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Nata per te (2023)

Nata per te

Italia 2023 dramma biografico 1h53’

 

Regia: Fabio Mollo

Soggetto: Luca Trapanese e Luca Mercadante (libro omonimo)

Sceneggiatura: Giulia Calenda, Furio Andreotti, Fabio Mollo

Fotografia: Claudio Cofrancesco

Montaggio: Filippo Montemurro

Musiche: Giorgio Giampà

Scenografia: Ivana Gargiulo

Costumi: Marta Passarini

 

Pierluigi Gigante: Luca Trapanese

Teresa Saponangelo: Teresa Ranieri

Barbora Bobulova: Livia Gianfelici

Alessandro Piavani: Lorenzo

Antonia Truppo: Nunzia

Iaia Forte: Antonia

Silvio Minichiello: Luca giovane

Giuseppe Pirozzi: Paolo

Loris De Luna: Marco

 

TRAMA: È la storia di Luca e Alba: un uomo e una bambina che hanno disperatamente bisogno l’uno dell’altra, anche se il mondo intorno a loro non sembra ancora pronto a vederli insieme.

 

Voto 6,5

“È un racconto di amore, di paternità e di famiglia” spirato ad una storia vera, raccontato nel libro omonimo autobiografico di Luca Trapanese, scritto molto bene da un trio composto dal regista stesso e soprattutto da una coppia affiatatissima (Giulia Calenda e Furio Andreotti) autori delle sceneggiature dei film italiani (per esempio quelli con la Cortellesi) e delle serie TV di grande successo, a cominciare da quello strepitoso di C’è ancora domani. Un biglietto da visita di alta garanzia. E difatti il film del buon Fabio Mollo (di cui ho molto apprezzato, tra i tanti che ha già girato, Il padre d’Italia), che dirige con intelligenza e sensibilità, senza strafare per non rovinare, una storia molto bella in sé, che può ingannare ad una visione superficiale (ci sono molti pareri negativi) ma che si rivela tenera e commovente. Si può cadere nella retorica a parlarne ma l’argomento è così delicato e sofferto che è un tranello dietro ogni frase.

Si potrebbe iniziare dicendo che Luca (Pierluigi Gigante) è giovane, generoso, empatico, credente (è un ex seminarista) ma è anche non adatto, poiché single e omosessuale, a diventare il papà di Alba, una bambina con la sindrome di Down abbandonata alla nascita in ospedale dalla madre biologica appena dopo il parto. Almeno così dice la giudice dei minori che si sta occupando del caso o, meglio, questa è la legislazione che ci ritroviamo, fredda, arcaica, scritta da anni e da maschi, sicuramente. Il tribunale si è subito messo in moto per cercare dei genitori adottivi e tra quelli che hanno fatto richiesta di affidamento c’è lui, Luca, che si ritrova in un limbo: nonostante il fortissimo desiderio di paternità che ha sempre avuto, l’unico modo per lui per riuscire ad essere considerato tra i potenziali affidatari è aspettare il rifiuto di tutte le famiglie tradizionali.

Lui sa bene che ci sono poche speranze ma sogna di ottenere almeno l’affidamento, anche temporaneo, per poter convincere il sistema giudiziario che è pienamente capace di essere un genitore affidabile. La giudice che si occupa del caso, Livia Gianfelici (Barbora Bobulova) è severa e fedelissima alle norme vigenti e cerca, come è suo compito, di essere imparziale. Anche perché ha molti casi tra le mani. La magistrata accetta la domanda, perché legittima, ma intanto, per ora, cerca solo una coppia con i requisiti giusti. Luca è solo contro le leggi ma la sua fortuna è quella di incontrare per caso una avvocata che sembra la legale dei disperati, dei poveri, più impegnata in casa con due gemelli (del marito nessuna notizia) che nelle battaglie dell’aula. Teresa Ranieri (Teresa Saponangelo) è però una donna agguerrita, che non si arrende facilmente e le prova tutte per aiutare quel giovane che le ispira simpatia: prende a cuore la faccenda e si capisce subito che non si arrenderà per vincere una questione che non è solo giudiziaria, ma anche e soprattutto una storia di vero impegno e sicuro affetto, quelli che il giovane - ora single dopo che ha litigato con il suo compagno Lorenzo (Alessandro Piavani) proprio per la questione degli eventuali figli – saprebbe dare sicuramente a quella bella bimba abbandonata. Arriveranno l’affidamento di un solo mese, il ritorno nell’ospedale di Alba (chiamata così perché nata all’alba), lo scoramento, le carte della battagliera Teresa, mai arresa. Ma verrà premiata la voglia di Luca e la felicità di Alba?

