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Matthias & Maxime (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 set 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

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Matthias & Maxime

(Matthias et Maxime) Canada/Francia 2019 dramma 1h59’

Regia: Xavier Dolan

Sceneggiatura: Xavier Dolan

Fotografia: André Turpin

Montaggio: Xavier Dolan

Musiche: Jean-Michel Blais

Scenografia: Colombe Raby

Costumi: Xavier Dolan, Pierre-Yves Gayraud

Gabriel D'Almeida Freitas: Matthias Ruiz

Xavier Dolan: Maxime Leduc

Pier-Luc Funk: Marc-Antoine Rivette

Samuel Gauthier: Frank

Antoine Pilon: Brass

Adib Alkhalidey: Benjamin Shariff

Anne Dorval: Manon

Catherine Brunet: Lisa

Marilyn Castonguay: Sarah

Micheline Bernard: Francine

Harris Dickinson: Kevin McAfee

TRAMA: Due amici di infanzia si baciano per le esigenze di un cortometraggio amatoriale. Il bacio, apparentemente innocuo, insinua dubbi ricorrenti nei due ragazzi, portandoli a confrontarsi con le loro preferenze, sconvolgendo l'equilibrio della loro cerchia sociale e rimettendo in discussione le loro vite.

Voto 7


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L’amicizia, l’innamoramento, il sentimento, il rapporto con la mamma: Xavier Dolan gira sempre intorno e dentro questi argomenti, che a volte si ripetono ossessivamente, altre volte li guarda in panoramica o fotografando da vicino i suoi personaggi. Spesso da vicino, perché per scavare e scoprire le emozioni dei numerosi protagonisti delle sue storie utilizza frequentemente i primi piani, se non a volte primissimi, baserebbe ricordare le scelte tecniche in È solo la fine del mondo (recensione). Dove a far da padrona c’è sempre, ovviamente, una madre invasiva, perenne figura che lo assilla e condiziona il comportamento del principale attore delle storie che racconta. E anche questa volta gioca con il formato dello schermo, quasi per dare una sferzata, una virata al momento del cambiamento.


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Matthias e Maxime sono amici dall’infanzia, si conoscono a menadito, sono cresciuti l’uno in casa dell’altro, oltre che per strada e soprattutto nel gruppo dei loro intimi amici, chiassosi e armonici, fino a farli sembrare una band in continua esibizione. Sicuramente in sintonia i due sono sempre stati ma chissà come e perché sarebbe scoccata la scintilla per farli avvicinare ancora di più. C’è voluto il caso, uno dei tanti giochi organizzati nella compagnia, una scommessa persa e Matt deve pagar pegno: partecipare ad un cortometraggio – in verità un cortissimo – che Érika Rivette (un omaggio cinefilo?), la sorella di uno di loro, Marc-Antoine, ha deciso di filmare, dove qualcuno deve baciare l’altro attore, che poi è proprio Max, in un filmino sperimentale “contemporaneamente impressionistico e espressionistico”, giusto per capire quale indeciso entusiasmo la anima. Crescendo, i due hanno seguito strade molto diverse. Matt è avvocato controvoglia e quasi obbligatoriamente ha davanti a sé una buona carriera, mentre Max è ancora senza un futuro ben delineato, (s)combinato tra un lavoro saltuario in un bar e la madre depressa alcolizzata e tossicodipendente (non serve fare scommesse: è ancora Anne Dorval, purtroppo deformata nella sua età non più giovane). Ha deciso di dare un taglio netto con la sua vita senza sbocchi e di partire per l’Australia, che più lontana non può essere sull’atlante e nella mente di quei ragazzi ancora spensierati.


