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Naufragi (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 30 lug 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

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Naufragi

Italia 2021 dramma 1h40’


Regia: Stefano Chiantini

Sceneggiatura: Stefano Chiantini

Fotografia: Claudio Cofrancesco

Montaggio: Luca Benedetti

Musiche: Piernicola Di Muro

Scenografia: Ludovica Ferrario

Costumi: Marta Passarini


Micaela Ramazzotti: Maria

Mario Sgueglia: Antonio

Lorenzo McGovern Zaini: Giuseppe

Mia McGovern Zaini: Anna

Marguerite Abouet: Rokia

Giada Benedetti: preside


TRAMA: Maria, Antonio e i due figli sopravvivono a fatica con il solo stipendio dell’uomo. Nonostante le difficoltà, sono uniti e si amano incondizionatamente. Maria è imprevedibile, fragile mentalmente, ma piena di amore per la sua famiglia. La morte improvvisa del marito cambia tutto e Maria deve lottare con le sue sole forze per tenere unita la famiglia.


Voto 7

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Di fatto totalmente appoggiato sulle resistenti spalle di Micaela Ramazzotti, il film di Stefano Chiantini, regista e sceneggiatore dotato di sensibilità per tematiche riguardanti personaggi non facili, anche e soprattutto da raccontare, è la cronaca di una vita fatta di sbandate e di errori, di vita presa sottogamba e con un pizzico di incoscienza e forse immaturità. La famiglia di Maria e Antonio, che hanno due figli, lui assente per buona parte della giornata per lavoro, un duro lavoro (si intuisce che svolga mansioni da operaio sulla strada), gira intorno alla instabilità e la inaffidabilità della donna, persona leggera e sempre sorridente, spesso anche per futili motivi. È una donna ribelle che, stante la scarsa disponibilità economica, pensa bene di infischiarsene e di comportarsi di conseguenza. Il che vuol dire prendere con incoscienza patologica la vita con tutte le sue difficoltà, gettare nel water le bollette - tanto i soldi per pagarle non ci sono -, fare spesso tardi la mattina e quindi perdere lo scuolabus e arrivare con ritardo a scuola. Fino al punto, visto che il bidello non apre, di sfidare il mondo e correre in spiaggia per appropriarsi di un pedalò e quando poi la preside telefona al marito, egli telefona e accorre preoccupato, ma, conoscendola, perdona tutto e tornano a casa allegri.

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Antonio è angustiato per l’inaffidabilità della moglie e anche i due ragazzini non sono tranquilli: i bambini si accorgono sempre quando osservano i genitori comportarsi diversamente da quelli dei loro compagni di scuola e di gioco. Soprattutto la bambina è quella che la sorveglia e rimedia spesso alle stranezze della mamma. La vita va avanti a strappi: qualche colpo di testa e conseguenti rimedi, figuracce nel supermercato e quindi spesa ridotta, corse per recuperare i ritardi e amore profuso in famiglia. Antonio le perdona tutto, dandole persino ragione sulla antipatia di quella o quell’altra persona. Ma un giorno non torna più: si presentano i suoi colleghi amareggiati con la brutta notizia di un incidente sul luogo di lavoro. Lo shock è prevedibile, il mondo crolla, Maria resta senza forze ma soprattutto la sua fragilità morale e mentale sbanda fino al punto di ricorrere a medicinali e alcol, mentre la sua devozione di madre verso i figli cede trattandoli con meno attenzione, lasciandoli sempre più perplessi. Per loro fortuna, i due sono forti e reagiscono come adulti, aiutando la donna e cercando di mantenere un ritmo di vita dignitoso, frequentando la scuola e accudendo la mamma nei limiti che si possono concedere. Un frangente drammatico che li fa crescere mentalmente e li fortifica, soprattutto quando, a causa di un incidente stradale, vengono sottratti alla donna e affidati ad altri.

