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No Sudden Move (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 ott 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 4 ott

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No Sudden Move

USA 2021 noir 1h55’


Regia: Steven Soderbergh

Sceneggiatura: Ed Solomon

Fotografia: Peter Andrews (Steven Soderbergh)

Montaggio: Mary Ann Bernard (Steven Soderbergh)

Musiche: David Holmes

Scenografia: Hannah Beachler

Costumi: Marci Rodgers


Don Cheadle: Curt Goynes

Benicio del Toro: Ronald Russo

David Harbour: Matt Wertz

Ray Liotta: Frank Capelli

Jon Hamm: Joe Finney

Amy Seimetz: Mary Wertz

Brendan Fraser: Doug Jones

Kieran Culkin: Charley

Noah Jupe: Matthew Wertz Jr.

Craig Grant: Jimmy

Julia Fox: Vanessa Capelli

Frankie Shaw: Paula Cole

Bill Duke: Aldrick Watkins


TRAMA: Nella Detroit degli anni Cinquanta, l'afroamericano Curt Goyns è appena uscito di prigione ed è di nuovo nei guai. Accetta così il lavoro offertogli dallo squallido intermediario Jones: insieme a Ronald Russo, che non nasconde il suo disappunto per il lavoro a fianco di un nero come Curt, deve "badare" ai figli e alla moglie di Matt Wertz, un dirigente di medio livello della GM, mentre Charley, un terzo socio, lo accompagna in ufficio per recuperare un documento. Niente però andrà come previsto quando il documento non sarà trovato al suo posto.


Voto 7,5


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Non sono più capace stupirmi del dinamismo operoso di Steven Soderbergh: a parte per la varietà dei generi che frequenta – passando indifferentemente dal dramma al thriller e al cinema d’inchiesta, dal catastrofico alla commedia – ma anche per la prolificità e il ritmo che ormai mantiene con almeno un impegno annuale, dopo che, con la conclusione di Dietro i candelabri, aveva annunciato il ritiro dai set. Ed invece rieccolo imperterrito con un film ogni anno e per giunta, in questa occasione, con un vero gioiello. Dopo l’interessantissimo Lasciali parlare, eccolo affrontare un noir dallo stampo classico che più non si può, ambientato negli anni Cinquanta e fotografato (come sempre si occupa con i soliti pseudonimi di curare la fotografia e il montaggio) con colori pastelli adeguatamente caricati, con estrema attenzione verso l’ambientazione e gli oggetti, dalle automobili – ché di quel mondo tratta il soggetto – alle suppellettili, per finire al modus operando della malavita. Ed Solomon lo esalta scrivendo una sceneggiatura accuratissima e molto efficace, densa di dialoghi e intrecci, fino al punto, questi ultimi, da far mantenere l’attenzione ai massimi livelli per tutta la durata.


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Le sorprese e le invenzioni dei due autori sono così tante, complesse e intelligenti, che in un primo momento la trama inganna sembrando semplice e schematica e dando l’impressione del solito heist-movie di facile realizzazione, se non fosse per il fatto che sin da subito l’oggetto cercato non è al posto in cui deve essere. Tutto accade un lunedì mattina, all’ora di colazione, quando inizia una nuova settimana di lavoro e di scuola, quando una normale famiglia di Detroit, patria dell’industria automobilistica americana e mondiale, si prepara ad uscire di casa e l’irruzione di tre uomini mascherati sconvolge i piani della giornata: “Comportati come se fosse un normale lunedì”, minaccia uno dei tre al capofamiglia Mart Wertz, un dipendente di alto livello della General Motors il quale può mettere le mani su un importante dossier custodito nella cassaforte del suo capo. Il compito di uno del trio è quello di accompagnare l’uomo a prelevare il plico e gli altri due devono tenere in ostaggio la moglie e i due figli sino al ritorno. Parrebbe facile e semplice. Lo sarebbe se andasse tutto liscio e se non ci fossero complicazioni, tanto che la faccenda potrebbe finire in un paio di ore. Ed invece ci vorranno due giorni interi e nel frattempo succederà di tutto.


