Messaggero d’amore (1971)
- michemar
- 2 giu 2022
- Tempo di lettura: 6 min

Messaggero d’amore
(The Go-Between) UK 1971 dramma 1h56’
Regia: Joseph Losey
Soggetto: L.P. Hartley (romanzo ‘L’età incerta’)
Sceneggiatura: Harold Pinter
Fotografia: Gerry Fisher
Montaggio: Reginald Beck
Musiche: Michel Legrand
Scenografia: Carmen Dillon
Costumi: John Furniss
Julie Christie: Marian Maudsley - Lady Trimingham
Alan Bates: Ted Burgess
Margaret Leighton: Lady Madeleine Maudsley
Michael Redgrave: Leo Colston (adulto)
Dominic Guard: Leo Colston (tredicenne)
Michael Gough: Lord Maudsley
Edward Fox: Hugh Trimingham
Richard Gibson: Marcus
Simon Hume-Kendall: Denys
Roger Lloyd-Pack: Charles
Amaryllis Garnett: Kate
TRAMA: Inghilterra, estate del 1900. Leo, un bambino di tredici anni, trascorre le vacanze nella tenuta di campagna di un amico. Qui l'aristocratica Marian ha una storia d'amore con il fattore Ted e i due amanti si servono di lui per scambiarsi appuntamenti e lettere appassionate. Il conformismo e l'ipocrisia della società avranno però il sopravvento e anche la personalità di Leo ne verrà segnata irrimediabilmente.
Voto 8,5

“Il passato è una terra straniera; fanno tutto in modo diverso laggiù. Quando mi sono imbattuto nel diario, giaceva sul fondo di una scatola di cartone, rossa e piuttosto ammaccata, in cui da ragazzo tenevo i miei colletti di Eton. Qualcuno, forse mia madre, l'aveva riempita di tesori che risalivano a quel tempo. Mentre li tenevo in mano, per la prima volta dopo cinquant'anni, mi assalì il ricordo, tenue come la forza delle calamite, ma tuttavia chiaro, di quel che ciascuna aveva significato per me. Tra noi era intervenuto qualcosa: il piacere del riconoscimento, il brivido quasi mistico di averle possedute. Sensazioni che, a sessant'anni, mi facevano vergognare.”
Leo Colston da 'L’età incerta' (The Go-Between) di L.P. Hartley, 1953

Tratto dal romanzo L'età incerta di Leslie Poles Hartley, Joseph Losey sviluppa il film in un unico e continuo flashback interrotto solo da rare e brevi sequenze al presente, tramite le quali ci rendiamo conto che il protagonista Leo Colston, ormai adulto, torna nel luogo che gli era rimasto nel cuore e dove aveva imparato tante cose, anche negative a sue spese. Allora tredicenne e di famiglia poco abbiente, era stato invitato a passare l'estate nella villa di Marcus Maudsley, un ricco compagno di scuola, sita in una enorme tenuta di campagna dove era arrivato con un solo vestito per giunta invernale. Accolto cordialmente da tutta la famiglia e trascorrendo le giornate in compagnia dell’amico giocando e scherzando, entra presto nelle grazie della sorella maggiore Marian, che si cura prontamente di comprargli vestiti più adatti alla stagione e più consoni all’ambiente. Presto si spiega tale accoglienza da parte della giovane, la quale dopo qualche giorno di soggiorno gli chiede il favore, una volta conquistata la sua simpatia, di consegnare una lettera indirizzata al prestante fattore Ted Burgess che vive e lavora nella tenuta. Innocentemente, il ragazzino esegue l’incarico ricevuto e per tutta risposta anche l’uomo ha un messaggio da consegnare alla ragazza.

L’estate è lunga e molto calda e tra pranzi, cene, gite per il bagno nel vicino fiume, giochi e passatempi, il piccolo Leo continua a far la spola con le buste delle lettere tra i due innamorati senza mai farsi scoprire dagli altri ma soprattutto dal fratello della ragazza e dalla madre, Lady Madeleine, persona di forte temperamento che ha in pugno l’intera famiglia, sovrastando anche il padrone di casa, Lord Maudsley. Leo è giovanissimo e, per questo, innocente e ingenuo, tanto da diventare insistente con la seconda persona con cui lega di più, proprio il fattore Ted, a cui chiede chiarimenti su cosa veramente consista l’amore e il sesso. Illuso di avere i favori di Marian, invece impara amaramente cosa volesse dire allora la differenza di classe e la perfidia che si nasconde dietro il formalismo della società vittoriana: buone maniere che nascondevano il distacco orgoglioso e altezzoso tra i nobili e la società della gente media e contadina. Se ne accorgerà subito, quando appena in una occasione rifiuterà di fare ancora una volta da postino, la deludente Marian – intanto promessa sposa ad un suo pari grado sociale, Hugh Trimingham - lo maltratta e lo mette in guardia sulla differenza che esisteva tra loro, trascurando ovviamente quella esistente con il fattore che l’amore e il sesso avevano cancellato. L’estate finirà e Leo tornerà più volentieri dalla mamma rispetto a quello che avrebbe pensato. Ma ritornerà in quel luogo a 60 anni, perché l’anziana Marian ha un ultimo compito da affidargli, molto più importante: lui guarda con nostalgia quel posto, andando con la memoria a quell’estate che non dimenticherà mai, conclusasi tragicamente.

