Night in Paradise (2020)
- michemar

- 10 apr 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Night in Paradise
Corea del Sud 2020 gangster 2h11’
Regia: Park Hoon-jung
Sceneggiatura: Park Hoon-jung
Fotografia: Kim Young-Ho
Montaggio: Jang Lae-won
Musiche: Mowg
Scenografia: Choi Hyun-Souk, Jo Hwa-seong
Costumi: Choi Se-yeon, Yoo Se-hee
Uhm Tae-goo: Park Tae-goo
Jeon Yeo-been: Jae-yeon
Cha Seung-won: Ma
Lee Ki-young: Kim Nong-mil
Park Ho-san: Yang
Cho Dong-in: Jin-sung
Keone Young: Kuto
Matthew Yang King: cap. Park
TRAMA: Tae-gu, uomo di punta di una gang criminale guidata da Mr. Yang, tenta di rifarsi una vita per amore della sorella malata e del nipote. Quando questi ultimi vengono uccisi in un incidente da qualcuno che mirava a Tae-gu, egli, scioccato, decide di vendicarsi. Elimina il boss di un'altra gang e fugge nell'isola Jeju. Senza sapere che la sua gang lo ha già abbandonato, incontra Kuto e sua nipote Jae-yeon, che si prendono cura di lui. Jae-yeon sta morendo per una malattia, mentre Tae-gu intuisce che il pericolo si sta avvicinando. La situazione si fa ingarbugliata, e Jae- yeon e Tae-gu, che hanno perso il desiderio di vivere, cominciano a sentire pietà l'uno per l'altra.
Voto 7,5

Park Hoon-jung, regista e sceneggiatore sudcoreano, si era affacciato nel mondo del cinema con la sceneggiatura di un paio di film editi nello stesso anno, il 2010, l’horror I Saw the Devil e l’action-drama The Unjust, facendosi notare non poco. Dopo di che si è messo in proprio e ha iniziato a girare i film direttamente da regista, sino a giungere dieci anni dopo a questo drammatico noir dalle tinte fosche la cui trama entra di prepotenza nel filone mélo. La vena malinconica, l’ineffabilità del destino, la morte come fine ineluttabile alla fine di un tragitto obbligato, sono il tracciato che egli fa percorrere ai suoi due protagonisti, tristi e consapevoli di affrontare quello che non solo il destino prepara, ma anche quello che sembra la loro missione da portare a termine. Park Tae-goo e Jae-yeon si incontrano nel momento più difficile della loro esistenza e dopo una intolleranza reciproca, soprattutto per motivi caratteriali di entrambi e di riservatezza del primo, affrontano il futuro assieme come un destino predestinato e pur senza mai dirselo avvertono un sentimento mai espresso neanche nell’ultimo istante della vita.

La mala di Seul vede diverse bande criminali, le più potenti sono certamente quella a cui appartiene il giovane Tae-goo e quella dei rivali, capeggiata da Ma, potente e violento boss dominante di un numeroso gruppo senza scrupoli. Se spesso assistiamo in tante parti del mondo a momenti di tregua nella guerra tra bande, a volte basta un piccolo malinteso o uno screzio per riaprire le ostilità, oppure semplicemente un equivoco. Proprio come succede in questa trama, in cui il giovanotto di belle speranze e uomo di punta della gang chiamato Tae-goo viene contattato dai rivali per attraversare il guado e diventare un loro discepolo. Nonostante il rifiuto, gli altri pensano di essere stati traditi e daranno l’inizio ad una guerra senza limiti. E dire che è proprio lui a commettere il primo errore compiendo una pesante vendetta sulle persone sbagliate: erano appena state uccise sua sorella malata terminale e la sua adorata nipotina. Sgarbo non solo grave ma che lo aveva toccato negli affetti più cari. Il dado è tratto e inevitabilmente ogni colpo sarà seguito di conseguenza dalla risposta, e poi ancora, e poi ancora.