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Minacce con le armi in pugno, cazzotti che fanno male, qualche morto, la polizia che indaga come da classico copione. Che però non sia proprio il classico noir che ben conosciamo lo si intuisce all’inizio: il losco Doug Jones (no, l’inquadratura di Brendan Fraser non è deformata, è che si è allargato lui!) ingaggia tre individui, tre brutti ceffi – Curt, Ronald, Charley - per irrompere quel lunedì mattina in casa Wertz, tre criminali che non si conoscono tra di loro, tutti con fedine penali pesanti, di carattere scorbutico e molto diffidenti. Anzi, addirittura DonaldRusso non vuole lavorare con i neri, e Curt Goynes lo è, afroamericano che è appena uscito dal carcere dopo quattro anni e che ha bisogno di danaro dovendo sparire dalla circolazione per problemi vari con un boss locale. Il terzo è uno svitato dalle maniere spicce. Il lavoro è facile, è stato detto loro, dura poco, più o meno un paio di orette e poi tutti a casa con un lauto compenso. Ma la cartella oggetto dei desideri non è al suo posto e la faccenda si complica e anche parecchio, dopo che il padrone di casa, per proteggere i suoi, si impiega al massimo affinché possa mettere le mani su ciò che non ha trovato in cassaforte. Solo storie di criminalità? No, anche di sesso e tradimenti: Ronald se la fa con Vanessa, la moglie del boss mafioso Frank Capelli, e con lei ha un piano di fuga; Matt Wertz era in procinto di scappare via con Paula, la segretaria del suo capo ma non ha ancora avuto il coraggio di confessare tutto alla moglie Mary.


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In questo quadro complessivo, i colpi di scena non mancano mai e ogni volta che la storia si avvia verso una soluzione logica e intuitiva, ecco che sopraggiunge un nuovo personaggio che vanta i diritti, a suon di ricchi compensi, sul dossier, mentre nel frattempo il poliziotto Joe Finney non ha mai mollato l’osso come un segugio invisibile e puntuale. Fino al punto che il malloppo della ricompensa che viaggia di mano in mano si ingrossa sempre più fino a raggiungere (dalle poche migliaia di dollari iniziali) quasi mezzo milione. Qualcuno sarà perso per strada, vittima di regolamento di conti o per aver azzardato troppo e il bel personaggio iniziale, Curt Goynes, raggiungerà, praticamente l’unico, il suo obiettivo: si accontenterà dei suoi agognati 5.000 dollari pattuiti e partirà per la meta che si era prefissata: Kansas City. Anche se si raccontasse tutta la trama con tanto di spoiler non si toglierebbe mai il gusto di guardare il film, tanto è fatto bene e tanto è appassionante, perfino divertente in alcuni squarci. Perché ciò che non manca mai nel lavoro del superlativo Steven Soderbergh è che l’ironia la fa sempre da padrona: nulla è estremamente e semplicemente tragico o crudele, ogni sequenza offre lo spunto di almeno di un sorriso, anche amaro. Ovvio che la sceneggiatura, oltre le invenzioni registiche, è determinante a questo scopo.