Il miracolo del film è un binomio: Joseph Losey e Harold Pinter, il regista e lo sceneggiatore, che fu anche grande drammaturgo, regista teatrale, attore teatrale, scrittore e poeta. Anche se il loro primo incontro fu disastroso. È Losey a raccontarlo: “Mi scontrai con Harold, che era tutto salvo che modesto, perché non era ancora certo di essere Harold Pinter. Lui dichiarò: ‘Non ho l'abitudine di scrivere le parole che mi vengono date, e non mi piace farlo’. Temeva che io cercassi di attenuare il suo tema. Fu una serata pesante, nella quale tutti si ubriacarono abbondantemente, tranne me, che per fortuna ero in uno dei periodi in cui non bevevo. Se quella sera non fossi stato sobrio, non ci sarebbe mai stato Il servo, perché verso le tre e mezza del mattino dissi ad Harold: ‘Mi dia le mie note che ha lì in mano’. Gliele strappai e poi aggiunsi: ‘Torni a trovarmi domani a mezzogiorno, berremo un bicchiere e ripartiremo da zero’. È quello che abbiamo fatto. Dopo quella prima serata, abbiamo lavorato insieme per oltre 14 anni”. Insieme, hanno scritto Il servo, L'incidente, Messaggero d'amore. Losey ha lavorato anche con altri giganti, Stoppard, Mercer, Semprun. E Pinter ha scritto film per Kazan, Reisz, Schrader. Ma probabilmente ha ragione il regista quando constata: “Penso che le sceneggiature che Harold ha scritto per me, incluso Proust [film poi mai girato], che è l'apice del suo talento, siano assolutamente diverse da tutto ciò che ha fatto per altri. Le sceneggiature portano sempre il suo marchio, è fuori dubbio, ma guardi gli altri film che ha scritto: non sono come quelli che ha scritto per me. Nel dialogo è brillante. Nell'economia della scrittura è straordinario. Nell'evocazione visiva è magnifico.”

Dopo queste rivelazioni cos’altro si può scrivere di questo film? Ci si deve limitare a dire che è meraviglioso, che sul piano scivoloso e tradizionale di una storia d’amore ci parla con stile del tutto caustico e britannico del divario tra i ceti, dell’ingenuità di un adolescente che ha voglia di crescere cercando di conoscere di più della vita, che resta incantato dalla esistenza agiata di certe famiglie che lui non avrebbe mai vissuto, che il cinema di Losey è incisivo e graffiante, elegante e spietato, che da americano ripudiato dalla Commissione per le attività antiamericane (stava lavorando in Italia, quando nel 1951 decise di autoesiliarsi in Gran Bretagna), si dedicò con forza nel cinema inglese sfornando capolavori dopo capolavori. Soprattutto una triade indimenticabile costituita da Il servo del 1963 (il mio preferito), che sconvolse la critica ed il pubblico con la seducente volgarità di Bogarde - attore che deve a lui e a Visconti l’imprinting del grande -, L’incidente del 1970, il più glaciale ma anche il più oxfordiano, ed infine questo del Messaggero, dove appunto un tredicenne è colpito a morte nell’anima dall’ipocrisia sessuale e classista dell’era vittoriana. A prescindere dall’altro capolavoro assoluto che è Mr. Klein (mi raccomando: monsieur, non mister!) prodotto con capitali di Italia e Francia nel 1976, uno dei film più spietati e lucidi sull’olocausto. Una lunga cavalcata iniziata nel 1948 con il bellissimo Il ragazzo dai capelli verdi, apologo raccontato dal punto di vista del bambino che diventa un atto di accusa al razzismo e un invito alla libertà e alla tolleranza.

Detto tutto il bene possibile della regia, quella di un autore che non tutti conoscono come merita, ogni elogio va attribuito alla ambientazione, alla natura che circonda i personaggi, ai colori della campagna inglese, all’atmosfera che si crea come magia intorno a loro, così british che se ne resta ammirati e incantati, con attori perfettamente vestiti e in parte, cominciando dalla bellezza, mai sfiorita ancora oggi, di quella grande attrice che è Julie Christie, allora 31enne pur se riesce a presentarsi apparentemente molto più giovanile. Impassibili e inflessibili Margaret Leighton e Michael Gough (Lady e Lord Maudsley), mentre Edward Fox è Hugh Trimingham, l’adeguato partito ideale per un buon matrimonio con la protagonista. Ma, oltre ovviamente alla bella Christie, gli apprezzamenti vanno tutti ad Alan Bates, l’aitante, rude e innamorato Ted Burgess, e al piccolo vivace e intelligente Dominic Guard che è il giovanissimo Leo Colston fulcro della trama, chiamato dal fattore Mercurio, come il messaggero degli dei.
Film meraviglioso, come le musiche di Michel Legrand, che con quattro note ripetute in tonalità diverse dà il perfetto tono drammatico alla visione.



“Il passato è una terra straniera.” Il cinema italiano (e soprattutto uno scrittore italiano, Gianfranco Carofiglio) aveva già reso omaggio a Harold Pinter con un titolo che era quindi l’esordio di una delle più belle sceneggiature che egli avesse scritto: il titolo del film di Daniele Vicari e dell’omonimo romanzo è infatti la prima frase che la voce fuori campo del protagonista recita nel rievocare a sé e al pubblico un avvenimento della propria infanzia destinato a imprimere una esperienza irripetibile e una deviazione irreparabile.
Grand Prix come miglior film al Festival di Cannes 1971.
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