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Loro (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 5 set 2019
  • Tempo di lettura: 6 min

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Loro

Italia 2018, biografico, 2h31’


Regia: Paolo Sorrentino

Sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello

Fotografia: Luca Bigazzi

Montaggio: Cristiano Travaglioli

Musiche: Lele Marchitelli

Scenografia: Stefania Cella

Costumi: Carlo Poggioli


Toni Servillo: Silvio Berlusconi, Ennio Doris

Riccardo Scamarcio: Sergio Morra

Elena Sofia Ricci: Veronica Lario

Kasia Smutniak: Kira

Euridice Axen: Tamara

Fabrizio Bentivoglio: Santino Recchia

Roberto De Francesco: Fabrizio Sala

Dario Cantarelli: Paolo Spagnolo

Anna Bonaiuto: Cupa Caiafa

Giovanni Esposito: Mariano Apicella

Ugo Pagliai: Mike Bongiorno

Paolo Buglioni: Ernesto Morra

Ricky Memphis: Riccardo Pasta

Lorenzo Gioielli: senatore Valori

Alice Pagani: Stella

Mattia Sbragia: Fedele Confalonieri

Roberto Herlitzka: Crepuscolo


TRAMA: La caduta politica di Silvio Berlusconi tra verità e finzione, raccontata attraverso il suo legame con il rampante imprenditore tarantino Sergio Morra e la fine del suo matrimonio con Veronica Lario.


Voto 6-


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Da un terremoto ad un altro. Da “Mani Pulite” a L’Aquila. Dalla magistratura di Milano che causò quella che giornalisticamente fu definita la fine della prima Repubblica e l’avvento di un uomo (s)pregiudicato, una persona che sapeva vedere lungo e che con capitali di provenienza mai ben chiarita scalò l’Italia e il potere politico fino ad arrivare in cima, fino ad una notte tremenda per tutto l’Abruzzo in cui un terrificante terremoto distrusse una bella e antica città facendo un numero impressionante di morte, mortificando una zona del nostro Paese che già faceva fatica, uccidendo anche tanti ragazzi, la nostra meglio gioventù, che studiava all’università de L’Aquila. Lì, dove Silvio Berlusconi cercava la definitiva affermazione della sua premiership politica e sociale ma soprattutto di popolarità presso i cittadini, da lui considerati un immenso “pubblico”, iniziò una lenta discesa ma inesorabile, paragonabile solo al distacco da Veronica Lario, ormai stufa delle sue bravate da gossip, e al cedimento dei balconi di cartapesta costruiti nella newtown vicina al capoluogo abruzzese.


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Film roboante come piace a Paolo Sorrentino, film lungo e anche troppo: perché allungare così tanto un’opera che si poteva ridurre di un terzo? Lo scrivo sempre, con tutta la mia modestia, che se un film supera abbondantemente le due ore deve avere motivi validi, se lo possono permettere solo i grandissimi (ma Sorrentino è quasi nei pressi) e per ragioni necessarie. Infatti alcune sequenze son troppo lunghe, con dialoghi che si trascinano oltre il mio sopportabile. Alcune volte è comprensibile, in molte altre no. Nella fattispecie, solo una scena ha il suo perché, ed è il vero “processo” (non quello come i tanti a cui verrà sottoposto Berlusconi): quello che gli fa la moglie Veronica Lario allorché dice, stufa dell’andazzo e della degenerazione della vita del marito, annunciandogli i motivi per cui chiederà il divorzio. Oltre tutto è il momento in cui i due decidono di rinfacciarsi tutti i rospi che stavano ingoiando a vicenda e dirsi la verità. Che in questi casi fa sempre male, molto male, perché si rimproverano tante cose che avrebbero preferito non dirsi mai. È l’inizio della fine del matrimonio (con conseguenze legali e finanziarie che stanno avendo ancora oggi, a distanza di anni) e della vita pubblica di Berlusconi, che continuava testardamente a credere recuperabile. Ma non la sua relazione con la consorte. L’elenco di tutte le ragazzine che ha trattato, ricevuto nella sontuosa Villa Certosa in Sardegna, pagate, candidate è imbarazzante e il suo caro “pubblico” elettore lo sta abbandonando. Anche perché – lo stiamo vedendo continuamente nelle vicende politiche – i grandi soggetti politici durano qualche anno, un decennio, raramente due (è il caso appunto) ma poi il fenomeno termina. Un indizio è forse – scena scelta per dare appunto un segnale al cambiamento in atto - quando una giovanissima ospite della villa gli dice, educatamente e con timidezza, che non riesce ad avvicinarsi a lui perché il suo alito le ricorda quello del nonno. È l’alito di un vecchio. Una definizione, per lui, peggiore di una pugnalata al cuore!


