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Peterloo (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 26 mar 2019
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 8 mar 2020


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Peterloo

UK 2018 dramma storico 2h34'


Regia: Mike Leigh

Sceneggiatura: Mike Leigh

Fotografia: Dick Pope

Montaggio: Jon Gregory

Musiche: Gary Yershon

Scenografia: Suzie Davies

Costumi: Jacqueline Durran


Rory Kinnear: Henry Hunt

Karl Johnson: Lord Sidmouth

Neil Bell: Samuel Bamford

John-Paul Hurley: John Saxton

Philip Jackson: John Knight

Tom Gill: Joseph Johnson

Johnny Bryom: John Johnson

Danny Kirrane: Samuel Drummond

Nico Mirallegro: John Bagguley

Victoria Moseley: Susannah Saxton

Dorothy Duffy: Mary Fildes

Maxine Peake: Nellie

Rachel Finnegan: Mary

Pearce Quigley: Joshua

Simona Bitmate: Esther

David Moorst: Joseph

Tim McInnerny: Principe Reggente

Marion Bailey: Lady Conyngham


TRAMA: Nel 1819 un pacifico raduno pro-democrazia riunitosi al St. Peter’s Fields, a Manchester, si trasforma in uno degli episodi più sanguinosi e tristemente noti della storia britannica. Una folla di oltre sessantamila persone, riunite per chiedere riforme politiche e per protestare contro i crescenti livelli di povertà, viene attaccata dalle forze governative e molti manifestanti rimangono uccisi.


Voto 8


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RIFERIMENTI STORICI

La Rivoluzione Francese fu un periodo di sconvolgimenti sociali e politici di vasta portata in Francia e nelle sue colonie a partire dal 1789. La Rivoluzione rovesciò la monarchia, stabilì una repubblica, catalizzò periodi violenti di disordini politici e infine culminò in una dittatura sotto Napoleone.

La battaglia di Waterloo fu combattuta domenica 18 giugno 1815 vicino a Waterloo, in Belgio, parte del Regno Unito all'epoca. L’esercito francese sotto il comando di Napoleone Bonaparte fu sconfitto da due degli eserciti della Settima Coalizione: un esercito alleato guidato dai britannici sotto il comando del Duca di Wellington e un esercito prussiano sotto il comando del feldmaresciallo Blücher. La battaglia segnò la fine delle guerre napoleoniche.

Il massacro di Peterloo ebbe luogo a St. Peter's Field, a Manchester, in Inghilterra, il 16 agosto 1819, quando la cavalleria caricò una folla di 60/80.000 persone inerti che si erano riunite per chiedere la riforma della rappresentanza parlamentare. Secondo alcune fonti i morti furono dalle 11 alle 15 persone, mentre i feriti dai 400 ai 700. Cifre poco attendibili in quanto buona parte di questi ultimi nascosero le loro condizioni di salute per paura di ritorsioni da parte delle autorità. Tanti tra loro erano donne e bambini, perfino neonati.

La fine delle guerre napoleoniche nel 1815 aveva provocato periodi di carestia e disoccupazione cronica, aggravate dall'introduzione della prima delle Corn Laws. Le Corn Laws erano dazi e altre restrizioni commerciali sui prodotti alimentari e sul grano importati, imposti in Gran Bretagna tra il 1815 e il 1846. Erano progettati per mantenere alti i prezzi del grano e così favorire i produttori domestici. Queste leggi imposero forti dazi all'importazione, rendendo troppo costoso importare grano dall'estero, anche quando le scorte di cibo erano scarse. Il risultato ovviamente fu che aumentarono soltanto i profitti degli imprenditori e il potere politico associato alla proprietà della terra.

In questo quadro precario di periodo storico succede quindi che all'inizio del 1819, la pressione generata dalle cattive condizioni economiche, unita alla relativa mancanza di suffragio – nel senso di diritto al voto - nel nord dell'Inghilterra, aveva accresciuto l'attrattiva del radicalismo politico. La gente povera, costretta alle restrizioni da paghe bassissime e desiderosa di vita dignitosa, soffriva ma sognava anche di reagire e di ottenere un migliore salario e maggiori diritti. Infatti, l'Unione Patriottica di Manchester, un gruppo che cercava di organizzarsi per cercare di ottenere tra l’altro la riforma parlamentare e quindi una loro rappresentanza in Parlamento, organizzò una dimostrazione in cui avrebbe parlato alla folla il noto comiziante radicale Henry Hunt. Questi era un forbito e convincente oratore aderente al Movimento Cartista, un movimento operaio che lottava per la riforma politica chiamata Carta Popolare, una organizzazione nazionale di protesta particolarmente forte nel nord dell’Inghilterra.


= o = o = o = o = o =


Mi spiazza Mike Leigh!

