Monster (2018)
- michemar

- 9 mag 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Monster
USA 2018 dramma 1h38’
Regia: Anthony Mandler
Soggetto: Walter Dean Myers (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Colen C. Wiley, Janece Shaffer
Fotografia: David Devlin
Montaggio: Joe Klotz
Scenografia: Jeremy Reed
Costumi: Mobolaji Dawodu
Kelvin Harrison Jr.: Steve Harmon
Jennifer Hudson: Mrs. Harmon
Jeffrey Wright: Mr. Harmon
Jennifer Ehle: Maureen O'Brien
Tim Blake Nelson: Leroy Sawicki
Rakim "A$AP Rocky" Mayers: James King
Paul Ben-Victor: Anthony Petrocelli
John David Washington: Richard "Bobo" Evans
Nasir "Nas" Jones: Raymond "Sunset" Green
Jharrel Jerome: Osvaldo Cruz
Dorian Missick: Asa Briggs
Willie C. Carpenter: giudice
TRAMA: Steve Harmon, studente diciassettenne e aspirante regista, viene definito un mostro dal pubblico ministero. Accusato di un crimine che sostiene di non aver commesso, Steve affronterà una complessa battaglia legale rischiando di passare il resto della sua vita in carcere.
Voto 7

Quando una persona guarda un film vede e percepisce ciò che prova anche la persona accanto e quella seduta nella fila di dietro, o prova sensazioni diverse? Questi individui avvertono le medesime reazioni emotive? Traggono le stesse deduzioni? Sicuramente no, ognuno racconterà dopo la visione cose differenti a seconda del suo stato d’animo, del suo momento mentale e fisico, anche della compagnia che aveva vicino. Che può essere il partner o l’amico, il quale a sua volta avrà assistito alla proiezione in maniera diversa a causa della non identica predisposizione. Magari si rassomiglieranno ma non saranno uguali. Questa, almeno, è a spiegazione che il professore di cinema Leroy Sawicki spiega nella classe che frequenta il protagonista Steve Harmon, giovane di colore diciassettenne che ha un grande sogno: diventare un regista. È un bravissimo giovanotto, il maggiore di due figli di una coppia benestante che si può permettere il lusso di mandarlo in una delle scuole più elitarie della città. Lui la frequenta con profitto e i suoi genitori ne sono fieri.

La sua passione, per adesso, la coltiva con la sua macchina fotografica analogica con cui riesce ad ottenere bellissime foto soprattutto con pellicole in bianco e nero e da ciò che inquadra si nota subito che ha molto senso dell’immagine, della prospettiva e del momento magico in cui far scattare l’otturatore. Con lo smartphone invece ricava brevi filmati, stando sempre attento all’intensità e all’angolazione della luce. È un tranquillo giovanotto di Harlem che non frequenta molte amicizie, se non quelle capitategli negli ultimi tempi che non sono proprio il suo ideale. È stato piuttosto quel giovane intraprendente con atteggiamenti da piccolo criminale chiamato William che lo avvicina e lo tratta da amico, come però una gentile concessione da parte sua. Steve sa bene che è un’amicizia pericolosa e si limita all’indispensabile. Tutto fila liscio fino al giorno della sciagura che lo mette nei guai più seri che possano capitare ad un giovanotto come lui: viene arrestato come complice di una rapina in un emporio finita in tragedia, con l’omicidio del proprietario. Steve è sconvolto alla pari dei due genitori e appare sinceramente spaesato, come può solo capitare ad un innocente malamente scambiato come autore di un crimine efferato. Tra la detenzione in cella e le sedute nell’aula del tribunale, si assiste al processo che lo vede messo in una situazione assai sfavorevole, dato che le diverse testimonianze non fanno altro che peggiorare la sua posizione.

