Picnic ad Hanging Rock (1975)
- michemar

- 29 set 2021
- Tempo di lettura: 6 min

Picnic ad Hanging Rock
(Picnic at Hanging Rock) Australia 1975 dramma 1h55’
Regia: Peter Weir
Soggetto: Joan Lindsay (romanzo)
Sceneggiatura: Cliff Green
Fotografia: Russell Boyd
Montaggio: Max Lemon
Musiche: Bruce Smeaton, Gheorghe Zamfir
Scenografia: David Copping
Costumi: Judy Dorsman
Rachel Roberts: Mrs. Appleyard
Vivean Gray: Miss McCraw
Helen Morse: Mlle. de Poitiers
Kirsty Child: Miss Lumley
Anthony Llewellyn-Jones: Tom
Jacki Weaver: Minnie
Frank Gunnell: Mr. Whitehead
Anne Lambert: Miranda
Karen Robson: Irma
Jane Vallis: Marion
Christine Schuler: Edith
Margaret Nelson: Sara
Ingrid Mason: Rosamund
Jenny Lovell: Blanche
Janet Murray: Juliana
Wyn Roberts: serg. Bumpher
Dominic Guard: Michael Fitzhubert
John Jarratt: Albert Crundall
Peter Collingwood: col. Fitzhubert
Olga Dickie: Mrs. Fitzhubert
TRAMA: Il giorno di San Valentino dell'anno 1900 un gruppo di studentesse dell'aristocratico collegio Appleyard, a una cinquantina di chilometri da Melbourne in Australia, si reca per l'annuale picnic ai piedi del gruppo roccioso dell'Hanging Rock, sotto la sorveglianza dell’insegnante di francese, M.lle de Poitiers, e di quella di matematica, Miss McCraw. Alcune di loro scompariranno senza spiegazioni.
Voto 8

La vita è un sogno, soltanto sogno. Il sogno di un sogno. Così dice la voce di una delle ragazze, la quale, parafrasando una poesia di Edgar Allan Poe, annuncia la visione dell’esistenza che caratterizza il romanzo di Joan Lindsay, che all’uscita del libro, riportando nella fiction particolari veritieri, fu inizialmente scambiato per una storia vera. Invece era solo frutto, ambiguo e intrigante, della fantasia della scrittrice australiana.

Sabato 14 febbraio dell'anno 1900 una festa delle allieve del collegio Appleyard andò in picnic ad Hanging Rock vicino al Monte Macedon nello stato di Victoria. Durante il pomeriggio alcuni membri della festa sparirono senza traccia…
(la versione doppiata in italiano è un po’ differente (…località australiana nello stato del Victoria. Di ciò che accadde allora, questo film è il resoconto.)
La voce fuoricampo che legge la didascalia introduttiva – scritta su fondo nero, come un cartello del cinema muto - apre immediatamente la densa misteriosa atmosfera che non solo aleggia sin dalle prime scene ma che domina e ammanta l’intera visione. Si intuisce subito che non sarà un facile racconto di formazione ma la descrizione per nulla enfatica di una serie di avvenimenti che caratterizzano una storia che non troverà mai una spiegazione ragionevole. Nella calda primavera australiana, un austero collegio di stile vittoriano, dove giovani signorine vengono educate dalla rigida direttrice Mrs. Appleyard, domina la zona. Ci sono ragazze di famiglie facoltose, anche dalla lontana Inghilterra, ma anche giovani meno fortunate come Sara, che arriva da un orfanatrofio con una infanzia infelice ma che ha trovato conforto tra le amiche del convitto, in special modo con Miranda, forse la più bella di tutte, dotata di una grazia che all’insegnante di francese ricorda i dipinti del Botticelli. È la ragazza che fa innamorare a primo colpo il giovane Michael Fitzhubert che sta trascorrendo un periodo di vacanza nella villa vicina dello zio.

Il clima severo del collegio è palpabile: i ferrei ordini della pomposa direttrice fanno rigare dritto tutte le ragazze, che non osano contraddirla, aspettando magari i pochi attimi di libertà per comportarsi come giusto che sia per le giovani di quella età, specialmente quando rientrano nelle loro camere, dove sognano il futuro con poesie romantiche e con i cartoncini che ricordano la festa classica dell’amore. San Valentino sta arrivando e come tutti gli anni verrà concessa la sospirata giornata di libertà e scampagnata ai piedi del grosso masso di roccia alto circa 200 metri, il temuto Hanging Rock, massiccio pietroso pieno di fitta vegetazione, serpenti, formiche pericolose, con stretti passaggi erti e accidentati, da evitare, insomma. Solo Sara è esclusa dalla gita, essendo la ragazza con le rate in arretrato e poco sopportata dalla Appleyard per il suo carattere introverso. Tra le due non scorre buon sangue sin dall’inizio e il drammatico finale sarà funestato proprio dalla morte tragica dell’orfana, già fortemente scossa dagli avvenimenti che sconvolgerà la vita monotona e regolare del collegio.

