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Quando Hitler rubò il coniglio rosa (2019)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 ott 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando Hitler rubò il coniglio rosa

(Als Hitler das rosa Kaninchen stahl) Germania/Svizzera/Italia 2019 dramma storico 1h59’

 

Regia: Caroline Link

Soggetto: Judith Kerr (romanzo autobiografico)

Sceneggiatura: Caroline Link, Anna Brüggemann, (Michael Gutmann)

Fotografia: Bella Halben

Montaggio: Patricia Rommel

Musiche: Volker Bertelmann

Scenografia: Miyuki Kitagawa, Michal Soun, Cora Wimbauer

Costumi: Barbara Grupp

 

Riva Krymalowski: Anna Kemper

Oliver Masucci: Arthur Kemper

Carla Juri: Dorothea Kemper

Marinus Hohmann: Max Kemper

Ursula Werner: Heimpi

Justus von Dohnányi: zio Julius

 

TRAMA: Una famiglia ebrea deve fuggire da Berlino a causa dei nazisti. Prima, devono dirigersi a Zurigo. Da lì vanno a Parigi e infine a Londra.

 

Voto 6



“Per un rifugiato non è bello dire sempre addio…”

Nel 1933 la Germania è sul punto di cambiare per sempre. In molti scoprono che è diventato pericoloso vivere nel proprio Paese e tra costoro c’è anche la piccola Anna, che ha solo nove anni e non ha idea di chi sia Hitler, anche se la sua faccia campeggia sui manifesti di tutta Berlino. Quando però un giorno suo padre scompare, Anna capisce come Hitler sarà colui che rivoluzionerà l’Europa, cominciando dalla sua piccola vita.



Costretta alla fuga con i suoi cari dal paese natio con gli effetti di prima necessità, il suo coniglietto rosa preferito resta in una valigia che dovrebbe viaggiare solo in seguito e a parte. Da quel momento in poi ha inizio per lei un lungo esilio in posti di cui non parla la lingua, di cui non conosce le abitudini e in cui sentirà la mancanza dei suoi affetti. Trovare una scuola per lei diventerà presto difficile, i soldi finiranno e la xenofobia diventerà opprimente. La sua fortuna è di avere un carattere già solido e la forza di controbattere le derisioni dei maschietti della scuola. Sa difendersi e incutere rispetto ma l’ambiente non è un suo alleato.



Piuttosto i problemi veri per una ragazzina così intelligente e piena di iniziativa, così come per il fratello, anch’egli molto bravo negli studi, sono gli spostamenti tra nazioni, il dover sopportare la fame nei periodi peggiori e sfortunati quando il padre non riusciva a vendere bene i suoi articoli di critico di teatro, l’affitto non pagato, le offese razziali. Il trasferimento definitivo a Londra diviene il traguardo della stabilità, dell’agiatezza e della felicità. Che vuol dire crescere bene e con le possibilità di affermarsi nella vita con le doti che si posseggono. Mica per nulla, quella bimba che possiamo anche Judith Kerr divenne quello che oggi il mondo letterario conosce. E difatti, la scrittrice, che pubblicò in tutto il mondo, con traduzioni in 20 Paese, è morta a 95 anni a Londra, ultimo domicilio suo e della sua eroina Anna, la quale finalmente nella metropoli inglese trovò quella che chiamò, con soddisfazione e appagamento, “casa”, la sua casa. Per sempre.



È l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Judith Kerr, scrittrice, illustratrice e sceneggiatrice tedesca naturalizzata britannica. Attraverso gli occhi della giovane protagonista Anna, il libro diventa il film che ci parla dell’amara perdita dell’innocenza, l’esilio e la resistenza di fronte all’oppressione. La regista Caroline Link ha trasposto sul grande schermo questa narrazione con una delicatezza che non elude la gravità degli eventi storici, ma che allo stesso tempo offre una prospettiva di speranza e resistenza. La storia, parzialmente autobiografica infatti, riflette le esperienze personali dell’autrice Kerr, che ha vissuto eventi simili durante la sua infanzia. La pellicola non solo serve come un potente promemoria delle atrocità del passato, ma anche come un inno alla forza dello spirito umano di fronte alle avversità. Ma come purtroppo notiamo in questi anni, l’uomo non ha ancora imparato a vivere nella pace.



La piccola Riva Krymalowski impressiona per la sicurezza della sua recitazione, la gestualità spontanea, le smorfie, ordinarie per una ragazzina di quella età: sono le tante componenti che la fanno diventare una vera protagonista, su cui la regista punta l’obiettivo fiduciosa del risultato.



I dialoghi sono in molti momenti troppo convenzionali e retorici, persino prevedibili, roba che si potrebbe guardare il film senza audio. Purtroppo i difetti non si fermano qui e succede di trovare la visione - nonostante la giusta posizione dello sguardo all’altezza dei bambini, come a voler spiegar loro la terribile tragedia della Shoah - piuttosto appiattita su un racconto che pare una favola dove poi tutto finisce bene (e menomale), anche nel dramma storico. Per giunta, come spesso capita ai registi che vogliono riempire il film di contenuti, il commento musicale ha il compito di caricare l’atmosfera a livelli di melodramma, volendo far emozionare nei frangenti topici, oppure esaltandone altri come fosse un film d’avventura. Le partenze, gli abbandoni, le frustrazioni, il panorama delle scogliere di Dover e quindi la nuova vita, il nuovo modo libero da nazisti.



Resta comunque una pellicola sincera, istruttiva più per i piccoli spettatori che per gli adulti, che si lascia guardare con facilità (che non è sempre un pregio) e la dimostrazione viene dal fatto che il romanzo che funge da soggetto, When Hitler Stole Pink Rabbit, è propriamente un romanzo per ragazzi e fu pubblicato per la prima volta nel 1971, tradotto in Italia nel 1976 nella collana “BUR dei Ragazzi”. Motivo per cui ai giovanissimi va bene, agli adulti può sembrare troppo facile e semplice. Resta comunque un film che scorre e, se si è alla ricerca di qualcosa di facile, si guarda con piacere. O quasi. Purtroppo, il doppiaggio italiano, privo di ogni effetto ambienza, lo fa sembrare una fiction televisiva, perfino con voci inadeguate, iniziando la piccola protagonista.



La pellicola ha vinto 5 premi e ottenuto altre 5 candidature, soprattutto in patria e negli ambienti ebraici esteri.



 
 
 

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michemar

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