Lucy in the Sky (2019)
- michemar

- 20 feb 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 9 giu 2021

Lucy in the Sky
USA 2019 dramma 2h4’
Regia: Noah Hawley
Sceneggiatura: Brian C. Brown, Elliott DiGuiseppi, Noah Hawley
Fotografia: Polly Morgan
Montaggio: Regis Kimble
Musiche: Jeff Russo
Scenografia: Stefania Cella
Costumi: Louise Frogley
Natalie Portman: Lucy Cola
Jon Hamm: Mark Goodwin
Dan Stevens: Drew Cola
Zazie Beetz: Erin Eccles
Ellen Burstyn: Nana Holbrook
Colman Domingo: Frank Paxton
Nick Offerman: Dr. Will Plimpton
Pearl Amanda Dickson: Blue Iris
Tig Notaro: Kate Mounier
Jeffrey Donovan: Jim Hunt
TRAMA: Di ritorno sulla Terra dopo una lunga missione spaziale, l'astronauta Lucy Cola intreccia una relazione extraconiugale con il collega Mark Goodwin. Provata psicologicamente dal tempo passato nello spazio, Lucy inizia a perdere contatto con la realtà e ad allontanarsi dalla sua famiglia. Una spirale discendente che la proverà ulteriormente quando scopre che l'amante ha una relazione con un’altra collega.
Voto 6,5

“È cortisolo, ossitocina, dopamina. È un trucco, un inganno. Come il credere in Dio.”
Così dice Mark alla collega astronauta Lucy per spiegarle che ciò che prova, quella adrenalinica eccitazione, quella nevrosi ipervigilante che la tiene sveglia, esaltata, perfino sovraeccitata sessualmente (ma non con quel babbeo del marito) è solo una questione di ormoni. Insomma, una sensazione dopata che è assimilabile al fanatismo religioso di chi crede ciecamente e perdutamente in Dio. Forse sarà così, e forse no, perché Mark Goodwin non la conosce ancora bene quella collega completamente invasa dal suo lavoro, dal far parte della squadra migliore dei naviganti dello spazio che si allenano e volano per la NASA. Lucy è appena tornata da un fantastico viaggio sullo shuttle e l’ebbrezza provata non tanto nel volo quanto nella passeggiata outside l’ha marchiata a fuoco, non pensa ad altro se non ad un unico e fisso desiderio: tornare quanto prima a far parte dell’equipaggio selezionato e scelto per il prossimo volo. Non ha, si rende conto, la pazienza di attendere il turno giusto, dopo un meritato riposo, gli allenamenti adeguati e le visite mediche e psicologiche per rimettersi seduta in un modulo spaziale.

Non riesce a pensare ad altro: chiacchiera con il marito, con la nipote, con le altre persone, ma la mente ripete ossessivamente i dialoghi che solitamente intercorrono tra un astronauta e la base. Il controllo degli strumenti, delle misurazioni, dell’ossigeno di bordo, del carburante e via dicendo. È un continuo “check… check… check”, il “confermo” nella versione italiana. Pensa, ripete, ritma, osserva, sempre come se fosse a bordo, non se ne libera più. Guarda l’orizzonte e ricorda il sole che poteva godere nella sua tuta tecnologica per sopravvivere nello spazio senza aria, nel nero circostante dove il sole illumina il suo beato sorriso. Sì, è come una beatitudine mentale e fisica, quella che ha sentito nella mente e sul corpo galleggiando fuori dalla stazione spaziale da cui è uscita per l’escursione programmata. Fino al punto di trasgredire il programma previsto, fino al punto che il capitano di bordo l’ha pregata più volte di rientrare, avendo portato ormai a termine il compito assegnatole. Check, check, check, un ritmo di vita biologico personalizzato. E non serve che il responsabile le dica che non è necessario che si alleni in quella maniera tutti i giorni, in palestra, in pista, in piscina… prima che le tocchi di nuovo ci vorrà del tempo. Ed invece Lucy è sempre sul pezzo, vuole risalire a bordo sul prossimo vicino volo, vuole dimostrare a tutti che è ancora pronta.

Testarda, volitiva, tenace, sorda, va a casa dal marito devoto a lei e a Dio, sorride ma sembra finta. Il sesso non fa parte dei suoi pensieri, perlomeno con il consorte Drew, ma sentir parlare il collega Mark di voli e argomenti relativi la eccita anche in quest’altro senso, tanto da esserne attratta come non le capita da tempo immemore. L’importante è provare anche nel tempo libero la felicità di stare a parlare, a bere, a giocare a bowling con le persone con cui lavora: forse è l’odore della pelle e dei vestiti che hanno, forse sono i visi che le ricordano la base, forse frequentarli e darsi agevola e abbrevia il percorso per salire nell’ascensore che porta sullo shuttle. Chissà. Certo è che questa Lucy ha la stessa caparbietà del personaggio che anni fa lanciò nello spazio del cinema mondiale la medesima attrice: Mathilda, indimenticabile ragazzina con stivaloni per le strade di Little Italy in compagnia di Leon. O perlomeno Natalie Portman ha la stessa espressione, la stessa grinta, lo stesso sorriso di chi sa che non mollerà l’obiettivo di stare lì, sempre sul pezzo come la piccola discepola del killer di Luc Besson. La differenza sostanziale è che lì la ragazzina era attenta e conscia di un futuro senza domani, qui la donna è confusa inconsapevole e primadonna convinta di essere la migliore in assoluto. Il suo comportamento sconsiderato e palesemente sconclusionato nel finale che non la porterà alle conclusioni sperate, la ricerca della vendetta, in linea con una persona che non sa più controllarsi, la ricerca nel fondo dell’ennesimo bicchiere della strategia giusta, hanno un unico inevitabile sbocco: la sconfitta in tutte le battaglie che sta conducendo. Lucy in the sky with(out) the diamonds (puntuale che i Beatles arrivino al momento giusto). Lucy è sola. Lucy fa check solo con se stessa. Lucy vedrà il sole sulla terra solo due volte apparire e sparire dietro l’orizzonte, non più infinite volte orbitando a gran velocità nel buio/luce dello spazio.

