McLaughlin le cose non vanno per il verso giusto. L’atmosfera delittuosa viene accentuata da una fotografia scura dalle tinte forti, per giunta accentuata dai bordi dello schermo leggermente offuscati e arrotondati, aumentando il climax da anni ’60. Il film di Ruskin sottolinea l’importanza di avere donne in una posizione di potere quando si tratta di raccontare le storie. Loretta e Jean, infatti, avevano capito che era cruciale per la sicurezza di Boston rendere pubblico il caso dello strangolatore. E non è detto che i loro colleghi maschi avrebbero percepito la stessa urgenza, anzi l’avevano pressoché ignorata fino all’interessamento morboso della giornalista. E poi, è anche una storia di alleanza al femminile dove due donne seppero mettere in allarme tutte le altre donne di Boston per la presenza di un pericolo e le hanno aiutate a proteggersi. Non è una storia scontata. Un’altra caratteristica che salta agli occhi è che, contrariamente a ciò che va tanto di moda, i delitti sono quasi ai margini delle immagini, si vedono poco, se non nella fase preparatoria: il film ruota intorno all’identificazione dello strangolatore (a quei tempi non esisteva ancora il termine serial killer), perché quella, per il regista, doveva restare una zona grigia, evitando di mostrare le violenze, qui solo descritte, e, tra l’altro, poco. In definitiva, è un’opera realizzata specificatamente dalla prospettiva di Loretta e Jean piuttosto che dal punto di vista del criminale stesso, o di qualche detective. Senz’altro una concezione narrativa alquanto originale e interessante.

L’eccellente Carrie Coon è Jean Cole con una altrettanto eccellente interpretazione, attrice che dimostra ancora una volta quanto sia brava e duttile, assumendo posture e gestualità che sono servite a rendere chiaro quanto il suo personaggio fosse esperta dell’ambiente sia giornalistico che cittadino ma anche della criminalità locale e della scrittura efficace da reporter, che quando è usata con intelligenza è davvero un’arma della libertà d’informazione. Brava davvero.
Ma chi supera tutti e stabilisce un nuovo metro di giudizio sulle sue capacità di attrice drammatica (evitando le sue ben note smorfiette dal sorriso con fossette), recitando almeno come nello straordinario Non lasciarmi (valida pietra di paragone delle sue possibilità artistiche) - quando però era ancora tanto giovane - è la superlativa Keira Knightley, protagonista assoluta nella sua Loretta McLaughlin, totalmente calata nel personaggio, intensa, su cui, come evidenziato, poggia e gira l’intero film, pur se attorniata da attori molto esperti come Alessandro Nivola, Chris Cooper, Bill Camp, Robert John Burke. L’unico eventuale appunto, a voler essere proprio meticolosi, è che l’attrice non ha lasciato a casa il suo accento londinese proprio del tutto, come succede a tanti attori britannici che non riescono ad adattarsi perfettamente a quello americano. Ma sono inezie, lei è brava.

Buon film, buon thriller, che ci fa immergere nell’ambientazione pienamente di quel decennio, che Matt Ruskin ha saputo sapientemente ricreare.






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