Lui, persona dolce e tranquilla che ha dedicato la vita di regista alle minimali storie di persone afflitte da problemi di relazioni, di affetti, di famiglia (bastano pochi riferimenti artistici tipo Segreti e bugie, Another Year), che cercano quella pace intima ma combattono che l’infelicità che li devasta, gira non una pagina ma un intero libro e scrive una storia epica e brutale realmente accaduta nell’Inghilterra nel 1819 in località St. Peter's Field, rimasta nella memoria con il nome di Peterloo a causa del recente ricordo della battaglia di Waterloo, avvenuta appena quattro anni prima. Un nome battezzato cioè da una crasi originata da quello delle due località.


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Ma ciò non vuol dire che si allontana dal suo pensiero politico, anzi ne esalta la colorazione! Lui, convinto uomo di sinistra alla pari del suo connazionale Ken Loach, per giunta nativo della zona di Manchester, luogo in cui avvennero i fatti, lui firma un’opera complessa, anche se lineare, per raccontare i soprusi subiti negli anni dal proletariato inglese e poi nel finale la soppressione violenta ad opera dell’esercito della pacifica manifestazione popolare che reclamava maggiori diritti e un salario più dignitoso. Repressione organizzata principalmente dalla lobby dei magistrati, dei proprietari e di chi in quegli anni sfruttava quella situazione politico-economica. Il tutto con il totale disinteresse e, anzi, derisione del Principe Reggente e di sua madre, Lady Conyngham, che intanto trascorrevano il tempo con le solite lussuose facezie di corte, temendo solo che quelle sommosse potessero semmai portare pericolo per il loro collo, memori e ancora spaventati dalla notizia giunta a loro quando il 16 ottobre 1793 Maria Antonietta venne ghigliottinata, preceduta dal marito re di Francia Luigi XVI il 21 gennaio.


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È un’opera epica, monumentale, con una moltitudine di comparse, come mai gli era stato necessario: veniva sì da un bellissimo film come Turner (mia recensione) in cui ci faceva conoscere uno straordinario pittore (un altro film in costume, fatto inusuale per il suo cinema essenziale e contemporaneo ma pur sempre nell’alveo della sua passione per l’arte pittorica) nel contesto storico di grande movimento artistico ma girato pur sempre puntando lo sguardo sull’intimità del personaggio, ma mai Leigh si era cimentato con un argomento di così notevole portata. Un film che ha richiesto uno sforzo immane tra impegno artistico, di uomini, di riprese, di costumi, di ricostruzione minuziosa dal punto di vista storico e quindi di una scrittura senz’altro impegnativa. In alcuni frangenti pare di assistere ad un vero e proprio colossal, tanto è notevole l’impiego di mezzi, comparse, azione militare. Impegno che si riflette ovviamente sullo spettatore: la durata è già un indice dello sforzo che necessita, poi si deve aggiungere il fatto che il film è una sequenza continua di discorsi, di speranze, di rinascita e su tutto la voglia della classe proletaria inglese che vuole combattere democraticamente per ottenere maggiore ascolto e rappresentanza nei luoghi del potere. Ma i poteri costituiti, in primis la famiglia reale e a seguire i potenti giudici e poi la nobiltà e i proprietari terrieri e industriali, non avevano ovviamente la minima intenzione di perdere i privilegi di cui godevano. E tutto ciò avveniva mentre il popolo faceva la fame e tornava spesso a ricordare il successo della recente Rivoluzione Francese, con la conseguente vittoria e i risultati ottenuti dai cittadini.

Il massacro fu inevitabile: durante la pacifica manifestazione organizzata per il discorso di uno dei leader, Henry Hunt appunto, l’esercito e la polizia del ministero degli interni intervennero per schiacciare la pur minima idea di rivalsa dei cittadini, attaccando la nutrita folla composta da uomini donne bambini e neonati. E fu massacro.


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La mia prima sorpresa è osservare l’incipit del film, uno squarcio della battaglia di Waterloo tra cadaveri di soldati e cavalli, bombe di cannoni che esplodono sul campo, puzza di fumo e di morte. Già questo ci porta in un mondo che mai Mike Leigh ci aveva mostrato prima. Una battaglia! Pur senza grandi inquadrature o esibizione di duelli o uccisioni. Solo devastazione. Un inno antibellico, una dichiarazione antimilitarista di Mike Leigh!


In primo piano uno sbandato trombettiere, totalmente intontito, terrorizzato e con schizzi di sangue sul volto in mezzo alle esplosioni delle cannonate che piombano a pochi metri. Figura emblematica questa del trombettiere Joseph. Apre e chiude il film, prima suonando il suo strumento in quello che pare il finale della battaglia, poi sepolto nel cimitero di campagna quale vittima del massacro di St. Peter’s Field: innocente martire prima e dopo, all’inizio e alla fine del film, da giovanissimo soldato dell’esercito inglese dapprima e da pacifico partecipante ad una manifestazione popolare dopo, quale agnello sacrificale dell’insurrezione proletaria, simbolica conclusione delle contestazioni morte sul nascere, come la sua breve vita.


