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Nowhere Special - Una storia d'amore (2020)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 apr 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 17 nov 2023


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Nowhere Special - Una storia d'amore

(Nowhere Special) UK/Italia/Romania 2020 dramma 1h36’


Regia: Uberto Pasolini

Sceneggiatura: Uberto Pasolini

Fotografia: Marius Panduru

Montaggio: Masahiro Hirakubo, Saska Simpson

Musiche: Andrew Simon McAllister

Scenografia: Patrick Creighton

Costumi: Fionnghuala Mohan


James Norton: John

Daniel Lamont: Michael

Eileen O'Higgins: Shona

Valerie O'Connor: Ella

Stella McCusker: Rosemary

Valene Kane: Celia

Keith McErlean: Philip

Sean Sloan: Golfer

Siobhan McSweeney: Pam

Chris Corrigan: Gerry

Niamh McGrady: Lorraine

Rhoda Ofori-Attah: Sharon

Nigel O'Neill: David


TRAMA: John, un lavavetri di 35 anni, ha dedicato la sua esistenza alla crescita di Michael, il figlio di tre anni, da quando la madre del piccolo li ha abbandonati poco dopo il parto. Quando scopre di avere solo pochi mesi di vita davanti a sé, John cerca di trovare una nuova famiglia che possa accogliere Michael e proteggerlo dalla terribile realtà che lo aspetta.


Voto 8

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Tralasciando il suo esordio con un film passato inosservato, il terzo lavoro di Uberto Pasolini riprende, seppure con motivi differenti e un contesto molto diverso, i temi del film che lo ha fatto apprezzare ovunque e con riconoscimenti anche a Venezia 2013, il bellissimo Still Life: la solitudine e la morte. Se in quel film - che tocca anche l’argomento dell’assenza di comunicazione - il primo elemento era la caratteristica della vita solitaria del protagonista che si occupava della sepoltura delle persone che avevano finito l’esistenza (secondo elemento) abbandonati da parenti e senza conoscenti (quindi un uomo che viveva da solo come i deceduti), in questo fanno da motivi conduttori di una storia drammatica in cui un padre single trentacinquenne vive con il piccolo figlio Michael guadagnandosi da vivere con la sua piccola impresa di lavavetri per abitazioni, uffici e locali pubblici. La moglie di John è scappata via dopo solo sei mesi aver partorito, spaventata dal compito che la attendeva e assalita dalla nostalgia per la sua terra lontana. Lui non era riuscito a trattenerla e allora si era fatto carico di crescere da solo il bambino, anche se assorbito dal lavoro e nessun parente, nessun conoscente in particolare, solo qualche rara puntata al bar per una birra.

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Non sarebbe la fine del mondo ma lo diventa quando gli viene diagnosticato un grave male che lo terrà in vita per ancora solo pochi mesi. La morte incombe su un uomo lasciato solo, con un dolcissimo e ubbidiente bimbo di 4 anni che lo guarda sempre come se volesse esplorare il viso del papà per capire cosa lo affligge. John è triste e sorride poco, non frequenta nessuno se non qualche conoscente a cui affidare il piccolo quando esce dall’asilo e lui deve ancora lavorare. Anche perché, in questa maniera Michael può giocare con altri bambini della sua età e non sempre e solo con lui, che lo intrattiene leggendogli fiabe dai libri che si fa prestare dalla biblioteca.

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Il cruccio è solo uno ed è pesantissimo: avendo ancora solo poco tempo da vivere, a chi deve lasciare il suo caro bambino? È alla ricerca di una famiglia tra quelle che si sono offerte ai servizi sociali del comune che si occupano delle adozioni ed ora la cosa più saggia è quella di conoscere queste coppie per scegliere l’ambiente e la casa più idonea per Michael. Assieme alla paziente e preoccupata assistente sociale Shona, fa visita a quelle famiglie con la speranza di trovare quella giusta per il futuro del piccolo, ne studia le attitudini, il carattere, immaginando l’accoglienza che potrebbe ricevere quando lo lascerà, ma purtroppo i dubbi sono sempre tanti e la decisione pesa come un macigno, mentre deve anche preoccuparsi di non trascurare il lavoro. Proprio con quella occupazione ha modo di osservare dal di fuori le camerette di altri ragazzini, immaginando il suo negli altri ambienti.

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Michael è attaccatissimo al padre, non sa fare a meno di lui e pone anche domande scomode sulla assenza della madre, sulla morte delle persone, sulla vita che conducono gli altri bambini (“Cosa vuol dire adottare?”). John soppesa con attenzione le risposte mentre il tempo a disposizione vola. La decisione della scelta diventa vieppiù pressante ma ogni coppia conosciuta non gli sembra mai la più appropriata, dovendo riflettere anche sulle possibilità economiche, la cultura, l’umanità di quelle persone. Conta tenere presente la futura personalità del suo Michael, cosa penserà vedendosi senza il padre, se saprà adeguarsi alla nuova casa. Intanto, sono belle le pause fatte di giochi, di luna park, di torte fatte in casa, di spesa al super mercato, facendosi compagnia e scherzando. Ma il tempo diminuisce giorno dopo giorno.