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In questa fase difficilissima, Maria vive sola e trova un lavoro come donna di servizio presso un motel, dove ha anche vitto e alloggio e la grama vita che conduce sembra non avere sbocchi, rifiutando anche la possibilità di rientrare in contatto con i figli. Sarà la collega Rokia, una immigrata di colore, evidentemente irregolare, che le darà l’importante svolta psicologica nel momento più difficile per quest’ultima. Una reazione umana e solidale che sarà per lei un sussulto di dignità, una risposta di carattere e di risveglio che ha il sapore della rinascita. Per lei il mondo non è solo quello egoistico che ha vissuto finora e uno spiraglio di vita si apre nel futuro. D’altronde, i figli sono ancora in attesa. Come dopo un naufragio, il superstite si aggrappa al galleggiante e gira la boa per affrontare con più serenità il percorso che porta alla spiaggia della salvezza. Che significa un salvataggio, un abbraccio, una ripulita e una mano tesa, quella verso il piccolo Giuseppe che, ritroso, ha atteso con pazienza.

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Le intenzioni dell’interessante regista Stefano Chiantini sono lampanti, descrivendo le dimensioni psicologiche dei personaggi e del loro animo, mettendo più in risalto gli stati d’animo che il racconto materiale, facendo passare in secondo piano persino la tecnica cinematografica, che è pure curata e confortata dalla bellissima fotografia di Claudio Cofrancesco e al montaggio puntuale di Luca Benedetti. Lo sguardo lucido del regista si rivolge al tema del disagio psichico nei rapporti familiari, il senso di colpa che accompagna la debole protagonista, l’elaborazione di un lutto che diventa insopportabile, lo sgretolarsi dei rapporti familiari. È un film essenzialmente sul dolore e sullo smarrimento che ne consegue, raccontato, dopo l’euforia che domina la prima parte (cioè fino alla morte di Antonio), con una regia ed una recitazione silenziosa e in sottrazione. La straordinaria interprete è Micaela Ramazzotti, che se nella prima parte sembra la replica della straripante e simpatica Donatella de La pazza gioia (recensione) dal sorriso gioioso ma nervoso e triste, nell’altra metà diventa una donna torva, arrabbiata, ribelle più di prima, ma silenziosa. Il lavoro che effettua la bravissima attrice punta sulla sottrazione, sul mutismo, sullo sguardo che esprime sentimenti repressi. Il sorriso è scomparso dal suo volto, ma è diventata una donna che osserva e capisce, non sa più cosa sono i colpi di testa imprevedibili che caratterizzavano la vita precedente. Lavora duramente, riflette e si occupa solo dei fatti propri, ma solo fino a quando non potrà fare a meno di interessarsi alle disgrazie altrui (un miracolo!) e cioè di quella povera donna di colore che, anche lei, sta cercando la strada della salvezza. Un gesto di tale altruismo che risveglia il lato migliore di Maria. E se tutto ciò risalta evidente sullo schermo, il merito è solo di una meravigliosa Micaela Ramazzotti, credo nella sua migliore performance. Lei stessa racconta che: “Il mio personaggio è una nata storta. Sciatta e silenziosa. Si sente inetta, incapace, ha paura di affrontare la vita. È una donna bizzarra, ma devo riconoscere che ho un’inclinazione ad amare personaggi di questo genere. Ci saranno due traumi, è un film dove si affronta il dolore del lutto e la ripartenza dopo di esso, che forse è ancora più dolorosa.” “È un film che ho pensato per Micaela” rivela il regista. “Non mi interessava in questo caso dare letture e proporre il mio sguardo sul mondo attraverso il linguaggio cinematografico, mi interessa solo che il film sia pulsante e traboccante di stati dell’animo, che la tecnica sia subordinata alla poetica.

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È un piccolo film che conquista piano e che si fa apprezzare, che offre un palcoscenico di esaltazione morale e artistico. Un film sul dolore e sullo smarrimento che ne consegue, ma anche sulla capacità delle persone di ricominciare a vivere nonostante tutto. Regista sceneggiatore da tenere d’occhio, attrice in gran spolvero.


 
 
 

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