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Per il mio bene (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 21 giu
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 17 ago

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Per il mio bene

Italia 2024 dramma 1h40’

 

Regia: Mimmo Verdesca

Sceneggiatura: Pierpaolo De Mejo, Mimmo Verdesca, Monica Zapelli

Fotografia: Federico Annicchiarico

Montaggio: Alessio Doglione

Musiche: Germano Mazzocchetti

Scenografia: Stefano Maria Ortolani

Costumi: Lia Francesca Morandini

 

Barbora Bobulova: Giovanna

Marie-Christine Barrault: Anna

Stefania Sandrelli: Lilia

Leo Gullotta: Luciano

Sara Ciocca: Alida

Gualtiero Burzi: Giorgio

Grazia Schiavo: avvocata

Fabio Grossi: dottor Lipari

 

TRAMA: In un momento delicato della propria vita, Giovanna ha bisogno della persona che per prima l’ha abbandonata, ovvero la madre biologica. Contattata da un avvocato, la donna però continua a rifiutarla. Giovanna decide comunque di andare a cercarla, sicura di farle cambiare idea, ma l’incontro con quella donna misteriosa e ostile porterà a galla verità sconvolgenti.

 

VOTO 6,5


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Molto interessante l’esordio del pugliese Mimmo Verdesca, cresciuto all’ombra di autori sensibili e collaborando come aiuto di Ferzan Özpetek e Marco Tullio Giordana. Quella sensibilità la porta nel suo film, un dramma al femminile che affronta problematiche riguardanti la maternità e le difficoltà di figli non desiderati, sorte e venute dopo una verità destabilizzante.



Giovanna (Barbora Bobulova) è una donna forte, autonoma. Guida fieramente l’azienda di famiglia e cresce da sola la figlia adolescente Alida (Sara Ciocca). La sua vita scorre solida fino a quando non scopre di avere una grave malattia: un tumore al fegato. Per la prima volta ha bisogno di qualcuno della famiglia, dopo che il medico le ha prospettato la possibilità di guarire tramite un trapianto di parte dell’organo donato da un consanguineo, che sia cioè compatibile. Chi meglio della mamma Lilia (Stefania Sandrelli)? Ed invece la risposta è negativa e non per il rifiuto, che sarebbe stato intollerabile, quanto per una verità che l’anziana donna le confessa e che nessuno fino a quel momento ha mai avuto il coraggio di dirle: lei era stata adottata all’età di un mese.



A questo punto Giovanna, rimasta sconvolta dalla rivelazione, non sa più chi è. Chi è la donna che l’ha concepita? Dove vive, se è viva? Una volta contattata potrebbe aiutarla a uscire dall’incubo della grave malattia. Vorrebbe risalire alle sue vere origini ma si scontra con una legge davvero complicata. Come si sa, quando una mamma non riconosce una neonata, il suo nome, per legge, deve restare anonimo e non è lecito indagare e scoprire la persona. Giovanna non si arrende e con qualche escamotage e con l’aiuto dell’amica avvocata, riesce a risalire al nome e a rintracciarne il domicilio.



Se finora il film dà l’idea di un dramma, ora la storia si complica ancor di più. La madre biologica è una anziana non più tanto in salute che vive da sola in una piccola palazzina vicino ad un lago, appartata dal resto dell’umanità, appena aiutata per la spesa dal padrone di casa, Luciano (Leo Gullotta), il quale può affittare momentaneamente all’imprenditrice l’appartamento a fianco di quello dove soggiorna la misteriosa signora. Che è inavvicinabile e che non si è mai interessata della figlia rifiutata, soprattutto dopo aver perso il figlioletto in circostanze drammatiche, per evitare che assistesse al violento stupro subito da due uomini. Ecco il motivo per cui Anna (Marie-Christine Barrault), questo il suo nome, non ha mai voluto sapere nulla del destino di quella bimba indesiderata.


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Trasferitasi in quel luogo appartato e isolato nelle vicinanze del lago, il compito che Giovanna si è dato è quello di avvicinarsi con tatto e delicatezza a quell’anziana misantropa e scorbutica, che non vuole avere contato con alcuno, attratta solo dalle acque che tantissimi anni prima hanno inghiottito il suo bimbo. Un lavoro paziente, lento, che riesce solo in occasione di un malore che coglie la vecchia, mentre a casa Lidia e Alida la attendono preoccupate. Anche i dirigenti dell’azienda sono in pensiero ma se lei non portasse a termine il suo piano tutto resterebbe inutile, perché la malattia sta avanzando inesorabile verso l’epilogo.


