Maledetti vi amerò (1980)
- michemar

- 30 set
- Tempo di lettura: 3 min

Maledetti vi amerò
Italia 1980 dramma 1h24’
Regia: Marco Tullio Giordana
Sceneggiatura: Vincenzo Caretti, Marco Tullio Giordana
Fotografia: Giuseppe Pinori
Montaggio: Sergio Nuti
Musiche: Franco Bormi
Scenografia: Renato Agostini
Costumi: Annabella Andreoli
Flavio Bucci: Riccardo “Svitol”
Biagio Pelligra: il commissario
Alfredo Pea: Vincenzo
Micaela Pignatelli: Letizia
Anna Miserocchi: la madre
Agnes De Nobecourt: Guya
Stefano Manca di Villahermosa: Carlino
David Riondino: Beniamino
Pino Daniele: un tossico
TRAMA: Svitol ha passato in America Latina gli ultimi cinque anni: al suo ritorno in Italia realizza che gli ideali che animarono il ‘68 sono inevitabilmente in crisi. L’uomo stringe rapporti con un commissario di polizia, promettendogli di svelargli piani terroristici quando i due si incontreranno a Roma.
VOTO 6,5

Premessa. Il Sessantotto fu un anno di rottura e speranza: studenti e operai scesero in piazza in tutta Europa per chiedere più libertà, più giustizia, più voce. In Italia, il movimento si tradusse in occupazioni universitarie, scioperi, assemblee, e in una nuova coscienza politica. Ma con il passare degli anni, molti ideali si scontrarono con la realtà: alcuni militanti si radicalizzarono, altri si ritirarono, altri ancora si adattarono al sistema che avevano contestato.
Riccardo detto “Svitol” (Flavio Bucci), protagonista attivo del Sessantotto, torna in patria dopo cinque anni in Venezuela. Giunto in Italia, si ritrova spaesato di fronte agli enormi cambiamenti a cui il paese è stato soggetto. In particolare, rimane confuso dai vecchi amici e compagni di militanza. Guya (Agnes De Nobecourt), una vecchia fiamma, gestisce un negozio e ha una figlia di cui non conosce il padre e si comporta da donna borghese ed emancipata. Carlino (Stefano Manca di Villahermosa), invece, è diventato ricco grazie ad una serie di investimenti in borsa. Paradossalmente, l’unica persona con cui Svitol riesce a capirsi è un commissario di Polizia (Biagio Pelligra). Allora, comincia a interrogarsi sul senso del decennio di protesta appena trascorso. Da alcune riviste, per esempio, copia su carta i contorni dei cadaveri di alcune vittime della violenza che ha caratterizzato gli anni ‘70. Il fatto che le didascalie sulle riviste, che identificano una vittima come persona di destra o di sinistra, spariscano nel momento in cui lui riproduce a matita i contorni dei cadaveri, lo fanno dubitare della bontà di alcune sue posizioni e idee del passato.

Sostanzialmente, il film di Marco Tullio Giordana, che sempre bilanciato il cinema politico con i drammi della vita quotidiana, racconta proprio questo: il dopo. Quello che scopre con sorpresa il protagonista è che la politica non è più una passione, ma un ricordo scomodo. La pellicola mostra il disincanto di chi ha creduto in una rivoluzione e si ritrova solo. Riccardo non cerca vendetta né gloria ma cerca di capire se c’è ancora qualcosa per cui valga la pena lottare. Parla con un commissario, osserva la sua famiglia, si muove tra periferie e silenzi. Ma non trova risposte.
Giordana dirige con uno stile sobrio, quasi da reportage. La fotografia è grigia, realistica, e accompagna bene il senso di smarrimento. Flavio Bucci interpreta Riccardo con intensità: è un uomo che non urla, ma che non ha smesso di pensare. Il titolo, come si può intuire, è una dichiarazione contraddittoria, è il grido di chi non riesce a odiare, nonostante tutto. Un film che non offre soluzioni, ma invita a riflettere su cosa resta dopo l’ideologia.
Il cinema politico italiano degli Anni Ottanta.
Riconoscimenti
Locarno 1980
Pardo d’Oro
Il film completo:






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