Paterson (2016)
- michemar

- 6 apr 2019
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 25 dic 2023

Paterson
Francia/Germania/USA 2016 dramma 1h58'
Regia: Jim Jarmusch
Sceneggiatura: Jim Jarmusch
Poesie: William Carlos Williams, Ron Padgett
Fotografia: Frederick Elmes
Montaggio: Affonso Gonçalves
Musiche: Jim Jarmusch, Carter Logan, Sqürl
Scenografia: Mark Friedberg
Costumi: Catherine George
Adam Driver: Paterson
Golshifteh Farahani: Laura
Barry Shabaka Henley: Doc
William Jackson Harper: Everett
Chasten Harmon: Marie
Rizwan Manji: Donny
TRAMA: Paterson guida gli autobus nella città del New Jersey che porta il suo stesso nome. Ogni giorno rispetta una sorta di routine oramai collaudata: attraversa il solito percorso, osserva la città alla deriva dal suo parabrezza, ascolta frammenti delle conversazioni della gente intorno a lui, scrive poesie, va a fare passeggiate con il suo cane, si ferma in un bar e beve una birra. Poi va a casa dalla moglie Laura, il cui mondo è invece in continuo cambiamento, fatto di sogni e progetti diversi e ispirati. I due si amano: mentre Paterson sostiene le ambizioni di lei, Laura apprezza in segreto il suo talento per la poesia. Nel corso di una settimana, si osservano i loro trionfi e le loro sconfitte, così come quelle dell'intera cittadina di Paterson.
Voto 7,5

Una settimana. Sette giorni. Un film in sette capitoli. Ogni atto inizia con il risveglio mattutino quando l’orologio da polso segna le 6 e10, al massimo e 12… sì, perché in quella casa non esiste una sveglia, un televisore, il protagonista non ha neanche un cellulare, la sua vita è segnata solo dalle sue abitudini.
Lui è Paterson e abita a Paterson, nel New Jersey, una tranquilla città popolosa e ordinata come il cittadino Paterson, autista di bus della linea Transit. È metodico, abitudinario e ad osservarlo da mattina a sera, tutti giorni della settimana, salta agli occhi che la sua vita è così ripetitiva che pare monotona ed invece la monotonia non abita nella sua mente: è solo meccanicamente ordinata e scandita dagli orari che ritmano come appuntamenti fissi la sveglia mattutina, la colazione, il lavoro di autista di bus, il ritorno a casa, la cena, la passeggiata con fidato Marvin (il suo bel bulldog inglese), la birra nel bar di Doc, l’altrettanto fidato barista che gli riempie ogni sera il boccale. Vive con Laura, una bella ragazza dolce e tranquilla come lui, una delle tante persone non indigene che vivono a Paterson, che, come si nota osservando la popolazione, annovera tra gli abitanti gente di ogni razza, colore, convinzione politica, religione. Una città che nella sua storia ha ospitato nel tardo XIX secolo tanti immigrati, tra cui moltissimi italiani, e tra questi perfino l’anarchico Gaetano Bresci, autore del delitto di Umberto I Re d’Italia. Infatti la lista storica degli ospiti della bella cittadina ha annoverato vari personaggi famosi, come i mitici cantanti soul Sam & Dave, o come il pugile decantato da Bob Dylan e raccontato da Spike Lee, Rubin Carter “Hurricane”, e poi i poeti Allen Ginsberg e William Carlos Williams, quest’ultimo assoluto punto di riferimento culturale per il nostro protagonista Paterson. E ci è nato, vanto di tutti gli abitanti, anche il mitico Lou Costello, da noi come Pinotto (il partner di Gianni), a cui loro hanno dedicato un parco e una statua.

È un piccolo universo di varia umanità, gente mansueta e chiacchierona. Gli unici che litigano (si fa per dire) sono la coppia all black, Marie e Everett, e sempre al bancone del bar di Doc: lei si è stufata e lo ha mollato, l’altro soffre da morire e la insegue tra battibecchi e dispetti. Loro bisticciano e i clienti del bar si guardano divertiti. Più di questo in città non succede. Doc, d’altronde, è il confessore, è la cassa di compensazione di ciò che succede nel quartiere, sa ascoltare tutti i suoi affezionati clienti, ma rischia grosso solo con il salvadanaio della moglie. Ah! che fa la passione per gli scacchi!

È un piccolo universo di persone pacifiche in cui c’è un più piccolo mondo privato, la casetta di Paterson e Laura, dove tutto quel piccolo mondo è tinteggiato in bianco e nero, dalle tende ai quadri, dalle vestaglie al collare del cane fino ai vestiti che lei stessa confeziona e colora. A strisce, a pois, ad anelli, tanto simili agli anellini Kellogg’s che lui inzuppa nel caffellatte di ogni mattina appena sveglio. Paterson non partecipa ad alcun social network, non vede la TV, non legge giornali: il suo unico social (se così si può definire) è leggere ma sopra ogni cosa scrivere poesie, che son sempre d’amore. Partono da un argomento qualsiasi e conducono tutte a versi conclusivi dedicati amorevolmente alla sua Laura, con cui sogna di avere due gemelli, così, tanto da averne uno ciascuno.
Fiammiferi Ohio Blue Tip
Abbiamo molti fiammiferi in casa nostra / Li teniamo a portata di mano, sempre. / Attualmente la nostra marca preferita è Ohio Blue Tip / anche se una volta preferivamo la marca Diamond…
Ecco il più bel fiammifero del mondo / così sobrio e furioso / caparbiamente pronto a esplodere in fiamme / per accendere, magari, la sigaretta della donna che ami per la prima volta / e che dopo non sarà mai più davvero lo stesso. / Tutto questo noi vi daremo. / Questo è ciò che tu hai dato a me. / Io divento la sigaretta e tu il fiammifero / oppure io il fiammifero e tu la sigaretta, / risplendente di baci che si stemperano nel cielo.

