Non conosci Papicha (2019)
- michemar
- 11 mar 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 1 mar 2024

Non conosci Papicha
(Papicha) Francia/Algeria/Belgio/Qatar 2019 dramma 1h48’
Regia: Mounia Meddour
Sceneggiatura: Mounia Meddour, Fadette Drouard
Fotografia: Léo Lefèvre
Montaggio: Damien Keyeux
Musiche: Robin Coudert
Scenografia: Chloé Cambournac
Costumi: Catherine Cosme
Lyna Khoudri: Nedjma 'Papicha'
Shirine Boutella: Wassila
Amira Hilda Douaouda: Samira
Yasin Houicha: Mehdi
Zahra Manel Doumandji: Kahina
Marwan Fares: Karim
Aida Ghechoud: Saliha
Meriem Medjkane: Linda
Samir El Hakim: Mokhtar
TRAMA: Algeria, anni Novanta. Nedjma, una studentessa di diciotto anni appassionata di fashion design, rifiuta che i tragici eventi della Guerra civile le impediscano di vivere una vita normale e di uscire la sera con l'amica Wassila. Mentre la società diventa sempre più conservatrice, Nedjma si oppone ai divieti imposti dai radicali e decide di lottare per la sua libertà e indipendenza organizzando una sfilata di moda.
Voto 7

La regista esordiente Mounia Meddour ha studiato in Algeria in un campus molto simile a quello del film e nella stessa epoca, storia di una ragazza caparbia e desiderosa di libertà che in quel periodo – come indicato dopo i titoli di testa – alla fine degli anni ’90, era particolarmente negata alle ragazze giovani e in generale a tutte le donne che, per tradizione religiosa, erano relegate in casa alle faccende domestiche e a crescere i figli. Per inquadrare storicamente il momento, bisogna tenere presente che appunto gli anni Novanta in Algeria sono stati caratterizzati da una sanguinosa guerra civile le cui pesanti eredità sono riscontrabili ancora oggi: un lungo conflitto interno cominciato nel 1992 – data del colpo di Stato militare – e terminato attorno al 1999, anno dell’elezione del presidente Abdelaziz Bouteflika, anche se episodi di violenza sono continuati negli anni successivi. Questo personaggio politico, appoggiato dai governi francesi, dopo diverse elezioni vinte, si è dimesso il 2 aprile 2019 dopo aver tentato di correre ancora una volta per le presidenziali, fortemente contrastato dalla volontà popolare. A metà di quel cosiddetto “decennio nero” (gli anni Novanta) la famiglia della regista decise di lasciare il paese, anche perché il padre, pure lui regista, aveva ricevuto diverse minacce come molti altri intellettuali.

Il campus universitario, frequentato dalle ragazze di questa bella ma tragica vicenda, è un microcosmo che ruota attorno alla protagonista Nedjma e alla sua storia di resistenza, ed è lei che accompagna lo spettatore in questo viaggio irto di insidie che svela le diverse facce della società algerina, ma che parla anche di sorellanza, di amicizia e di amore. È una bella ragazza che non accetta i dogmi ossessivi e obbligatori della legge islamica così fortemente basata sulla religione, sui doveri di sottomissione della donna all’uomo, sui severi vincoli a proposito di abbigliamento castigato e di libertà individuale. È così ribelle che con le sue amiche più intime infrange continuamente e sfrontatamente ogni regola imposta con la forza: la sera scappa con la sua più intima amica Wassila oltre blocco dei militari per andare a ballare e a divertirsi con i ragazzi della città ma ciò che la attira più di ogni altra cosa e dello studio, che potrebbe anche rappresentare una chiave per la libertà, è disegnare modelli, ritagliare la stoffa e cucire abiti moderni anche se basati sulla tradizione musulmana, a cominciare dalle variazioni dello haïk (il velo bianco tradizionale che le algerine usavano già negli anni ‘60 come strumento di lotta contro il colonialismo francese), che lei sapientemente trasforma in abiti eleganti sebbene costituiti da un unico pezzo di stoffa, che, come spiega bene, è lungo 5 metri e composto da metà lana e metà seta. La passione per la moda di Nedjma è il simbolo di questa battaglia contro il fondamentalismo islamico, del desiderio di valorizzare il corpo femminile piuttosto che nasconderlo. Il suo sogno è trasformare appunto quelle vesti bianche tradizionali algerine, molto semplici ed economiche, che rappresentano alla perfezione un’idea di purezza ed eleganza.

