Police (2020)
- michemar

- 5 mar 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 22 ott 2024

Police
Francia/Belgio/Cina 2020 dramma 1h38’
Regia: Anne Fontaine
Soggetto: Hugo Boris (romanzo)
Sceneggiatura: Anne Fontaine, Claire Barré
Fotografia: Yves Angelo
Montaggio: Fabrice Rouaud
Scenografia: Arnaud de Moleron
Costumi: Emmanuelle Youchnovski
Virginie Efira: Virginie
Omar Sy: Aristide
Grégory Gadebois: Erik
Peyman Maadi: Tohirov
Thierry Levaret: Hervé, capo del commissariato
Anne-Pascale Clairembourg: Martine
Cédric Vieira: marito di Virginie
Tadrina Hocking: la ginecologa
Elisa Lasowski: Sonia
Emmanuel Barrouyer: il marito violento
TRAMA: Virginie, Erik e Aristide, tre poliziotti parigini, sono costretti ad accettare un'insolita missione: riportare uno straniero alla frontiera. Sulla strada per l'aeroporto, Virginia capisce che il loro prigioniero rischia la morte qualora ritorni nel suo paese. Di fronte ai dilemmi di coscienza che le sorgono, cerca di convincere i colleghi a lasciarlo scappare.
Voto 6,5

Anne Fontaine ha oscillato la sua attività di regista (a volte è anche attrice) tra commedie e soggetti più seri ma mai con un argomento così serio e impegnativo dal punto di vista psicologico. Il film è un dramma che si trasforma pian piano in un thriller mentale a causa della crisi di coscienza che assale i tre protagonisti e per questo dedica la prima parte alla loro personalità, dividendo in due tronconi la narrazione. Le intenzioni della regista sono prima di tutto quelle di farci conoscere da vicino chi sono e come vivono Virginie, Aristide e Erik, agenti di uno dei tanti commissariati di Parigi, il 20° arrondissement. Ognuno con i suoi problemi, tutti di differente natura, tre vite molto diverse.

Virginie è una bella signora con un marito e una bimba di 18 mesi che non la fa riposare di notte e quando si reca in servizio porta i segni di nottate difficili. Il primo quadro familiare della regista è dedicato a lei, sempre corrucciata e insoddisfatta, ma con un problema che la sta affliggendo negli ultimi tempi. È incinta e non del marito e ha deciso di abortire, scelta che non affronta con leggerezza, tutt’altro. Il marito ovviamente non sa nulla, come neanche la persona con cui ha una relazione. Ma quella mattina, in cui riceverà un delicato incarico, glielo rivelerà.

L’amante è il collega di lavoro Aristide, un omone di colore simpaticissimo. Scapolo, vive solo e ha una caratteristica fondamentale: scherza sempre con tutti, è allegro, è una persona di compagnia e ha sempre la battuta pronta, specialmente con la donna, da cui è attratto sinceramente e con cui vorrebbe passare più tempo. Virginie è bionda, sensuale (almeno quando non ha il broncio), e il suo sorriso si apre solo quando è in intimità con l’amico. È il momento che le regala quiete e sesso, dimentica della vita quotidiana. Lui lo sa e per la sua avvenenza (e un po’ per scherzare) la chiama miss Norvegia. È chiaro quanto ci tenga a lei. Mal sopporta il male che deve tamponare tutti i giorni per le strade della città, fino al punto che prima di rientrare in casa si spoglia sull’uscio, conta fino a 60 e poi lava subito gli abiti. Il male deve restare fuori dal suo appartamentino, puzza troppo.

Erik è il più scontento dei tre, vive con una donna depressa che lo perseguita tutto il giorno con i messaggi al cellulare, non trova pace ed è sempre triste. Desidererebbe una vita tranquilla, con un onesto servizio da poliziotto e tornare a casa da una donna affettuosa. Invece ogni sera è un litigio, anche a causa della sua voglia di fumare in pace una delle sue sigarette, che lei nasconde sempre, o di bere un po’ di alcol, che invece annusa soltanto per non peggiorare la salute. Forse, per lui, il lavoro è una distrazione, ammesso che non arrivino messaggi con una frequenza insopportabile.