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La partenza di Max si avvicina e lui la allontana psicologicamente ogni giorno, come un evento lontano che vede necessario ma che vorrebbe scostare, come un calice di veleno. Poi, appunto, quella scintilla, quel contatto forzato consistente in un innocente bacio tra lui a l’amico di sempre, gesto che dura un attimo (e che il Dolan regista nasconde dietro lo smartphone che li inquadra) ma che scongela ciò che poteva e doveva nascere tra i due come un destino pre-scritto. È il momento in cui i due, come d’altronde il resto della comitiva, ancora non hanno capito chi sono e chi (cosa) diventeranno, un test mentale, una prova che sul momento scatena la reazione in entrambi. Fanno finta di nulla, si spiano sottecchi, continuano le loro ordinarie attività, compreso le risate e i litigi della affiatata comitiva, fino al momento in cui diventa necessario, direi forse impellente, chiarire anche a se stessi il loro rapporto. L’occasione giunge, chiusi nel bagno, dove si baciano veramente, sono lì per desiderarsi veramente. Intimità interrotta dallo sbotto di Matt, sicuramente più borghese e più insicuro e spaventato dell’amico: “Noi non siamo così.” Intanto il fatto è successo e ora si guardano differentemente rispetto a prima. Anche se hanno destini diversi, quel qualcosa che è accaduto cade nel vuoto solo apparentemente e l’ultima inquadratura ci porta un sorriso d’addio che è più di un saluto, molto di più.


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Oramai dopo 10 anni di regia, appellare Xavier Dolan ancora come l’enfant prodige del cinema mondiale è fuorviante: lo è stato sicuramente ed è ancora giovane per essere un trentenne che un film come questo e nonostante il suo talento così precoce lo dobbiamo considerare a questo punto un cineasta più che maturo. Con il suo ottavo lavoro conferma pienamente il suo stile e i suoi argomenti preferiti, anche se secondo me questo ultimo non è tra i migliori in assoluto, sicuramente inferiore a parecchi, molto vicino per argomentazioni a quello è invece uno dei suoi migliori, Tom à la ferme (2013). Come in quel film infatti, il processo di avvicinamento al fratello del suo compagno, Francis, avviene lentamente e con sussulti caratteriali. È sempre fortemente apprezzabile la sincerità con cui il giovane regista si disvela allo spettatore, a cui non ha mai nascosto la sua personalità, i sentimenti passionali che lo muovono, con il suo cinema altrettanto passionale, fatto di impeti, luci e ombre, colori accesi, di primissimi piani su visi parlanti anche quando muti, intensamente esaltato da reazioni umanissime come lacrime e risate spontanee, sempre franche ed oneste. Perché il suo cinema è onesto, è verità, è autobiografico di slancio, che lui reciti o no. La vita è sì imprevedibile ma tante volte dobbiamo fare delle scelte e se la famiglia non ti aiuta ti senti perso e quindi torni nella tua fottuta solitudine per godere ciò che ti è rimasto. Nelle sue sceneggiature, Xavier si apre come un sipario sul palco della vita e mostra la sua anima. Anche in questa occasione, non la migliore, ma con la stessa freschezza di cui la sua età è fornita. Il mezzo che usa è sempre quello della parola, con dialoghi fitti, a volte diluvianti, sovrapposti, urlati, spesso trattenuti, come appunto nel film di Tom o come di quel Louis-Jean che non riesce a farsi ascoltare dai familiari per avvertirli che è un malato terminale, oppure ancora come ne La mia vita con John F. Donovan (recensione).


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Il film ci insegna che trovare il proprio posto nel mondo è una difficile impresa che però va affrontata nei primi vent’anni di vita. Si fanno scelte non sempre giuste e se si indovinano e si arriva al successo, spesso, si resta soli, fin quando, per fortuna, entrano in scena persone che possono dare punti di riferimento, come veri amori o – a pari valore – sincere amicizie, come accade appunto in questa occasione dove vediamo giovani di diversa estrazione sociale e di classe diversa che, arrivati ad una certa età devono decidere qual è il loro posto nell’universo dell’umanità. Parlando di sentimenti normali e quotidiani, Xavier Dolan dà sempre e comunque una scossa alle emozioni dello spettatore che comprende i disagi dei ragazzi: che si chiamino Hubert, Francis, Laurence, Steve, Louis-Jean, John oppure Maxime non cambia nulla. Dal primo piano alla figura intera, in un continuo close-up. Come piace a lui.



 
 
 

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