Mai raramente a volte sempre (2020)
- michemar
- 4 mar 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Mai raramente a volte sempre
(Never Rarely Sometimes Always) USA/UK 2020 dramma 1h41’
Regia: Eliza Hittman
Sceneggiatura: Eliza Hittman
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Scott Cummings
Musiche: Julia Holter
Scenografia: Meredith Lippincott
Costumi: Olga Mill
Sidney Flanigan: Autumn
Talia Ryder: Skylar
Théodore Pellerin: Jasper
Ryan Eggold: patrigno di Autumn
Sharon Van Etten: madre di Autumn
TRAMA: Una coppia di ragazze adolescenti della Pennsylvania rurale si reca a New York per cercare assistenza medica dopo una gravidanza indesiderata.
Voto 7,5

Un titolo cosiffatto mi destava perplessità e voglia di passare oltre (che errore, mai fidarsi di un titolo!) ma un po’ i giudizi assegnati dagli appassionati, un po’ la curiosità proprio dell’intestazione mi hanno avvicinato e ho iniziato la visione con scetticismo. Ed invece il film mi ha lentamente svegliata l’attenzione, mi ha interessato ed infine coinvolto, attratto dalla narrazione accurata, dalla importanza e delicatezza dell’argomento e dalla bravura delle due protagoniste. Un insieme che hanno un nome ed un cognome: Eliza Hittman. Con la sua regia sensibile e priva di giudizio, ci conduce in un mondo di silenzi e sguardi di due ragazze giovani e intimorite dalla Città della Mela, troppo grande per loro che sono arrivate da un altro universo, la provincia americana della Pennsylvania. Vi si aggirano insicure ma determinate, con pochi dollari ma con la volontà di non vanificare la missione.
L’autrice, che affronta dirigendo e scrivendo per la terza volta un’opera prettamente dedicata alle adolescenti e alla loro età turbolenta nel periodo della crescita, utilizza tutto il tatto umanamente possibile per raccontarci con estrema sensibilità la sofferenza intima di una giovane ragazza dal nome decadente ma speranzoso di dolce e riposante intervallo naturale: Autumn. La dolce e quieta Autumn (la sorprendente esordiente Sidney Flanigan) si è ritrovata incinta e inconsapevole e, come tutte le diciassettenni come lei, non sa cosa fare, come fare, con quali mezzi e dove recarsi per trovare la soluzione che vede come unica e che ha un termine per nulla piacevole. L’aborto è un diritto delle donne ma per loro molto spiacevole ed è anche e soprattutto una sofferenza fisica e psicologica. Figuriamoci per una adolescente per nulla ribelle, anzi, tranquilla. L’unico appoggio morale e sostegno amicale-parentale è quello della cuginetta più grande (20 anni) Skylar (Talia Ryder), che non la lascerà mai abbandonata al suo destino e al suo peregrinare newyorkese, fino perfino a sacrificarsi in una concessione per autofinanziare l’impresa quando i soldi sono finiti prima del previsto. La loro amicizia è solida e sodale e non vedrà mai un attimo di cedimento, neppure nei momenti di sbandamento.
Eliza Hittman sceglie la strada del primo piano, sia sul volto della cugina che, soprattutto, di quello pulito ed espressivo di Autumn, a cui Sidney Flanigan bastano minimi movimenti facciali, come una grande ed esperta attrice, per parlare all’obiettivo, per descrivere i tormenti e i dubbi che la affliggono. Nella cittadina di provincia non aveva modo di risolvere il problema ed allora lei decide di partire alla volta della grande metropoli in cui spera di trovare la via d’uscita alla situazione in compagnia della fidata Skylar e un piccolo gruzzolo di banconote con la speranza che bastino.