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Il film è effettivamente lungo, e la suddivisione in due parti, uscite inizialmente separate nelle sale, non è valso a renderlo più leggero perché secondo me non si può interrompere: va visto assolutamente tutto di seguito e appunto diventa lungo, per via dei tanti balli ed esibizioni delle innumerevoli starlettes che a turno compaiono e spariscono. Interessante invece è la primissima parte, in cui un uomo di mezza tacca, un vero arrivista senza scrupoli, Sergio Morra (che dovrebbe corrispondere a Gianpaolo Tarantini, ruolo congeniale per Riccardo Scamarcio, figura in cui non lo supera nessuno) cerca la scalata verso il mito Silvio Berlusconi mediante l’utilizzo (termine che ritengo appropriato) di ragazze disposte a tutto. Sesso, droga e… balletti e cene, pur di accontentare la bramosia visiva dell’uomo che avrebbe condizionato il modo di vivere e di pensare italico, che ad ogni ospite prometteva di mostrare la bellezza del suo personale vulcano artificiale: una vera fissazione, così come esaltata e mostrata dal regista. Questa fase del racconto è un’ulteriore fotografia dell’Italia di allora e non solo, perché questo Paese è sempre andato avanti con la corruzione nelle sue varie e tante forme. Un uomo particolare, mostrato esagerato e egocentrico, sicuro di sé oltre il normale, finto e costruito per avere successo, ma anche sicuro di una protezione che non si vede mai, invisibile dietro di lui. Da dove venivano tutti i soldi, se lo chiedeva Nanni Moretti, ma della cifra esatta (113 miliardi) ne parla Veronica Lario, soldi che gli erano serviti per iniziare la sua irrefrenabile scalata al potere e alla notorietà mondiale. Personaggi tantissimi, una caterva, tanti con nomi cambiati ma allusivi, tra cui una conturbante Kasia Smutniak nei panni di Kira, quella che nella realtà era definita l’Ape Regina, cha catalizzava l’eros di tutti gli uomini e che gestiva la giostra delle ancelle, e un misterioso personaggio di bianco vestito, Paolo Spagnolo, che pare come un suggeritore e consigliori malefico, a cavallo tra il diavolo e la coscienza, interpretato dall’attore che fu feticcio per Nanni Moretti, Dario Cantarelli.


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Perché Paolo Sorrentino ha scelto proprio questo personaggio e perché lo ha voluto fotografare in questa maniera gigantesca, direttamente proporzionale alla sua mania di grandezza e alla sua ventennale popolarità lo spiega lui stesso: “Dal mio primo film a oggi non ho cambiato molto la mia idea di cinema. Per me realizzare un film è sempre stato come sedersi al ristorante. Quando ero ragazzo ci andavo con i miei genitori. Era un evento. Una festa. Un momento per mangiare tanto e bene. Oggi nei ristoranti si chiede l’insalatina. Mia madre diceva: “Se dobbiamo stare a dieta rimaniamo a casa” e aveva ragione. Quando faccio un film non pretendo assolutamente che sia perfetto, ma roboante, straripante, invasivo e disturbante, quello sì. In sala si va per essere scossi, subissati e magari nauseati da qualcosa che deve somigliare all’overdose. Poi, per carità, c’è uno stile rigoroso che mi piace molto, ma spesso la critica confonde il cinema rigoroso con quello rachitico e io al cinema rachitico preferisco ancora il letto, l’astensione o il digiuno. Posso non uscire di casa e andare a dormire leggero, sicuro che si presenteranno serate migliori.

Berlusconi è un grande narratore di se stesso e – ricordiamoci solo del fotoromanzo per immagini che ci spedì a casa nel 2001 o del contratto con gli italiani – è già di per sé un perfetto soggetto cinematografico. A un film su di lui ragionavo da anni e forse, inconsciamente, tra una foto e un video, all’idea di autorappresentarsi proprio come faceva Mussolini, pensava da tempo anche lui. Si sono succeduti i Moro, gli Andreotti e i Berlinguer, campioni della riservatezza e dell’essere schivi, alieni alle feste e ai salotti e poi ci è toccato in sorte Berlusconi. L’esatto contrario della disincarnazione del potere.”


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L’operazione gli è indubbiamente riuscita ma il mio giudizio non è del tutto positivo: arrivo perfino a dire che è un film che ci e si poteva risparmiare, quasi un film inutile, sicuramente inferiore ai suoi precedenti, per nulla all’altezza né dell’Oscar La grande bellezza (qui la mia recensione) né per il bellissimo Youth – La gioventù (qui la mia recensione). Ciò non toglie nulla alla perfezione scenica, alla fantasia con cui è stato immaginato, ad una buona (non di più, eccettuata qualche scena scritta meglio) sceneggiatura, agli ottimi attori in gran forma e alla sempre perfetta fotografia di Luca Bigazzi, ben presto riconoscibile. Toni Servillo è ovviamente all’altezza ma si deve adeguare ad una interpretazione che sfiora la caricatura, alla esaltazione delle particolarità fisiche e psicologiche di un personaggio diventato – ahi lui – una maschera carnevalesca, una impostazione teatrale di se stesso. Servillo più il trucco e l’imitazione è tra il comico e il tragico. Elena Sofia Ricci è molto brava, oltre che bella, motivo per cui è arrivata al Nastro d’Argento, forse esagerato.

Nel complesso un film quasi sufficiente, interessante e per qualche momento perfino divertente ma anche stancante e se non lo sconsiglio è solo per l’immensa stima che ho per Paolo Sorrentino.

Il titolo? Dice sempre l’autore: “È un film sulle paure degli individui e su alcuni italiani che fanno parte di un Paese che, perfettamente diviso tra Sud e Nord, da un lato possiede pregi, difetti, inerzie, eroismi e cialtronaggini del Sud e dall’altro certe sconvolgenti forme di calvinismo del Nord. Loro, alla fine, sono gli italiani.”



 
 
 

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