La regista ci mostra quella mattina dai tre punti di vista, replicando le stesse scene ma viste dai singoli, e che li porta ad affrontare casi spinosi di vita quotidiana: una moglie maltrattata dal marito violento (ed ancora una volta è lei che protegge il congiunto invece di farlo arrestare), una rissa in cui è necessario riportare l’ordine, e così via. Vitaccia da poliziotti, in cui non sempre li vediamo concentrati, distratti ognuno dai problemi personali. Fin quando, durante il pranzo della mensa, non arriva la richiesta del capo del commissariato per una missione delicata: servono tre agenti che devono condurre un immigrato clandestino dal centro di prima accoglienza all’aeroporto Charles de Gaulle, dove sarà imbarcato per essere riportato in patria. Questo è Tohirov, un kazaco ritenuto irregolare e forse pericoloso ma a cui non è stato ancora riconosciuto l’asilo politico che chiede da tempo.

I tre sono spesso stati assieme nelle operazioni di polizia ma stavolta devono viaggiare per qualche ora tutti insieme in un’auto con l’uomo da consegnare alle forze dell’ordine dell’aeroporto. Il kazaco è silenzioso e sul punto di piangere: non parla francese né inglese ma presto fa capire che tornando in patria sarà sicuramente ucciso. È disperato e lo fa intendere. La sua vita, appena sbarcato, sarà in serio pericolo e, anche se non lo dice, implora di essere aiutato. È così che inizia la seconda parte del film, la più drammatica, la più difficile. La prima a capire la reale situazione dell’immigrato è Virginie, ovviamente da donna è più sensibile e intuisce che quella persona è sincera, che ha bisogno di aiuto: l’imbarco, per lui, significa la condanna a morte. Nel lungo tragitto la tragedia dispiega ogni risvolto ed esplode anche il dissidio tra i tre agenti. Lei vuole fare qualcosa per aiutare il disperato Tohirov, Aristide è distratto dalla guida e comincia a capire il dramma un po’ in ritardo ma soprattutto per il comportamento della collega che continua ad insistere per adoprarsi a favore dell’uomo. Inutile dire che Erik non solo vuole evitare fastidi e in primo luogo le reprimende del comando, ma in secondo luogo è afflitto dai suoi problemi, tanto che la sua donna sta continuando a infastidirlo con i messaggi.

Il film poteva dare l’idea di un poliziesco movimentato, invece prende la piega di un thriller psicologico, di scelta umana anziché politica. Quel giovanotto ha bisogno di essere capito perché nessuno parla la sua lingua, ha bisogno di essere aiutato, ma aiutarlo vuol dire mettersi nei guai, farlo fuggire nella campagna parigina vuol dire per i tre andare incontro alle punizioni. Ma la coscienza, quella di Virginie in primis, si ribella e non si rassegna e mentre Aristide si allinea più che altro per la solidarietà e il legame che ha con lei, il terzo è sempre più arrabbiato, per i suoi fatti e per non voler concedere spazio alla carità umanitaria. Più si avvicina l’aeroporto più è il momento per decidere. Succederà di tutto: dalla consegna al pentimento, da compito portato a termine alla ribellione: quell’uomo merita l’attenzione che richiede? gli si deve dare fiducia?

Comunque vada a finire, il giorno seguente è la data dell’appuntamento con il ginecologo che deve intervenire su Virginie per farla abortire. Lei dice al suo caro collega che andrà con un’amica, ma si capisce che è una bugia. Sarà Aristide che andrà ad attenderla, sarà lui che la accompagnerà dolcemente fuori dalla clinica, saranno loro due ad incamminarsi amano nella mano. In mezzo c’è un bambino in arrivo.

La delicatezza tutta femminile di Anne Fontaine si era già notata nel bel Agnus Dei ma questa volta è diverso: il commissariato è un postaccio e quella bellezza bionda pare fuori posto. Invece Virginie è una donna tosta, sempre preparata alle difficoltà della vita da poliziotta. Lei è la bellissima e sensuale Virginie Efira, che indossa la divisa con sicurezza e in abiti borghesi è triste, tranne quando è con il suo caro Aristide, il poliedrico Omar Sy, capace di essere un attore brillante di prim’ordine ma anche bravo (e lo ha già dimostrato altre volte) nei ruoli seri e drammatici, come questa volta, dove può esibire i suoi due lati di attore. Erik invece è Grégory Gadebois, dal fisico impacciato e grossolano, già apprezzato in Angèle et Tony, attore affermato in patria e presente in moltissimi film transalpini. Invece Tohirov è un volto ben noto del cinema iraniano e internazionale, Peyman Maadi, protagonista in About Elly, Una separazione, entrambi di Asghar Farhadi, e altri.
Un film che appassiona, che merita giudizi positivi, in cui indubbiamente la regista dimostra di aver saputo dirigere un film non facile e una buona squadra di attori, Virginie Efira su tutti. È lei l’eroina.






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