Le ragazze partono con due professoresse ma torneranno la sera, ed in forte ritardo, perché tre di loro, la bella Miranda, Marion e Irma, a cui si aggiunge la rotondetta Edith (che però alle prime difficoltà rinuncia e torna giù ferita e spaventatissima), chiedono e ottengono il permesso di perlustrare la forma rocciosa ma non tornano più indietro. Per giunta, la seriosa professoressa di matematica, Greta McCraw, sparisce anch’ella nel disperato tentativo di recuperarle. La misteriosa sparizione fa scattare le affannose ricerche della polizia all’alba dell’indomani ma senza risultati. Intanto il giovane Albert, che con il fidato stalliere Michael aveva visto transitare le giovani mentre incominciavano a salire, decide di effettuare le ricerche per conto suo, sempre aiutato dall’inserviente. Ciò che produrranno le operazioni ripetute degli uomini dell’ordine e del due giovani apriranno una finestra sconcertante della situazione: le ragazze e la professoressa sembrano svanite nel nulla e chi fortunatamente torna indietro, come Edith e poi Albert, non sanno dare spiegazioni. Più di tutti la rediviva Irma, salvata proprio dal giovane inglese dopo qualche giorno, che, ferita e sconvolta, non riesce a ricordare nulla di ciò che è accaduto sulla famigerata montagnola. Il collegio è sconvolto, la sempre più dura Appleyard diventa ancora più ferrea, se ciò è possibile, le giovani collegiali sono terrorizzate e avvertono la pesante assenza delle loro amiche sparite. La reazione non si fa attendere quando la sopravvissuta Irma, la cui ricca famiglia inglese ha richiamato in patria, va a salutare le altre, che invece di abbracciarla per l’addio, la aggrediscono perché secondo loro non ha voluto spiegare i misteri della gita. Quell’assalto è lo sfogo e la scarica nervosa che il gruppo ha accumulato in quei giorni, rappresenta la ribellione al destino che è piombato su quel luogo, è la voglia di liberarsi dall’incubo, ma non fa altro che aumentare il caos mentale della situazione.

La roccia e l’eleganza primo 900 dallo stile vittoriano: è il dualismo tra natura e cultura, terra selvaggia e invadenza degli uomini, asprezza naturale e raffinatezza costruita, Australia e colonizzatori. Da una parte l’arcano misterioso dell’ambiente naturale, la libertà della vegetazione e degli animali, dall’altra l’invadenza dell’uomo e la rigida educazione del collegio. In mezzo alla dicotomia, ma anche in mezzo ai due monoliti (la roccia incombente e il grande edificio collegiale), un gruppo di fanciulle nel fiore della giovinezza che affrontano con felice incoscienza e spirito ribelle alle convenzioni i fiori del male che le circondano: alcune vaniscono (perendo? nessuno lo saprà mai), altre tornano alla vita, le rimanenti finiranno il corso educativo, ma con un’altra donna a capo del collegio o forse addirittura in altre scuole. La tragica fine, purtroppo prevedibile, di Sara, maltrattata sino all’ultimo, denuderà definitivamente la cecità umana di Mrs. Appleyard quel giorno di nero vestita, come un lutto, mentre le assurde regole del collegio si dimostreranno inutili, instaurate da una persona la cui corazza si sgretola davanti alle responsabilità, con lo sguardo vuoto dietro la scura veletta.


Un film di agghiacciante narrazione, di sconcertante e misteriosa atmosfera, opera che ha reso celebre Peter Weir. Una sorta di thriller tutto al femminile, allusivo, emozionante e impalpabile, che conserva il mistero fino all'ultimo, sospendendo i luoghi tra realtà e sogno (o il sogno di un sogno?) e trasformandosi in una riflessione sempre cara all'autore tra civiltà e natura, come altre volte gli è capitato, come in Master & Commander, The Way Back, L’ultima onda, forse perfino in The Truman Show (dove la civiltà pretende una natura finta, da fiction). Film imbevuto di inconscio, di attrazione per il mistero, di ossessione per il “non risolto”. Dal primo fotogramma, colorato dalla fotografia che accarezza un ambiente così femminile, è la musica che preannuncia la storia sconcertante. Lo straordinario suono del flauto di pan del più grande suonatore di quello strumento, Gheorghe Zamfir, segna costantemente il corso del racconto, intervenendo ogni volta con la sua armonia che dà di danza ancestrale e di mistero incombente, bella e inquietante, nenia e minaccia, languida e stregante, interrotta solo dal commento musicale originale e dagli inserti classici (altra dicotomia ben cercata, a contrasto) di Beethoven e Bach. Ma ciò che rimarrà nella memoria è solo il flauto, come un marchio perenne del bellissimo film. Se la regia di Peter Weir doveva colpirci ci riesce pienamente, non sprecando alcuna sequenza, ognuna delle quali ha una sua importanza nell’arco della trama, ogni inquadratura ha un significato - ammesso che ci sia - collegato alle altre, ogni frase pronunciata dalle ragazze ha un peso. Nulla è sprecato, neanche le comparse degli abitanti locali. Un dipinto selvaggio dominato dalla roccia che guarda da un milione di anni la vallata. E quando la natura inghiotte alcune donne fa anche più paura, perché “C'è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine.”






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