Luca ha tutti i numeri per essere un buon padre: oltre ad essere davvero un bravo giovane, dedica la sua vita agli altri nel centro di accoglienza per disabili di cui è fondatore. Sa come trattare le persone di ogni età che vivono in quel luogo, destinando tutto il suo tempo a farli vivere felici, consapevoli, aiutandoli nelle tante iniziative che organizza per loro. Un bravo ragazzo sotto tutti gli aspetti e non ha occhi che per quella bimba bisognosa di una casa che la faccia crescere amata. “Che ti credi che stiamo in Svezia?” chiede spesso con ironia Nunzia (Antonia Truppo), l’amorevole infermiera che si prende cura di Alba sin dal primo giorno, a Luca, quando viene a conoscenza della sua richiesta. Ma non c’è un candidato con meno speranze di lui per ottenere l’affidamento sebbene sia l’unico a volersene prendere cura. Tantissime saranno le coppie presentatesi in tribunale che, vedendo la bimba, rifiuteranno, ma la bilancia non pende mai verso di lui. Perfino una di quelle coppie accetta ma dopo un mese la riporta in quell’ospedale, come se fosse un asilo. Vincerà Luca con l’aiuto della combattiva Teresa?

La bravura di Fabio Mollo è stata quella di non farne una cronaca semplice per raccontare le traversie del giovane, ma - anche utilizzando una buona dose didascalica, necessaria per spiegare la situazione legale - di rendere partecipe il pubblico coinvolgendolo nei sentimenti intimi di Luca, spiegando con i primi piani in suoi silenzi, la sua tristezza, mentre viene lasciato dal compagno, quando si scontra con il muro della burocrazia, quando intuisce che la giudice non è prevenuta ma non è disposta a venirgli incontro tanto facilmente, sebbene colta dai dubbi e conscia dell’importanza delle sue decisioni. Luca si sente impotente e sprecato, perché dentro di sé ha tanto amore da poter riversare su un figlio qualsiasi che abbia bisogno e Alba ha l’identikit perfetto, essendo abbandonata e con una vita di disabile davanti che deve saper affrontare con un genitore disposto a tutto per farla star bene. Lui sa che è in grado – lo sa anche l’avvocata, l’infermiera e forse pure la giudice - ma la legge, scritta troppi anni fa per essere al passo con i tempi, è un ostacolo difficile da superare. Il regista ci mostra diverse volte i momenti di tenerezza nei giorni in cui Luca ha tra le braccia Alba e li filma senza furbizia, senza voler per forza commuovere, ma solo perché è quello che possiamo immaginare quando è davvero successo nella vita reale tra Luca Trapanese e la sua meravigliosa e allegra bimba adottata. Le immagini reali dei due, visibili durante i titoli di coda, sono emozionanti come il film. L’amore che diventa felicità. Non è questo che si chiede ad un genitore? Luca lo è!

Bravo ancora Fabio Mollo a far recitare bene gli attori: nessun eccesso retorico, nessuna sbavatura di interpretazione, personaggi indovinati e attori misurati e precisi. Bravo a raccontare le relazioni durante la storia, anche quella di prima con dosati flashback che a pezzi raccontano il passato del giovane, delle passioni vissute, della scelta del seminario e degli amici lì lasciati – non è casuale la sequenza dell’ordinazione sacerdotale di un vecchio amico – ma soprattutto le inquadrature dedicate a Luca, in modo che lo spettatore sappia interpretare i pensieri che gli passano nella testa. Luca è un tipo taciturno e già lo infastidiscono le moine e il chiasso della sua famiglia allegra e invadente, e il rapporto con la madre Antonia (Iaia Forte) è tutto da studiare e intuire e il regista si limita ai loro scarni dialoghi. Bravo a non eccedere nella spiegazione inutile dei travagli dei personaggi, basta seguirli nei momenti solitari: quelli dalla giudice, dell’avvocato che ha a cuore la storia, gli sguardi benevoli dell’infermiera, i silenzi di Luca. Napoli sarà anche chiassosa, qui domina la quiete e la riflessione. Da non trascurare l’invito dell’avvocata rivolto al protagonista di non aver paura se la notizia che lo riguarda sia sui giornali: lui è schivo ma il suo caso serve alla causa, serve come scuola e sentenza, e diviene un esempio di cambiamento radicale, mentre la sua persona può diventare l’emblema di una comunità che ha necessità di farsi sentire per poter acquisire diritti finora inibiti. Non è stata una semplice cronaca ma una evoluzione giuridica meritevole di essere di pubblico dominio. Per questo è un film importante e dispiace che abbia avuto poca eco.