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Cosa ci racconta Mike Leigh? La guerra per fortuna è finita, Napoleone è sconfitto dal Duca di Wellington a Waterloo, ma l’Inghilterra non se la passa tanto meglio, tanto che il Parlamento deve approvare un premio in danaro di 750.000 sterline all’eroe di Waterloo, Wellington, tanto che basta andare al mercato per capire che le uova sono merce pregiata e costosa, tanto che perfino i reduci della guerra se la passano malissimo e dimenticati, come il povero Joseph. E che l’aria che tirava in quegli anni non era facile per il poverissimo popolo, il regista ce lo dimostra con tre rapidi episodi, tre brevissimi processi a scapito di tre balordi, colpevoli o no (poco importa) di reati di poco conto. Le severe condanne a cui arrivano i tre giudici in questione - che ovviamente ritroveremo nelle convulse decisioni di (s)oppressione sulla folla pacifica della piazza di Manchester, tracotanti come in aula - sono punizioni pesanti che ci introducono nell’atmosfera regnante in quegli anni nelle città inglesi. Come se il regista ci dicesse: ecco, questa è la situazione, cosa potevano sperare di più?


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L’unica aspettativa per quella povera gente era organizzarsi, ma essendo ignorante si affidava a uomini esperti di parola e di politica. Uomini che in verità non la pensavano tutti alla stessa maniera, avevano idee parecchio diverse l’un da l’altro, qualcuno che voleva agire violentemente, altri pacificamente, taluni onesti e disposti a sacrificarsi per lo scopo finale, altri troppo presuntuosi e fanatici della loro missione. Ma bene o male, il grande raduno del 16 agosto del 1819 si organizzò e la gente era tanto fiduciosa, non solo per la riuscita della manifestazione ma anche per i risultati che speravano di ottenere, ed infine per i frutti che sarebbero maturati dopo il discorso che doveva pronunciare quella persona a cui si erano affidati: appunto il migliore di tutti, Henry Hunt.


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Dice l’autore del film: “Da quattro anni volevo realizzare questo progetto: il modo in cui questa storia risuona ancora in maniera inquietante nella politica contemporanea mi ha fatto pensare che fosse un film assolutamente necessario. Non ho fatto mai film che fossero evidentemente polemici e mostrassero estremi come tutto bianco contrapposto a tutto nero. Questo film non fa eccezione. Quello che però dovrebbe farci riflettere è la natura della democrazia e quello che è diventata oggi. Perché ci sono milioni di rifugiati che fuggono da tante parti del mondo? Fuggono da regimi e dittature antidemocratiche, ma i paesi democratici sanno accoglierli? Continuo a realizzare film perché sono preoccupato per quello che è diventata e sta diventando la nostra società. Cosa fa davvero per tutelare i diritti degli esseri umani e le loro condizioni di vita? Viviamo in un mondo che pare ogni giorno più arido e indifferente.

I discorsi di Hunt? In realtà quasi tutti i discorsi pubblici, inclusi quelli di Hunt, riprendono realmente quelli pronunciati all’epoca dei fatti.

Sono tanti i discorsi nel film? Quei discorsi sono necessari per contestualizzare i fatti, ci consentono di capire la realtà narrata. E se nelle riprese durante il massacro la macchina da presa si avvicina così tanto ai volti della folla è perché non mi interessa la folla come massa indistinta, mi interessano le persone.”


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Il regista Mike Leigh sul set

Se non ho scritto nulla sul personaggio principale, sul protagonista che c’è in ogni film un motivo c’è ed è importante: no, non c’è alcun protagonista, perché Mike Leigh ha posto al centro della narrazione la Storia, quella che si scrive tutti i giorni con gli avvenimenti importanti che segnano il destino degli uomini nei cambiamenti della società. E per giunta descrivendoci meticolosamente di avvenimenti di cui i libri di Storia parlano poco o nulla.


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No, è evidente, non è un film facile, e per giunta non è breve, richiede tanta attenzione, non c’è azione se non nel cruento epilogo, ma è fatto molto bene, curato e senza falle né nella sceneggiatura né nel racconto, nell’ambito di una situazione storica complessa. Al limite si può rimproverare, secondo il mio insignificante parere, un eccessivo carico espressivo nelle reazioni dei popolani che ascoltano i comizi dando approvazione o dissenso in modo troppo palese, per giunta ascoltando discorsi troppo forbiti per la loro scarsa cultura, ma queste sono inezie. Invece l’autorevole regista ha puntato molto sulla fotografia, che guarda i bellissimi panorami della campagna inglese, i primi piani delle singole persone (come lui stesso dice nell’intervista su esposta) e principalmente sul colore, un colore che soprattutto negli interni, molto ben curati nei particolari, richiama alla mente le tele dell’arte fiamminga, riportandone con fedeltà gli abiti delle povere casalinghe e le superbe divise dei cavalieri dell’esercito, la luce del sole che penetra dalle finestre, illuminando case altrimenti buie.


Non è, insomma, un film da intrattenimento, anzi il contrario. Meglio saperlo prima. Ma merita tutta l’attenzione che sta giustamente ricevendo da buona parte della critica ufficiale e del pubblico paziente che lo apprezza, perché, sia chiaro, film di questo tenore, scritto e girato con minuziosità e passione, non se ne vedono tanti.



 
 
 

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