È il film più noto tra i pochi che il poliedrico regista statunitense Noah Hawley ha girato tra i numerosi impegni in cui si districa: scrittore, sceneggiatore, produttore televisivo e compositore, si è distinto ultimamente in alcuni episodi della serie di successo Fargo (una bestemmia per me e per chi considera un cult intoccabile il titolo dei Coen). Fatto sta che quella e le altre serie sono molto viste e sono caratterizzate dai nomi curiosi (così leggo) che abbina ai personaggi. E qui non si smentisce, facendo pensare ad un suo vezzo personale. La nostra eroina astronauta infatti si chiama Lucy Cola (!), il suo collega esuberante che la affascinante è Mark Goodwin (ricordate il vero Alan Goodwin in volo su un vero shuttle?), nomi quindi particolari che però nascondono una storia di cronaca realmente successa alla prima astronauta della storia ad essere arrestata, Lisa Nowak, donna che nel 2007 è stata fermata dalla polizia ad Orlando (in Florida) con l'accusa di tentato sequestro e rapina e tentato omicidio del capitano della USAF Colleen Shipman, la sua rivale in amore.

A prescindere dalle belle presenze di Jon Hamm nel ruolo di Mark Goodwin e di Zazie Beetz in quello di Erin Eccles - la cadetta in ascesa divenuta la donna del primo prendendo il posto della svitata protagonista - la vera mattatrice del film è Natalie Portman, che non finisce di stupire per l’impegno che mette in ogni ruolo in cui viene scelta. Solitamente impegnata in drammi, saltuariamente in film d’azione fantascientifici (non dimentichiamo i vari Avengers e Thor, ma figura centrale nell’interessante ma passato inosservato Annientamento), fa specie osservarla in un impegno come questa volta, un dramma umano sì, ma fortemente incentrato su un personaggio fuori dalle righe e dagli schemi attendibili. Con la grinta che caratterizza spesso le donne piccole (lei pesa sì e no una cinquantina di chili in 1 metro e 60 cm.), è una Lucy scattante, nervosa, sveglia, ma poco presente avendo la testa sempre rivolta ai meccanismi mentali della sua professione, sempre in volo pur se con i piedi sulla terra, continuamente rivolta verso la successiva missione spaziale. Una malattia. Fino all’imbarazzante epilogo. Dopo gli sforzi fatti per essere la migliore, la più forte, la più adatta fisicamente, la più idonea mentalmente e quant'altro per partire, ritorna a casa e inevitabilmente cade a pezzi. Lei e la sua esistenza. Jon Hamm, dal suo canto, è ovviamente a suo agio con quel ruolo da divorziato in cerca di avventure amorose, che poi scatena la insensata gelosia di Lucy. Nota ed elogio a parte per una signora anziana che meraviglia sempre più per come sta recitando alla sua veneranda età (si sta avvicinando ai 90 anni): Ellen Burstyn, attrice meravigliosa che catalizza l’attenzione come quando era giovane, come è recentemente successo con il bellissimo Pieces of a Woman (recensione), prestazione per la quale fioccano candidature.

In buona sostanza, un film non eclatante, che viaggia con poca originalità, che arriva alla fine con scarsa suspense, contrassegnato dalla fantasia del regista che, forse per darsi un tono di ebbrezza visiva, sovraccarica la visione con continui cambi di aspect ratio, il rapporto di aspetto delle inquadrature, passando spesso ai 4:3, oppure con improvvise inquadrature dall’alto. Esercizio stilistico che non porta mai a una apparente logica. Il motivo della scelta del soggetto ce lo spiega lo stesso Noah Hawley: “Andare nello spazio e vedere il mondo da una prospettiva del tutto differente per poi far ritorno con i piedi sulla Terra mi è sempre sembrato qualcosa di molto strano ma interessante. Gli studi dimostrano come gli astronauti che hanno vissuto tale esperienza spesso possano avere problemi di cambiamento della personalità e provare sentimenti di disconnessione della realtà. Per Lucy Cola, ciò assume un significato del tutto particolare e i cambiamenti indotti dallo stare nello spazio la portano a guidare freneticamente attraverso gli Stati Uniti per affrontare un ex e la sua nuova fidanzata. La mia attenzione si è concentrata sul voler capire il modo in cui la protagonista agisce. Ero molto interessato a esplorare la psicologia alla base delle sue azioni.”






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