Nedjima studia francese all'università e sogna di diventare stilista, ma la sua vita è sconvolta e condizionata da un’ondata di fondamentalismo religioso che precipita il paese nel caos. Determinata a non arrendersi al nuovo regime, decide di organizzare con le compagne una sfilata dei sue creazioni quale simbolo di un'indomita e drammatica battaglia per la libertà e nello stesso tempo realizzare il suo sogno, affermando maggiormente la sua passione. Risulta evidente che è notevolmente dotata come creatrice e sarta piena di inventiva: sfruttare la tradizione per guardare al futuro. La osserviamo in alcune scene ben filmate dalla regista quando è impegnata con gli occhi concentrati sulla stoffa, armeggiare con spilli e pieghe, immaginare il prodotto finito, aiutata dalle amiche affezionate che la vogliono sorreggere nella insperata impresa di portare a termine il sogno della sfilata nel reparto femminile dell’università.

Le difficoltà però sono tante: c’è il guardiano del recinto del campus da oltrepassare che la ricatta sessualmente, c’è la preside della facoltà che ha troppa paura di sfidare le leggi severe, il negoziante di stoffe che ha tutta l’aria del radicalizzato confidente della polizia, c’è il gruppo delle donne estremiste vestite di nero niqab che minacciano ogni manifestazione di occidentalismo e uso di lingua non araba, c’è la ragazza sconosciuta che si presenta chiedendo della cara sorella Linda con una pistola in mano, c’è il ragazzo di Wassila che non ammette le loro iniziative, più maschilista e convinto assertore della tradizione di tanti anziani… Tutto l’ambiente pare cospirare contro le ambizioni legittime di Nedjima, che invece è così determinata che nulla la può fermare. Tranne quando i rischi fisici superano il livello di guardia, prima con quel maledetto guardiano e poi con l’irruzione della polizia avvertita dal commerciante informatore. Come non considerare legittimo e umano il crollo psicologico della ragazza in quelle circostanze? Come non parteggiare con lei sperando che superi ogni impedimento e porti in fondo i suoi leciti sogni? Si nota bene come Mounia Meddour voglia porci il problema mostrandoci una giovane algerina in lotta con l’Islam più arretrato, con la gente rassegnata, con un clima militarizzato dove anche i ragazzi girano con volantini che incitano le donne (solo le donne!) a coprirsi il corpo con il niqab e a rispettare l’uomo. La regista franco-algerina ci fa vivere ogni attimo delle giornate convulse di Nedjima con una macchina a spalla in continuo movimento, alla pari del corpo delle vivaci ragazze, alcune delle quali pagano caramente per la partecipazione all’evento mondano e per lo spirito di ribellione che ormai è cresciuto in loro. Anzi, si ha l’impressione in alcuni tratti, che il film proprio per quei movimenti di macchina possa rientrare nel cinema di genere, quasi in quello del thriller, in cui si può nettamente notare come la Meddour abbia voluto trasmettere la paura, se non addirittura l’angoscia che all’epoca premeva contro le donne e i loro corpi. Per questo la facoltà universitaria rappresenta un mondo in miniatura, con le sue porte chiuse che sono i confini e i cartelli inneggianti alla hijab che sono dapprima all’esterno, poi all’interno, fino alla stanza delle ragazze, sempre più vicino alla loro intimità. Credo che abbia voluto restituire questo avvicinamento progressivo, con la camera a mano che si accosta ai corpi. La regista è stata addosso per sentire e far sentire la pulsione vitale che anima Nedjima.



Sembra solo per una buona parte una storia di crescita e di formazione, invece in seguito prende forma una storia drammatica e di libertà necessaria, di affermazione della propria personalità, di legittimità di immaginare un futuro differente di quello che il background culturale e religioso offre in quei luoghi. Se la promettente Mounia Meddour è riuscita ad arrivare a firmare un film, pur se in quella che è la seconda patria di tanti algerini che è la Francia, vuol dire che possono riuscire anche tante altre giovani promesse, che vogliano fare couture o altre forme di arte. E se il film colpisce non è solo merito della brava regista o per la peculiarità degli avvenimenti realistici raccontati, è anche dovuto alla esplosiva bravura interpretativa della bellissima Lyna Khoudri, giovane attrice di sicuro avvenire: forza recitativa, dedizione totale al personaggio di Nedjma, detta Papicha, termine dei giovani algerini nel senso di ragazza carina, perfino cool, ma troppo leggera, disinibita, dai facili consumi, dunque termine con scopo dispregiativo. In alcuni frangenti l’impegno della giovane interprete è davvero commovente, con simpatia frizzante nei momenti leggeri e con alto grado di drammaticità nelle sequenze topiche del dolore e della delusione. Da non trascurare anche Shirine Boutella nei panni di Wassila: è la copia conforme della giovane Anouk Aimée. Da tenere d’occhio.
Il valore e la portata del film? Semplice: è stato vietato in Algeria!
Premi in tutto il mondo, ma in particolare a Cannes 2019:
Miglior esordio alla regia per Mounia Meddour
Miglior attrice promettente per Lyna Khoudri
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