La svolta può sembrare la fuga, per togliersi di mezzo e per far perdere le sue tracce alle ulteriori ripicche sanguinose, prima verso Jeju, un’isola della costa, e quindi un soggiorno lungo nella Russia orientale di Vladivostok, dove cercherà di farsi dimenticare fino a quando le acque si calmeranno. Tae-goo non può prevedere che l’uomo incaricato di accoglierlo ha una nipote, Jae-yeon, anch’ella malata terminale, che lo sorprenderà non poco. Bella, di poche parole, aggressiva, dallo sguardo che trafigge, che spara come un killer, la giovane gli frappone subito la giusta distanza mentre lui non ha alcuna intenzione né di confidare il suo segreto né di entrare nelle sue grazie. Si osservano in cagnesco quasi fossero due avversari e non immaginano quanto i loro destini abbiano in comune, quanto pian piano, nel maturare la tragedia, si avvicineranno. Specialmente negli intenti e nella stima reciproca. L’evoluzione degli eventi, tanti e susseguenti, con solo brevi ed illusori attimi di pausa, li porterà a combattere assieme il nemico comune fino al regolamento quasi (dico quasi) finale in un capannone che mi ha ricordato l’acre, spietato e cruento incontro terminale delle iene tarantiniane. Una sequenza interminabile in cui il sangue schizzerà fino a colorare i vestiti di tutti gli astanti, che solo il fuoco sanificatore porterà con il fumo verso il cielo. Sarà un regolamento da O.K. Corral, quasi, perché la vendetta della lady vendetta avverrà solo al termine, alla pari di un cavaliere senza nome, di clintiana derivazione, che entra nel saloon, sbarra l’uscita e uscirà da sola, dopo l’ennesima strage compita con una pistola automatica da sola contro tutti, tanti e tutti.

Il noir di Park Hoon-jung, tanto sanguinolento da dare l’idea di un horror slasher che invece non è – è solo e soltanto l’action movie coreano, che non prevede lividi ma sangue -, è una storia densa, appassionante, rancorosa, piena di colpi di scena, che non concede illusioni, che fa intendere immediatamente che il fato è feroce e non si intenerisce se due giovani si stanno innamorando anche se non se lo confessano. Il loro unico atto sessuale è sul pavimento di quel buio capannone, illuminato dal sole che penetra dai numerosi fori di proiettili sparati nell’occasione precedente, quando come due maschere di sangue e sul filo della fine della vita, si guardano impotenti come per dirsi “ti amo” e “addio”, oppure “ma tanto li abbiamo messi comunque in difficoltà”. Il noir di Park Hoon-jung è poesia di frasi e di silenzi, di gesti rapidi ma soprattutto di immagini che travalicano il cinema e diventano fotografia d’arte, coniugandosi in un sublime connubio di movimenti di camera e colori. Il noir di Park Hoon-jung è azione e sentimenti, è amore e vendetta, è l’incontro di due anime sole e destinate a restare sole, sprecando anche l’unica occasione, un invito inascoltato, rifiutato perché “non sei il mio tipo”. Eccome che lo era! Il noir di Park Hoon-jung è, come affermò Alberto Barbera, direttore del Festival di Venezia, dove fu presentato, “uno dei migliori film di gangster provenienti dal cinema sudcoreano degli ultimi anni. Park Hoon-jung è un regista che merita la massima attenzione per la sua capacità di coniugare la scrittura di sceneggiature originali con la creazione di personaggi complessi e mai stereotipati, unitamente a doti registiche impressionanti e magistrali. Il suo nome sarà certamente sentito ancora di più in futuro.”

In effetti, colpisce enormemente come il regista abbia saputo scolpire i personaggi con colpi di inquadrature e dialoghi essenziali, lasciando andare la penna solo in qualche scena, tipo i duri discorsi del capitano della Polizia, connivente e corrotto. Per il resto, il regista ci fa immaginare le parole non pronunciate ma non ci risparmia alcun dettaglio visivo, mentre intorno e sullo sfondo il bellissimo paesaggio assiste come un testimone. Il tempo scorre e il destino si compie, senza che ne resti uno. Perché la vittoriosa superstite ha anch’ella una scadenza ormai prossima. È un inferno, ma quell’isola dove Park Tae-goo e Jae-yeon si sono conosciuti è il loro paradiso, è il punto d’arrivo delle loro esistenze, mentre la notte del titolo è invece la situazione esistenziale nella quale piombano. Il noir incontra il mélo a tinte forti, conserva l’imprinting del gangster movie e si addensa attorno al dramma esistenziale di due anime giovani che speravano solo di essere lasciati in pace.






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