Oxygène (2021)
- michemar

- 3 giu 2021
- Tempo di lettura: 4 min

Oxygène
Francia/USA 2021 fantascienza 1h40’
Regia: Alexandre Aja
Sceneggiatura: Christie LeBlanc
Fotografia: Maxime Alexandre
Montaggio: Stéphane Roche
Musiche: Robin Coudert
Scenografia: Jean Rabasse
Costumi: Agnes Beziers
Mélanie Laurent: Elizabeth Hansen
Mathieu Amalric: M.I.L.O
Malik Zidi: Léo Ferguson
TRAMA: Al risveglio in una capsula criogenica, una giovane donna non si ricorda chi è o come sia finita lì. L'ossigeno sta per finire e lei deve recuperare la memoria per cercare di uscire dal suo incubo.
Voto 6,5

Se ci si avvicina al film senza essersi prima informati sul contenuto, si fa fatica a capire davanti a quale tipo di avventura si è capitati, a intuire la situazione, dove ci si trovi e chi mai sia quella donna inquadrata. Lei è Elizabeth, in tuta spaziale, con tanti cavetti di monitoraggio sul suo corpo, spaventata moltissimo, che si guarda intorno con l’espressione di chi non abbia la minima idea del motivo per cui si trovi lì. Nel giro di qualche minuto ci si rende conto, forse noi spettatori meglio della donna: un veicolo che viaggia nello spazio, termine scientifico che sembra antitetico rispetto a quello tanto ristretto in cui ella si ritrova. È stesa su un lettino tipico delle capsule criogeniche in cui evidentemente si è risvegliata e come uno spaventoso incubo non sa perché si trovi in quel luogo e perfino chi sia lei stessa. Non ricorda nulla di sé, non ricorda come ci sia arrivata e soprattutto non conosce il proprio nome.

Reagendo in maniera istintiva ed evidentemente perché così è stata addestrata – anche se non se lo ricorda -, cerca di interloquire con M.I.L.O., il computer di bordo, stabilendo un contatto che pur non essendo umano le riesce a darle un minimo di conforto, sia mentale che di legame verso un’altra entità. Perché lo sconforto di trovarsi sola e senza spiegazioni la sta spingendo verso la paranoia. È infatti con questa specie di Hal9000 più sofisticato che ha modo di chiamare (ingenuamente) la polizia terrestre, di chiarire la sua posizione, di cominciare (finalmente!) a sapere qualche notizia di lei, qual è il suo compito, perché è ibernata e con quali compiti. M.I.L.O. collabora, è efficiente, le è molto utile, almeno apparentemente, ma il risultato delle varie telefonate, spesso interrotte - motivo di momenti di profonda depressione per la paura di restare ancora isolata - non portano i frutti sperati. A istanti di euforia ne seguono tanti altri di totale abbattimento, con lo stato d’animo che rimbalza come una palla tra il soffitto e il pavimento. Urla, lacrime, forza di volontà per reagire, ma lo spazio fisico è ridotto all’osso, Elizabeth è sempre supina, è prigioniera nel suo stretto bozzolo (il colmo!) nello spazio infinito e soprattutto il problema più grave deve ancora risolverlo: l’ossigeno sta finendo. Se continua ad agitarsi come sta facendo presto si esaurirà e l’unica soluzione ragionevole è ritornare allo stato vegetativo della criogenia. Il dilemma è scegliere se restare sveglia per capire il suo compito e guidare il suo futuro facendo finire però l’ossigeno, e quindi con la sicura morte per asfissia in poco tempo, oppure lasciarsi addormentare nelle mani del sistema scientifico che l’ha condotta fino a quel momento. Questa situazione estrema causa ovviamente maggiore ansia e respirazione troppo affannosa, diminuendo ancor di più le probabilità di sopravvivenza. Cosa fare? Come scegliere? Perché dalla Terra non collaborano? Un vero incubo.

Non è certo un film che cerca contenuti particolari se non l’intrattenimento da thriller e come schema certamente non è una novità: dalla letteratura alla cinematografia, gli scrittori e gli autori si sono sempre occupati di contesti simili, dai racconti horror scritti da Edgar Allan Poe (vedi ad esempio La sepoltura prematura, un titolo che già mette paura) a film di successo, noti o meno noti, cominciando da Buried - Sepolto di Rodrigo Cortés (2010) e per finire al risveglio della Sposa tarantiniana in Kill Bill - Volume 2. Cosa fa più terrore che ritrovarsi chiusi in una bara o tomba o bozzolo come Elizabeth. Forse nulla! Basta infatti immedesimarsi nel personaggio della astronauta e vivere le sue paure, partecipare alle sue preoccupazioni, cercare disperatamente di trovare una soluzione utile e necessaria alla sua scomodissima situazione.

Un film non facile da scrivere e girare, essendo una location ristrettissima e con un personaggio pressoché unico ed una voce, oltre quella che risponde al telefono dalla Terra. Una sceneggiatura che poteva arenarsi dopo sola qualche sequenza, che rischiava di essere ripetitiva, di annoiare se non si era capaci di dare svolte, seppur minime, al lento procedere della trama. Eppure, pur mantenendosi appena sufficiente come giudizio globale, il film attraversa momenti di vero pathos, di tensione ansiogena. Informandosi a proposito dell’evoluzione del progetto, si legge che inizialmente il ruolo era stato pensato per Anne Hathaway e in seguito per Noomi Rapace, che credo che se la sarebbe cavata discretamente. Per fortuna che – ma non certamente per demerito delle due attrici – infine la scelta è caduta su Mélanie Laurent e per un semplice motivo: è stata magistrale! Che la brava attrice francese, che ha intrapreso anche una interessantissima carriera di regista con film originali, fosse in continuo miglioramento era palese a tutti ma in questo film supera ogni più rosea aspettativa. Si assiste ad una interpretazione veemente, intensa, ribollente, che non solo richiama l’attenzione totale dello spettatore ma se lo trascina con sé, lo fa partecipe. Stesa su quell’asse metallico e di grigio freddo, recita come se avesse a disposizione un intero palcoscenico di teatro, regge tutti i 100 minuti senza quasi far sentire la monotonia della scena, dando possibilità al regista parigino Alexandre Aja (pluriesperto di opere horror) di poterla fotografare da diverse posizioni e farle esprimere tutta la sua potenzialità di interprete. Che brava, Mélanie! Se il film, a mio parere, supera la sufficienza è solo merito suo. Notevole, doveroso aggiungere, il contributo di quell’attore che presta la voce all’onnipresente M.I.L.O.: Mathieu Amalric, voce affabile che utilizza il suo tono convincente per attirare la donna nei trabocchetti, per cui meglio non fidarsi, nonostante la soavità. Perfetto nel compito affidatogli.






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