Difficile stabilire chi sia più premuroso e dolce tra Paterson e Laura: parlano sempre con tono placido, mai una discussione, l’uno che rinuncia volentieri a qualsiasi cosa se chiesto dall’altra, le scelte sono fatte in armonia (in verità la vince sempre lei!). Una casa dove non c’è un rumore o un sussulto l’unico con lo sguardo risoluto che (si capirà solo nel finale) decide di testa propria è Marvin, il bulldog inglese che sa essere perfino il ribelle che arreca danni. E non di poco conto.

Sette giorni, stessi avvenimenti, solo il weekend porterà qualche novità alla vita regolarizzata: il mercatino dove vendere i deliziosi (???) cupcake di Laura, la visione di un vecchissimo film horror, L’isola delle anime perdute, in bianco e nero (poteva essere diverso?), la domenica per riposare dal lavoro. Giorno che per l’uomo Paterson significherà moltissimo dopo lo strano incontro con un giapponese che ama le poesie, guarda caso, proprio di William Carlos Williams. Incontro necessario per la vita di Paterson, in un momento davvero difficile dopo il disastro combinato dal cane Marvin. Un appuntamento del destino, forse reale o forse trascendentale e autoipnotico, per ridare slancio alla vena poetica del nostro personaggio e per riprendere il cammino di scrittura che aveva subito un brutto colpo. Perché la Poesia, quando ce l’hai dentro l’anima, non può essere chetata da un incidente, deve riprendere il suo cammino, deve uscire dalla cassaforte dello spirito e sgorgare su un quaderno bianco.
Bagliore.
Quando mi sveglio prima di te / e tu sei girata col volto verso il mio, / testa sul cuscino e capelli sparsi tutti intorno, / colgo l’attimo e ti guardo / stupito innamorato e impaurito che tu possa aprire gli occhi / e che la luce del giorno scappi via da te. / Ma forse, una volta sparita la luce del giorno / vedresti quanto il mio petto e la mia testa implodono per te, / le loro voci intrappolate dentro / come bambini mai nati / terrorizzati di non vedere mai la luce del giorno. / L’apertura nel muro ora manda fiochi bagliori / di piovosi blu e grigi. / Mi allaccio le scarpe e vado di sotto / a mettere su il caffè.

Spesso usiamo dire che un film è poetico e tante volte utilizziamo questo aggettivo con molta generosità. Andrebbe usato solo in maniera appropriata e questo film di Jim Jarmusch lo è veramente e non perché c’è un personaggio che scrive sotto forma poetica le riflessioni semplici che gli passano nella testa ma perché è tutta l’opera che è intrisa di lirismo delicato e senza che lo spettatore se ne accorga si vive per circa due ore nella leggerezza aerea dei sentimenti. Eccesso di buonismo? No, non è proprio il caso: frequentemente nei film del regista dell’Ohio scopriamo tanti riferimenti culturali e artistici, anche nei piccoli particolari (bisogna solo coglierli), che spesso ci colgono di sorpresa, perfino in film molto più movimentati (vedi il bellissimo Ghost Dog). C’è solo da ringraziarlo per tutto questo. Ma i meriti non sono solo della fantastica regia, perché non è facile trovare un attore così bravo come Adam Driver, che qui, forse più di altre occasioni, è davvero superlativo, con la sua recitazione flemmatica, aiutata dal suo fisico da lungagnone e dal suo vocione che sa rendersi duttile per declamare con modestia e stupore nello stesso tempo i versi che gli maturano piano nella mente. Accanto a lui la più leggiadra e deliziosa Golshifteh Farahani che ci si potesse attendere, magnificamente brava e a suo agio con la lingua inglese, appena appena meno americana del suo partner di scena: bravissima! Se poi elogiare un comprimario come Barry Shabaka Henley alla sua ennesima apparizione (che Dio ce lo conservi) può risultare superfluo, una menzione a parte è obbligatoria per un cane. Sì. Il bulldog inglese, che sul set ha il nome di Marvin ma che nella vita si chiama Nellie, è una vera star: le sue espressioni, gli sguardi che rivolge al suo padrone, i dispetti di cui si renderà responsabile, la simpatia che stimola, lo rendono un protagonista a pieno titolo.

Un film delicato, prezioso, dolce, che fa anche sorridere, che fa bene al cuore, alla mente, che rasserena e che aiuta a far pace con il mondo, a guardare con occhio diverso il vicino e il passante che incrociamo sul marciapiede, anzi il vicino di posto (di qualunque razza esso sia) sul bus, che magari è guidato da un autista come Paterson, che è nato a Paterson e che vive e lavora a Paterson.
La sensazione più bella? Quella che ognuno di noi può scrivere poesie.
Come riconoscimenti, il film ha ricevuto in tutto il mondo 9 premi e 41 candidature, perfino il cane Nellie, che interpreta Marvin, ha ricevuto un premio a Cannes 2016!






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