Pierluigi Gigante è un valente attore con una dozzina di partecipazioni che qui si dimostra molto adatto, esibendosi efficacemente per il personaggio non facile, che si poteva sbagliare. Ed invece, con la guida sapiente del regista, è rimasto nei giusti binari ed è da giudicare sicuramente positivo. Bravissimo e ispira fiducia. Barbora Bobulova assume un appropriato contegno e capisce correttamente la personalità della giudice interpretandola con cura. Antonia Truppo è il tipo adatto per l’infermiera un po’ impicciona e tanto partecipe e la sua simpatia si sposa bene con il personaggio verace. Lascio per ultima un’attrice travolgente che merita un paragrafo a sé: Teresa Saponangelo è un vortice, un tornado che attraversa il film e se ne impadronisce. È un vulcano pronto ad eruttare sentimenti, affetto, rabbia, forza d’animo, sfruttando le sue capacità di interprete carnale. È una forza della natura e ogni volta che entra in un set si impone per carattere e femminilità e quando quest’ultima deve avere la forza rivoluzionaria lei ne diventa la maschera più realistica che si possa immaginare. È l’unica infatti che nel film scuote con successo l’apatia malinconica del protagonista. L’avvocata, come tiene a precisare di volersi chiamare, è davvero un personaggio importante anche per lei. Superlativa.

Bravo Fabio Mollo a scegliere un tale soggetto, gesto che dà quindi maggiore importanza al caso e al generoso Luca Trapanese che ha scritto il libro assieme allo scrittor Luca Mercadante. Perché proprio Fabio Mollo? Il motivo ce lo spiega lui stesso in questa intervista che ho raccolto in rete e che mi piace condividere. E tutto si spiega.

Mia sorella è mia sorella grazie a un’adozione. Il giorno in cui siamo andati a prenderla in istituto è stato il più bello della mia infanzia. Ricordo il primo abbraccio, il pallore della sua pelle, lo sguardo duro, quasi arrabbiato. Aveva già due anni. Si trattava di un affido temporaneo, limitato solo alle vacanze di Natale. Ho diviso la mia cameretta con lei, le ho insegnato a dire “techilimando” per indicare quell’oggetto nero pieno di pulsanti che serve per guardare i cartoni e a dire “mio ratello” per indicare quel bambino di nove anni con i capelli ricci che divideva la camera con lei. Siamo stati alle giostre, a casa di nonna, alla messa di Natale. Le ho insegnato a lavarsi le mani prima di andare a tavola e le ho cantato le canzoni della chiesa per farle fare il riposino dopo pranzo. Un giorno, quando mamma non c’era, abbiamo preso l’autobus da soli per andare sul corso a vedere le vetrine. Alla fine delle vacanze, l’abbiamo dovuta riportare in istituto e io ho pianto tanto in ascensore. Ho sentito che c’era una forza più grande di me che mi impediva di essere suo fratello. Per fortuna i miei genitori non si sono arresi e, nonostante tante difficoltà, sono riusciti ad ottenere altri affidi temporanei, che dopo dieci anni si sono trasformati in adozione. Quello che i miei genitori hanno fatto per mia sorella è per me l’essenza di cosa vuol dire essere genitore. Se fosse stato possibile avrei fatto lo stesso, quando con il mio compagno abbiamo deciso di creare una famiglia. Purtroppo, c’è una forza più grande di me che mi impedisce di farlo. È la legge del Paese in cui vivo. Quando ho letto la storia di Luca Trapanese ho gioito per lui e per sua figlia. È un racconto di amore, di paternità e di famiglia. Ma è anche la storia di un’eccezione ad una legge ingiusta e obsoleta. Quando mi è stato proposto di farne un film, ho sentito una profonda gioia e, allo stesso tempo, una profonda responsabilità. È la storia di un uomo che vede il mondo con occhi diversi, che trasforma la disabilità in bellezza e l’impossibilità in realtà. È il trionfo dell’amore e della vita sulla follia di un sistema che invece di aiutare e sostenere i cittadini che vogliono fortemente costruire una famiglia attraverso l’adozione, li umilia.

Un discorso che spiega perché vale la pena guardare il film.


“È nata per te!”

“Io sono nato per lei!”


Pierluigi Gigante, Luca Trapanese e la sua tenerissima piccola figlia



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