Un primo consultorio e poi un secondo, dopo aver vagato per New York per trovare il giusto indirizzo, e la necessità di fermarsi per due giorni, svuotando per giunta il misero portafoglio per pagare almeno una parte del costo dell’intervento abortivo, mentre sul marciapiede di fronte alla clinica urlano e protestano i soliti manifestanti pro-vita, ossessionati affinché gli altri adottino la loro mentalità, proprio quando questa ragazza non sa come e cosa fare della piccola creatura che porta in grembo. È già combattuta di suo e vedere quei dimostranti per strada la destabilizzano ancor di più. Mai, raramente, a volte, sempre: sono quattro avverbi temporali e costituiscono il titolo ed una sorta di mantra che la gentilissima e delicata receptionist della clinica le ripete nel questionario che deve compilare prima di iniziare le pratiche dell’intervento. Mai, raramente, a volte e sempre sono le risposte possibili durante un colloquio con la consulente alle domande tipo: quante volte fa sesso in un anno, se ha avuto più partner, se ha praticato anche sesso anale e orale, se è decisa a quel passo, se non è costretta. E fino a quel punto Autumn risponde coscienziosa e tranquilla, ma quando arrivano le domande più sofferte (se qualcuno la costringe all’aborto, se qualcuno l’ha costretta a rapporti non consenzienti, o a rapporti con altri, se ha subito pressioni psicologiche) la ragazza cede a livello nervoso e soffre piangendo. Qualche volta, qualche volta, qualche volta. Sono risposte che fanno male, che fanno ricordare e riflettere sui momenti difficili della breve vita vissuta. Ma non cambia idea, anche per merito della consulente che si mette a completa disposizione e che la accompagnerà il giorno dopo in sala chirurgica.
Se il film ci mantiene sulle spine per buona parte, questa è la scena più fragile, più spinosa di tutte, quella in cui la ragazza tocca il momento più difficile della trasferta, trascinando con sé l’emotività dello spettatore più sensibile, che si è compenetrato nelle tribolazioni di una ragazza così giovane. La pellicola non si sofferma sulla causa dell’aborto, non essendo questo l’obiettivo dell’interesse della regista, ma piuttosto sulla reazione di Autumn sia al suo stato che ai rimedi che si sente di prendere, e poi alla necessaria scomodità di riflettere sui suoi pochi anni in cui ha affrontato psicologicamente il passato davanti alla consulente, la relazione con il padre, la possibilità di una violenza sessuale. E il viaggio per le strade, il bus e la metro diventa il viaggio intimo e silenzioso attraverso le emozioni e le scelte di una giovane donna. Un percorso fisico che si fa interiore, dove ogni passo è carico di significato. Si toccano temi profondi come il femminismo, gli abusi e la moralità delle scelte. E quei manifestanti in strada cono il contraltare di un altro modo di pensare e agire. La Hittman non si schiera in una delle due fazioni (al massimo compatisce la situazione) ma ci pone il problema vero e pratico e ci costringe a metterci nei panni di questa dolce giovane e di conseguenza a dover decidere. A maggior ragione quando risulta che non è di 10 settimane, come le avevano detto nel paese, ma di ben 18. Il che vuol dire far pesare ancora di più la decisione e aggravando la decisione.
I primi piani sul suo viso e sugli occhioni di Skylar sono il racconto morale del film e la loro vicinanza viene consolidata dalle dita che si toccano quando quest’ultima deve concedere un po’ di se stessa al giovane Jasper (Théodore Pellerin) che le presterà (?) del denaro per riprendere l’autobus che comunque le riporterà a casa, troncando il film. Tanto, il dopo non interessa più, quello che doveva essere esposto era già stato raccontato. Ora si torna alla normalità con una importante esperienza da tenere a mente. Un racconto di formazione? Forse, ma non basta come definizione: è molto di più. Tutto merito di una regista sensibilissima per la quale non si può, però, ripetere la solita cantilena di un film al femminile scritto e raccontato da una donna. No, la trovo antipatica come definizione, ma va detto che poche volte come questa vale e pesa, più di altre.
Il film è una bella meraviglia e gli elogi devono obbligatoriamente andare anche alle due protagoniste, in special modo alla sorprendente esordiente Sidney Flanigan, che è capace di regalare una performance intensa che esprime la vulnerabilità del personaggio come un’attrice esperta, comunicando più con gli occhi che con le parole. Mentre la fotografia di Hélène Louvart cattura la solitudine delle strade, i volti sfocati nei bus notturni, le luci di New York che sembrano danzare con le emozioni dei personaggi e la colonna sonora minimalista di Julia Holter accompagna il viaggio, sottolineando i momenti di silenzio e introspezione. E poi ancora la scenografia di Meredith Lippincott e i costumi di Olga Mill: un cast tecnico quasi completamente di donne, le uniche titolate ad esprimersi con la macchina da presa, la scrittura e i mezzi tecnici, come è giusto che sia.
La regista racconta l’idea del suo lavoro: “Sebbene parli innegabilmente di temi che occupano l'agenda sociale e politica del terzo millennio e delle questioni inerenti alle scelte delle donne di fronte a una gravidanza e all’accesso alle cure sanitarie, il mio film ha origine da una storia accaduta alla fine dell'autunno del 2012 quando tutto il mondo è venuto a conoscenza della morte di Savita Halappanavar, una dentista ventottenne che viveva in Irlanda. La donna era incinta del suo primo figlio ed era già in critiche condizioni quando venne ricoverata in un ospedale di Galway. Le complicazioni spinsero la donna a richiedere un aborto d’urgenza ma le fu respinto. Ed è così che, contraendo la sepsi, morì il 28 ottobre, una settimana dopo essere arrivata in ospedale. Leggendo la vicenda, ricordo di essermi sentita devastata. Mi informai subito su internet delle leggi sull’aborto in Irlanda e scoprii come l’aborto fosse considerato un crimine. Alcune donne riuscivano ad abortire andando in altri Paesi, dove la procedura era legale: a proposito, ho anche letto un saggio di Ann Rossiter su un sistema clandestino messo a punto per aiutare le irlandesi ad andare in Inghilterra. Ho trovato quasi avvincenti i resoconti dei viaggi delle donne e da lì è nata l'idea di scrivere in un primo momento una vicenda ambientata in Irlanda. Poiché poi ho ritenuto il progetto troppo ambizioso, ho mi son detta: perché non realizzarne una versione tutta americana?”
In conclusione, siamo di fronte ad un film che si fa strada nel cuore lasciando un’impronta, un viaggio che ci ricorda che ogni scelta ha un peso, ogni silenzio una voce. E forse, proprio nei silenzi, si nasconde la verità più profonda.
Una bella sorpresa, per me.

Riconoscimenti
2020 - Festival di Berlino
Orso d'argento, gran premio della giuria
2020 - Sundance Film Festival
Premio speciale della giuria: U.S. Dramatic
e premi al Boston Society of Film Critics Awards (per Sidney Flanigan), al Chicago Film Critics Association Awards (migliore sceneggiatura originale), al New York Film Critics Circle Awards (attrice e sceneggiatura) e altri ancora.
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