Il regista Anthony Mandler, che sceglie la narrazione soggettiva, e cioè dal punto di vista del protagonista che racconta in prima persona ciò che gli capita, non ci mostra in alcuna occasione la realtà obiettiva dei fatti, non ci rivela alcuna scena della sciagurata rapina che possa chiarire immediatamente se Steve ha partecipato in qualche modo all’organizzazione e alla messa in opera dell’atto criminoso. Noi spettatori non sappiamo se lui sia veramente colpevole e quindi il mostro del titolo, o si stia concretizzando un clamoroso errore nelle indagini e nell’accusa del pubblico ministero. Non lo sapremo mai, se non fino a quando la giuria si sarà espressa ma soprattutto sarà nel frattempo il nostro giudizio personale a ritenerlo colpevole o meno. Esattamente come spiegava il professore, ognuno di noi, assistendo al film, si starà facendo una propria opinione in merito e, sicuramente, almeno per come si dispiega la sceneggiatura, risulta evidente che Steve è semplicemente un bravissimo ragazzo che con la rapina non c’entra nulla. Il suo viso pulito, la sua genuina espressione di smarrimento e di paura per quello che gli sta succedendo non lasciano spazio alla nostra immaginazione, anzi andando avanti si prova un enorme fastidio psicologico nel vederlo soffrire, lui e i suoi genitori – brava gente – nella scomodissima situazione in cui si è venuto a trovare.

Steve è psicologicamente abbattuto, al limite della crisi di pianto, sull’orlo di una depressione che di certo non lo aiuterebbe. Fortunatamente per lui, l’avvocato d’ufficio che gli è stato assegnato come suo difensore, Katherine O'Brien (la deliziosa Jennifer Ehle), dopo un primo momento di dubbio – si sa che ogni imputato si professa sempre innocente – e dopo avergli consigliato di non proclamarsi tale ma di convincere la giuria che “Non sono stato io”, pian piano capisce la natura di bravo ragazzo e le buone qualità dell’accusato e si convince della sua genuina innocenza. Da quel momento in poi diventa l’alleata migliore per poter dare una giusta battaglia nell’iter processuale a carico del giovane. La O’Brien andrà oltre ogni aspettativa, proprio perché crede a Steve e prepara un’ottima strategia difensiva, controbattendo ad ogni colpo inferto dal duro pubblico ministero, un procuratore che sembra convincere davvero la giuria della colpevolezza di tutti gli arrestati.

La regia alterna ripetutamente il dibattito in aula di tribunale e le giornate di tremenda solitudine di Steve nella cella o durante l’ora di aria in mezzo ai tanti brutti ceffi che lo circondano, guidando lo spettatore con la voce del protagonista che introduce i flashbacks con il termine before, prima, allorquando rivediamo tramite la sua ricostruzione il racconto di ciò che realmente è successo nel frangente di cui discutono in aula o di cui l’avvocatessa chiede maggiori particolari. Le riprese della vita quotidiana, quelle dello studente modello per le strade della città mostrano tutta l’esperienza accumulata da Anthony Mandler come autore di un centinaio di video musicali o short: inquadrature ricercate con giochi particolari della luce solare (così come fa il protagonista con la sua passione di fotografo e videomaker), il modo di stare vicino agli attori, la macchina da presa a mano, l’ambientazione giovanile. Con la tecnica quindi di un video per adolescenti, il regista inquadra una storia drammatica di una persona che sa di essere innocente ma che ha paura che una anonima giuria di un tribunale non gli creda. Una dramma umano che il bravissimo Kelvin Harrison Jr., attor giovane che si era già distinto in precedenti film, riesce a trasmettere alla perfezione: naturalmente dotato di una faccia da bravo ragazzo, interpreta benissimo il suo ruolo e se il film emoziona è anche per gran parte merito suo. Anche il resto del cast è di buonissimo livello (basterebbe citare Jeffrey Wright nel ruolo del padre, Jennifer Hudson in quello della madre) ma oltre alla già accennata Jennifer Ehle, in pochi minuti di apparizione c’è un attore che si mangia lo schermo: John David Washington, a cui basta qualche risposta durante l’interrogatorio sul banco degli imputati per mostrare tutto il suo talento. Buon sangue non mente.

Steve è innocente e noi lo sappiamo perché ce lo dimostra lui stesso nelle sequenze che vediamo prima dello sconvolgente arresto, ma riuscirà a convincere la giuria con l’aiuto del suo difensore? Il pericolo è proprio nel concetto iniziale: immaginando con la mente ciò che ascoltano e ciò che l’accusa e la difesa portano come tesi, quale tipo di film/vicenda vedranno? Quale parere avranno alla fine? Ognuno dei giurati “vedrà” una verità diversa da quella percepita dagli altri, ma riusciranno a trovare l’accordo? Capiranno che Steve è quello che il suo professore dice di lui? Un bel film che, pur con qualche momento di calo, sa emozionare e trasmettere le sensazioni giuste per essere apprezzato. Di sicuro sapremo che Kelvin Harrison Jr. è bravo e lo vedremo ancora e in film sempre più importanti.






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