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O.G. - Original Gangster (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 ago 2019
  • Tempo di lettura: 4 min

O.G. - Original Gangster

(O.G.) USA 2018, drammatico, 1h53’


Regia: Madeleine Sackler

Sceneggiatura: Stephen Belber

Fotografia: Wolfgang Held

Montaggio: Frédéric Thoraval

Musiche: Nathaniel Méchaly

Scenografia: Michael Bricker

Costumi: Heidi Bivens


Jeffrey Wright: Louis

William Fichtner: Danvers

Boyd Holbrook: Pinkins

Mare Winningham: Janice

David Patrick Kelly: Larry

Yul Vazquez: Baxter

Bahni Turpin: Ludlow

Ryan Cutrona: Piner

Kevin Jackson: Mo


TRAMA: Per un detenuto arrivano il momento di scontare le ultime settimane della sua condanna a oltre vent'anni di carcere. Mentre deve far fronte a vecchie lealtà e a un nuovo protetto, è alle prese con le incertezze sul suo ritorno alla vita lontano dalle sbarre.


Voto 7


Ci provano diverse volte a girare film carcerari, ma generalmente solo qualche bella prova del cinema spagnolo ha dato buoni risultati. In definitiva solo gli americani, con le loro prigioni modello, almeno per quella che è la loro mentalità di giustizia, sono riusciti nella storia cinematografica a produrre film di buona e a volte buonissima qualità. È lì che il sottogenere chiamato con estrema precisione prison-movie ha sviluppato ottimi soggetti e storie molto interessanti. Oltre oceano inoltre hanno anche la capacità di approfondire l’argomento nell’ambito di varie situazioni, che possono riguardare le etnie, il tipo di criminalità, dei momenti storici oppure a seconda degli inevitabili errori giudiziari in cui incappa la giustizia statunitense. E questo film entra di diritto in questa lista, una volta compreso in quale sottocategoria dobbiamo catalogarlo.


Madeleine Sackler è una regista, editrice e produttrice polivalente di ricca estrazione, già vincitrice di Emmy Awards e aveva alle spalle qualche documentario oltre a varie attività artistiche nell’ambito cinematografico. Debutta quindi nel vero lungometraggio con questo interessante film molto mascolino, rude e tosto, che difficilmente – non essendone al corrente – un qualsiasi spettatore penserebbe firmato da una donna. Anche perché (e questo è un merito) è diretto con sicurezza ed efficacia, pur se in alcuni momenti sembra ci sia qualche esitazione per affondare il colpo decisivo.


Il protagonista principale è un detenuto di colore che sta per finire di scontare il suo ultimo periodo di carcere per un omicidio: è circondato da soli carcerati neri, tutti estremamente pericolosi, organizzati in piccole gang all’interno della casa di detenzione, l’uno contro l’altro, ognuno continuamente in guardia verso gli altri, ben conscio che da un momento all’altro può incrociare a mensa o nei corridoi o nell’ora di aria un collega con un’arma di fortuna (oppure fatta entrare clandestinamente) pronto a farti fuori. Lui è Louis, che ha ucciso un ragazzo (anch’egli di colore) per una rapina a mano armata che non è andata come nei piani previsti.


In galera sa gestirsi bene anche se vive appartato e senza alleanze, è temuto e sa farsi rispettare, ma è sempre in guardia perché i gruppi avversi sono pericolosi. Lavora nell’officina della carrozzeria del carcere, dove sa farsi apprezzare dal responsabile, e anche qualche funzionario e impiegata lo ascoltano volentieri fidandosi. Ma non sono questi i suoi reali problemi esistenziali, perché ormai la lunga pena sta per scadere. È troppo anni che vive recluso, è lì che ha trascorso i migliori anni della maturità della vita e adesso… adesso ha forse timore di affacciarsi alla vera vita. Ormai è ingrigito e fuori chissà la vita come è cambiata: saprà cavarsela di nuovo senza commettere più gravi azioni? Sarà in grado di rimettersi in carreggiata e vivere dignitosamente? No, non è facile, spera che lo aiuti la sorella, almeno per il reinserimento nella società, poi cercherà un lavoro per vivere e rendersi autonomo.



Due le scene che ritengo importanti. La prima è quando appoggia la mano al muro di recinzione durante la boccata d’aria e come un sogno ad occhi aperti la sua mano sprofonda nel cemento armato fino a sporgere all’esterno, come se quel muro fosse di polistirolo. La mano che annaspa alla cieca verso la libertà non trova nulla, lui non vede nulla e fuori non c’è – almeno all’apparenza – nulla. Come sarà fuori la vita per lui? La seconda scena è quella che lo mette a dura prova, allorquando i tutori che controllano i suoi progressi psicologici lo mettono a confronto con una parente del giovane che lui ha assassinato. Tentenna, vacilla, ammette di aver sbagliato ed esagerato ma dopo che quella donna pareva che riuscisse a perdonarlo e a comprendere il suo errore, la parente cambia atteggiamento e lo accusa aspramente facendolo sentir ancor più colpevole. Entrambi questi momenti segnalano il suo disagio e mettono in difficoltà la sua apparente sicurezza mentale. Se all’interno del carcere è guardato con riguardo, verso l’esterno le cose non sembrano per niente agili per il suo futuro.


È sul lato psicologico che quindi la brava regista lavora, sui caratteri dei vari brutti ceffi che girano per quei corridoi e sull’ambiente che si crea tra i detenuti. Un piccolo mondo malavitoso all’interno di un piccolo universo circoscritto. E se il personaggio principale deve essere ben interpretato per trasmettere tutto ciò, ebbene un collaudato attore, sempre comprimario, sempre caratterista, che qui ha l’occasione per dimostrare la sua bravura finalmente, ebbene ecco che Jeffrey Wright che se la cava più che egregiamente. Il destino gli ha riservato questa opportunità, anche se in un piccolo film che avrà girato poco e che in Italia è inedito, e Wright non l’ha sbagliata, si è vestito di tutto punto con gli abiti di un omone muscoloso e senza paura che in canotta passeggia nei corridoi carcerari con un andamento ciondolante come per dire che non ha paura di nessuno, ma con la mente che non è forte come lo spirito. Il giusto equilibrio tra i due atteggiamenti lo ha tenuto vivo e salvo per un ventennio e se la caverà anche con l’ultimo impiccio che si trova da risolvere. Uscirà indenne? Ci sarà la sorella fuori del cancello come promesso?


Il film è da premiare con un buon voto, in modo che sia un buon augurio per la giovane e coraggiosa regista Madeleine Sackler e per il maturo attore Jeffrey Wright che può finalmente dare dimostrazione del proprio valore. Film molto ben recitato e ben diretto.



 
 
 

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