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No Sudden Move, non fare movimenti improvvisi, è un avvertimento di ognuno verso tutti gli altri, perché nessuno è affidabile, nessuno si fida dell’altro, ognuno controlla tutti, la pistola è sempre a portata di mano, non si sa mai. Le mogli sono tradite e fedifraghe, gli uomini hanno un piano per fuggire con i soldi e la propria donna (di un altro), piantando in asso l’alleato del momento, è tutto un intrigo, un puzzle i cui tasselli non si sa dove piazzarli. Eppure, alla fine, il mosaico, ricostruito a fatica, è lì, chiaro. Diavolo di un regista, diavolo di uno sceneggiatore! E come ci si può attendere, Steven Soderbergh armonizza i personaggi in un concerto diabolicamente armonico, avendo scelto attori di prim’ordine perfettamente integrati tra loro e in parte: Don Cheadle non si fa sfuggire la bellissima occasione e recita a livelli massimi: il suo Curt Goynes è scattante, lucido, sempre all’erta, occhi vispi, rimarrà l’unico soddisfatto, anche se in maniera minima; Benicio del Toro, anche lui appesantito nel fisico, ma in gran forma recitativa, va a nozze con il suo RonaldRusso senza scrupoli, avendo bene in mente il suo piano personale; a Kieran Culkin il regista affida il ruolo del terzo criminale, Charley, dal carattere impulsivo che, come previsto dal titolo del film, sbaglia ad agire riflettendo poco e paga per questo; Ray Liotta non poteva non essere che il mafioso necessario alla trama: ormai è il suo ruolo praticamente da sempre, e sempre con poca fortuna; ottimo anche David Harbour: di solito, come stavolta, i suoi personaggi oscillano nel carattere e sono deboli e forti, decisi e pavidi ma il suo Matt Wertz si deve muovere per necessità anche se non gradisce ciò che fa (“Mi dispiace, io amo il mio lavoro!” si rammarica ad alta voce mentre picchia il suo capo). E Jon Hamm, cos’altro poteva interpretare se non il detective della polizia? Certo, il ruolo è suo di diritto, come tante altre volte e il suo JoeFinney è calmo e riflessivo, un tipo che sa il fatto suo: sorveglia e interviene sempre al momento giusto. Il cameo dell’occasione è dell’affezionato soderberghiano Matt Damon, sempre strano a vedersi nei panni di un colletto bianco, anzi di un grande imprenditore del settore (automobilistico, ovvio) e anche un po’ tonto, fino al punto da non credere nel futuro della marmitta catalitica, per lui troppo ingombrante per stare sotto un’auto. Incredibile! Da annotare: del giovanissimo Noah Jupe (A Quiet Place 1 e 2, Le Mans '66 - La Grande Sfida, Wonder, Suburbicon, 16 anni e già 23 crediti!) sentiremo sempre parlare, da tenere d’occhio. Insomma, nessuno è fuori ruolo o contesto, tutti recitano al meglio, tutti da applaudire. Ma solo uomini? Ma niente affatto! Amy Seimetz e Julia Fox sono tutt’altro che secondarie ed incidono anch’elle in maniera notevolissima, due donne esasperate e svelte, di carattere, degne comprimarie in un mosaico riuscitissimo.


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Perché la storia è, ancora una volta, un altro elegante ed esaltante film di rapina firmato da un regista (e montatore, e direttore della fotografia, come di consueto) che fa grande cinema anche quando gira tv movies (dopo Lasciali parlare, questo è il suo secondo titolo realizzato per la piattaforma streaming HBO Max, si badi), Steven Soderbergh dà anche una lezione di fotografia adottando lenti anamorfiche d’epoca che esasperano la distorsione laterale dell’immagine, arrotondando e scurendo gli angoli, dando l’impressione di usare un tipo di grandangolo minimale. Ma questo ottimo film è anche di più: è pure, come si può constatare nella gran parte della sua nutrita filmografia, il ritratto lucidissimo e impietoso del sistema capitalistico e di quelle persone, comuni e non, che lo combattono andandoci a sbattere come tanti donschisciotti e ovviamente perdendo. Tra i dollaroni che passano di mano in mano, la borsa che aumenta di volume ogni volta, fino a diventare una valigia, dentro e fuori Detroit, nei quartieri che la middle class sta conquistando mentre gli afroamericani si adattano alle esigenze di sopravvivenza, tra auto voluminose e coloratissime, con bagagliai capienti in cui poterci mettere eventualmente gli ostaggi, vivi o moribondi.


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Tanto, poi, dopo il lunedì alquanto mosso, arriva puntualmente il martedì sera, e la settimana riprende. Almeno per chi è rimasto. Vivo e con il lavoro, forse. Anche la valigia del denaro è andata dove doveva andare e il dossier è nelle mani giuste. E così sia!



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