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Così come avvenne col film precedente, la delicatissima mano di Uberto Pasolini filma padre e figlio in continui quadri quotidiani, di vita che vuole essere ordinaria ma che tale non può essere. Il regista nasconde sotto lo strato della quotidianità il dramma della situazione evitando il senso della tragedia, dando maggior risalto più al bel legame tra i due protagonisti che alla morte incombente, o alla solitudine che per il piccolo accrescerà. Intensa la scena in cui lui decide di raccogliere in una scatola di plastica gli oggetti che serviranno al figlio per ricordarsi di lui, di quelli che li hanno legati, assieme ad una serie di brevi lettere chiuse in buste rosse che serviranno da insegnamenti futuri man mano che crescerà: l’ultima raccomandazione è addirittura per quando prenderà la patente. Lui non lo vedrà mai crescere e diventare uomo.

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Al regista non interessa lo schema classico del dramma della morte incombente, non comincia il film con un incontro triste con un dottore che dà cattive notizie e neanche vuole finirlo in un cimitero o in un ospedale tra le lacrime dei presenti, scena consueta nel sottogenere già ampiamente vista anche in film di grande successo. Ha voluto solo catturare – e lo fa in maniera esemplare, quasi da diario giornaliero – alcuni di quei giorni di questa coppia affiatata, di due esseri che, nonostante la differente età, sono molto attenti in maniera identica ad osservare ciò che li circonda, a parlare soprattutto con gli sguardi, rivolti attorno o tra di loro. Al tempo stesso ha voluto mostrare come questo rapporto cambia ed è influenzato da quello che succede, senza trascurare anche come questo amore tra i due si esprime. Seppure il dramma sia incombente, è bello osservare come i due continuino la vita di tutti i giorni con i momenti ordinari in cui si fa colazione, si va a scuola, si legge un libro prima di dormire, si va al parco o si mangia un gelato. E si nota con commozione come il padre attraversi anche momenti in cui sta per accennare al bimbo cosa sta veramente succedendo salvo poi decidere di rinviare in una situazione più adatta: pure quelle indecisioni traspaiono evidenti e causano attimi di sincera partecipazione da parte dello spettatore, emotivamente coinvolto. Momenti di estrema dolcezza e intimità come quando attraversano mano nella mano la strada, quando John pettina Michael per togliergli i pidocchi (“Qualcuno a scuola non si lava i capelli”), quando si addormentano sul divano l’uno sopra l’altro: vita quotidiana fatta di piccolissime cose, nulla di speciale, in un posto non speciale. Non è un luogo speciale, come dice il titolo.

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Uberto Pasolini li tratta non come personaggi di un racconto (tra l’altro appreso dal regista da un fatto di cronaca realmente accaduto) ma come persone, solo colte in una situazione speciale, con una storia che purtroppo potrebbe toccare chiunque. Come, perché no, potrebbe capitare anche quello che succede dall’altra parte della barricata: le coppie che decidono di adottare un bambino. Anche quelle sono storie a sé su cui il film ci fa riflettere e in cui in tanti si ritrovano, con le relative perplessità quando gli interessati devono scegliere tra quel bimbo o quell’altro. Un film, quindi, tanto emozionante quanto delicato, generoso, sincero, che non fa mai staccare l’attenzione dal primo all’ultimo minuto, che invita alla partecipazione e alla complicità, che fa fare il tifo per il piccolo Michael affinché trovi le persone giuste, che venga accolto a braccia aperte da chi lo crescerà come figlio proprio. Che non fa inutilmente piangere: commuove solo l’ultimo fotogramma, un fermo immagine in cui padre e figlio si stanno guardando dall’alto in basso con tanto affetto, augurandosi di poter continuare a parlarsi come l’uomo ha promesso al piccolo, che lo seguirà sempre, nell’aria, intorno a lui. Perché i morti non vanno via veramente, come ci ricorda un’anziana cliente del lavavetri, che gli racconta che: “Mia madre credeva all’aldilà. La morte non significa polvere nella polvere. Noi siamo aria, non terra. E restiamo lì anche dopo. Il nostro spirito, la nostra energia sono nell’aria.”.

Lui, per suo figlio, sarà sempre lì, vicino.

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Sotto la guida di una regia così attenta e preziosa scopriamo in primo piano un attore che normalmente è in seconda fila e che qui si rivela un eccellente interprete, James Norton, artista sensibile che ci fulmina in grado di trasmettere i sentimenti del personaggio senza bisogno di essere supportato dai dialoghi. Anche quando il suo John non sta parlando con nessuno, si avverte quello che prova in quella specifica scena. Piccoli, accennati sorrisi verso il figlio che dicono milioni di parole. Davvero bravo, una scoperta. Per il piccolo Daniel Lamont un discorso a parte: ancora una volta si verifica quel miracoloso fenomeno di un minuscolo attore che, trotterellando e chiacchierando come un adulto, si manifesta come un professionista scafato e senza timore del ruolo affidato. Un portento. E che amore! Un faccione rotondo, due occhioni che parlano come e quanto il padre del set, con cui stabilisce un’armonia che è uno degli aspetti più riusciti del film, girato in Irlanda del Nord, in buona parte a Belfast. Una coppia che sprizza tenerezza in una dolorosa storia di vita. Di vita, ché della dipartita, il bravissimo Uberto Pasolini, evita con cura di mostrare alcuna scena. Solo un saluto finale fatto di amorevoli occhiate sull’uscio della casa in cui il piccolo andrà a vivere.


Applausi!



 
 
 

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