Non così vicino (2022)
- michemar

- 22 set 2023
- Tempo di lettura: 5 min

Non così vicino
(A Man Called Otto) Svezia/USA 2022 commedia drammatica 2h6’
Regia: Marc Forster
Soggetto: Fredrik Backman (L'uomo che metteva in ordine il mondo)
Sceneggiatura: David Magee
Fotografia: Matthias Koenigswieser
Montaggio: Matt Chessé
Musiche: Thomas Newman
Scenografia: Barbara Ling
Costumi: Frank L. Fleming, Laura Goldsmith
Tom Hanks: Otto
Truman Hanks: Otto da giovane
Mariana Treviño: Marisol
Rachel Keller: Sonya
Manuel Garcia-Rulfo: Tommy
Cameron Britton: Jimmy
Juanita Jennings: Anita
Peter Lawson Jones: Reuben
Lavel Schley: Reuben da giovane
Mack Bayda: Malcolm
TRAMA: Dopo la morte della moglie, Otto, un sessantenne scorbutico e cocciuto, è costretto a lasciare il lavoro che ha svolto per quasi quarant'anni e per questo comincia a pensare di farla finita. Ogni suo tentativo di uccidersi, però, viene sventato o mandato a monte dalle intromissioni dei suoi nuovi vicini, esuberanti e chiassosi, con cui poco per volta finisce per fare amicizia.
Voto 6,5