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Il delicato lavoro di Mimmo Verdesca è curato, sensibile, paziente. Filma il costante ed efficace avvicinamento delle due donne con la figlia che è riuscita ad aprire una breccia alla dura scorza di Anna. Entrano in una certa relativa confidenza ma quando avviene la grande rivelazione, tra le due il risultato è catastrofico e la richiesta di donazione respinta malamente. Ed il rapporto si rompe. Il finale si avvia verso una soluzione sorprendente.


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Non è un facile argomento ma il regista se la cava egregiamente prima di tutto con una sceneggiatura a sei mani che, pur attraversando momenti di eccessivo didascalismo, appassiona e commuove, mostrando gli aspetti così preminenti nell’universo femminile. D’altronde, come si evince, i personaggi sono quasi tutte donne, con figure maschili di contorno e non sempre di tempra positiva (vedi l’opportunista Luciano) ma, come affermato dallo stesso Verdesca, non ci sono mai stati motivazioni prettamente femministe e se si deduce che si esalta l’altra metà del cielo è perché la maternità problematica è solo appannaggio, nel bene e nel male, delle donne. E qui non mancano, né l’una né le altre e per forza il film prende la piega del dramma umano e psicologico.



Il personaggio della protagonista è quello di una donna di carattere pur se indebolita nel corpo e nello spirito a causa dell’infermità, ma quello più complesso e da studiare è quello dell’anziana Anna. Tra cose non facili da raccontare e la sofferenza di una vita rovinata dalla disgrazia, questa è il perno su cui gira il contenuto principale del film. Che non vuole essere a tesi (donne contro gli uomini, anche stupratori) ma, parole del regista, non si persegue nessuna strategia, nessuna voglia di lanciare proclami o messaggi. Una dote evidente del film è che Mimmo Verdesca evita ogni tipo di melodramma, quando invece investe tutto il suo interesse sui complessi rapporti umani che qui risultano evidenti, oltre ad un lavoro efficacissimo sulla profondità dei personaggi.



Lo dimostra il fatto che al termine della visione lo spettatore si accorge di aver conosciuto bene tutte e quattro le donne e ognuno saprebbe descriverle. Sono umane, deboli nei momenti difficili, stravolte dalle dure prove della vita (la malattia di Giovanna, la verità da svelare di Lilia, gli studi di Alida che preferisce fare volontariato di nascosto, la tragedia e il concepimento violento di Anna). E ciò non succede sempre ed il merito va sicuramente alla regia e alle buone prove delle attrici. Barbara Bobulova è matura interprete come poche altre volte, forse come mai, imprimendo caratteri di genuinità, stupore, tenacia, rabbia e rassegnazione, e sfida al destino; Stefania Sandrelli lavora dall’alto della sua riconosciuta esperienza, Sara Ciocca è brava ma è, come sempre, poco “morbida”, un tantino rigida, e parla ancora una volta troppo veloce, ma ha un futuro assicurato e sta già lavorando tanto, viaggiando al ritmo di tre film all’anno, per non parlare delle serie in TV. C’è un’altra attrice che illumina lo schermo: l’Anna di Marie-Christine Barrault è un personaggio difficile portato a termine con grande tempra, un bellissimo personaggio che esterna sofferenza e dibattito intimo che è una battaglia duplice; dovrebbe prima accettare la presenza e la conoscenza della figlia respinta e poi donarle la vita con un pezzo di sé. E non c’entra nulla la generosità, perché il problema è solo umano e mentale, alla vigilia di una decisione che va maturando da tempo. L’acqua la chiama di continuo, ecco perché è sempre seduta, le poche volte che esce di casa, sulla panchina in riva al lago.


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La chiusura è altamente nobilitata dalla voce di Mina (!) che canta sui titoli di coda il brano La gabbia: “Io invece non mi muovo, sto qui / come se fossi in gabbia / e aspetto il tuo ritorno / che accende un nuovo inferno dentro me”, versi che esprimono perfettamente il senso di prigionia emotiva e la ciclicità dolorosa di un amore che ferisce ma da cui non si riesce a fuggire.

Che esordio!


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Riconoscimenti principali

Nastri d’argento 2025

Candidatura miglior regista esordiente

Candidatura miglior attrice non protagonista a Stefania Sandrelli

Globo d’oro 2025

Candidatura miglior opera prima

Candidatura miglior attrice a Barbora Bobulova

Ciak d’oro 2024

Candidatura miglior attrice protagonista a Barbora Bobulova



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