Da diversi anni, le imprese cinematografiche di Hollywood si sono innamorate di due stereotipi (se mi è concessa la licenza del senso lato): i rifacimenti dei film stranieri, il remake insomma, e la figura del burbero dal cuore tenero. Per il primo aspetto hanno prodotto film da ogni nazione che ha attirato l’attenzione e la speranza di realizzarne almeno un prodotto alla pari, per il secondo la passione è antica perché il pubblico si è sempre appassionato e divertito con personaggi che son capaci di far ridere quando fanno i duri e commuovere quando si sciolgono in gesti generosi. Specie quando non te lo aspetti. Eppure succede puntualmente. È proprio il caso di quest’uomo chiamato Otto (a chi lo guarda perplesso specifica sempre Ou-ti-ti-ou), un vedovo inconsolabile e ferreo che è stato pensionato purché si togliesse dalle scatole. Un uomo che ha chiuso con la vita e si è congelato come un cuore in inverno, fino al punto che tenta comicamente di suicidarsi senza mai regolarmente riuscirci: il gancio fissato sul soffitto per impiccarsi cede, viene importunato nel garage quando sta riempiendo l’auto di monossido di carbonio, bussano alla porta mentre punta il fucile sotto la gola, insomma non gli riesce mai.
Cosa è successo nella sua vita di buon cittadino per ridurlo ad essere il gendarme del quartiere che controlla la separazione dei rifiuti, che caccia l’estraneo che vuol parcheggiare davanti alle villette a schiera, che si accerta della chiusura delle sbarre del vialetto posto tra le due file di case, e che abbaia verso chi non si comporta correttamente? Era un bravissimo, gentile e premuroso ragazzo rimasto ben presto orfano e poi innamorato perso della gentilissima e bella ragazza che ha sposato, Sonya, divenuta professoressa accogliente e comprensiva verso ogni tipo di studente. Un esempio. Restato solo si è rinchiuso nella sua vita impenetrabile, concedendo solo qualche contatto alla coppia vicina Anita e Reuben. L’arrivo della nuova famiglia ibrida composta da Marisol (una messicana esuberante e generosa che fa finta di non notare gli atteggiamenti sgradevoli dell’uomo, di origine salvadoregna), Tommy e le loro due figlie, più uno in arrivo. In questo microcosmo a sé stante succederanno cose piacevoli e non, diverbi e nuove amicizie, nel frattempo che la corazza di Otto mostri qualche falla e apra nuovi orizzonti di buona convivenza, ma anche, purtroppo, eventi nefasti. Tutto all’insegna dell’ottimismo e della positività dell’animo umano alla Frank Capra.
Come? Vi sembra una storia già vista? Ovvio, è, come appunto il primo aspetto di cui nell’incipit, il film di Marc Forster – regista che spazia tra i generi, vedi per esempio il torrido, bellissimo e drammatico Monster's Ball - L'ombra della vita, oppure il quasi fantastico Neverland - Un sogno per la vita, l’azione di Quantum of Solace, il catastrofico World War Z –, la replica del simpaticissimo (e ugualissimo) Mr. Ove, da cui non solo ha preso spunto ma lo ha replicato pari pari, sostituendo solo l’ambientazione e i personaggi presi parallelamente da quello americano. Dove c’era l’accogliente iraniana sposata con uno svedese, c’è una messicana sposata con un americano di El Paso, dove c’erano i “colletti bianchi” che dovevano demolire la casa c’è una prepotente impresa immobiliare che vuol far sgomberare i due anziani neri ammalati, e così via. E Sonja è sostituita da Sonya e Ove da Otto. Il vero cambiamento, l’impronta americana, è l’attore: dal bravo Rolf Lassgård siamo passati alla maggiore espressione del buono statunitense, il rappresentante della realizzazione del sogno americano, il James Stewart dei nostri decenni, il semplicemente perfetto Tom Hanks, attore capace di far rendere simpatico persino Godzilla se lo interpretasse. È tale la sua attitudine ad avvicinarsi allo spettatore che da lui non ci si può attendere che il meglio. E il bene, anche sotto la dura scorza di Otto.
Si sorride, qualche volta si ride, e poi ci si commuove, ma per davvero, quando finalmente il cuore dell’uomo di ferro - che sa aggiustare tutto, che fa da babysitter, che adotta il gatto randagio, che regala ogni cosa, che salva la casa dei vicini, ma soprattutto che si ferma a ricordare i tempi felici con la sua sposa, la bontà di Sonya che lo ha messo in contatto con Malcolm, il transgender rifiutato anche dai suoi – diventa di burro. Quella era la donna ideale, la più bella e gentile che avesse incontrato in gioventù, conosciuta nella maniera più imbranata che si possa immaginare e che gli aveva sorriso sin dal primo istante. Otto, da giovane, era tutt’altro che intrattabile come ora, anzi era un pezzo di pane e per un personaggio di questa fattura ci voleva un attore giovane che trasmettesse queste sensazioni. Chi meglio del figlio di Tom? Ecco all’opera Truman Hanks, che, visto di spalle controluce, ha la stessa silhouette cranica del padre e se lo spettatore ignaro lo vede lo intuisce immediatamente.
Ottima e simpaticissima Mariana Treviño.
L’originale ebbe due candidature agli Oscar (film straniero e trucco) e rivedendolo si ha la netta sensazione che sia superiore, anche se questo ha la dote di saper intrattenere pur con qualche momento di stanca e premi non avrà mai; rischiava di essere un film solo mediocre ma la bravura di Tom Hanks, la sua sempiterna presenza bonaria fa miracoli e in più, se anche sentito in originale, si deve aggiungere il suo talento che sa adeguarsi, voce e gestualità, ai vari ruoli, come solo i grandi sanno fare. E difatti va a finire che ognuno di noi simpatizza per questo insopportabile e maniacale personaggio, che si arrende solo alle ricette saporitissime dell’America Centrale cucinate dalla irresistibile Marisol. Tom è l’attore che rende umano qualsiasi protagonista, buono o meno che sia, che avvicina i vari concetti che un film esprime a quello fondamentale per la vita in comune: il dover stare insieme, per il bene di tutti. Lui, con i suoi occhi chiari, sta invecchiando inesorabilmente, come noi, ma ogni volta sembra di rivedere quel giovanotto seduto sulla panchina con lo scatolo dei cioccolatini sulle gambe, o quello che tornato da un lungo naufragio lascia in pace la moglie risposata.
Il finale fa spazio alla commozione, ma non per motivi di furbizia registica, quella conclusione sta anche nel film svedese: è solo perché la generosità altruistica di Otto va oltre le attese e l’ultimo evento accade quando proprio non lo si aspetta. Ma quanto è bello rendere felici gli altri, dopo aver capito che ogni uomo è parte degli altri?
“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te.” John Donne.




















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