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Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 11 dic
  • Tempo di lettura: 6 min
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Quel pomeriggio di un giorno da cani

(Dog Day Afternoon) USA 1975 thriller 2h5’

 

Regia: Sidney Lumet

Soggetto: P. F. Kluge e Thomas Moore (articolo su Life “The Boys in the Bank”)

Sceneggiatura: Frank Pierson

Fotografia: Victor J. Kemper

Montaggio: Dede Allen

Scenografia: Charles Bailey

Costumi: Anna Hill Johnstone

 

Al Pacino: Sonny Wortzik

John Cazale: Salvatore Naturile

Charles Durning: Eugene Moretti

James Broderick: agente federale Sheldon

Penelope Allen: Shirley Ball

Beulah Garrick: Margaret

Carol Kane: Jenny, il topolino

Chris Sarandon: Leon Shermer

Sully Boyar: Mulvaney

Sandra Kazan: Deborah

Lance Henriksen: agente Murphy

Gary Springer: Stevie

 

TRAMA: Tre balordi assaltano una banca di Brooklyn. Uno dei tre si tira subito indietro e scappa mentre Sal e Sonny restano intrappolati nei locali della banca dopo l’intervento della polizia. Ha inizio un allucinante e per certi aspetti grottesco braccio di ferro tra i due rapinatori e le forze dell’ordine: in mezzo c’è il personale della banca. Sonny riesce a parlamentare e a contrattare le condizioni per la fuga, poi, però, l’FBI prende in mano le operazioni.

 

VOTO 8,5


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Il film è basato sugli eventi di una vera rapina tentata in una banca di New York, nel quartiere di Brooklyn, avvenuta il 22 agosto del 1972 ed è incentrato su uno dei rapinatori, John Wojtowicz, che con il complice Salvatore Naturile tenne in ostaggio i dipendenti. Gli eventi furono raccontati in un articolo scritto da P. F. Kluge e Thomas Moore, intitolato The Boys in the Bank e pubblicato nel settembre 1972 sulla rivista Life: tre rapinatori mettono in atto il loro piano: entrano in una banca poco prima dell’orario di chiusura e, al momento opportuno, bloccano il personale. Subito un imprevisto intralcia l’operazione: l’elemento più giovane della banda non se la sente e abbandona il colpo. Rimangono gli altri due. Quando è il momento di vedere cosa c’è nella cassaforte, li attende una brutta sorpresa: sono rimasti infatti solo un migliaio di dollari dal momento che poco prima è passato il furgone portavalori a ritirare l’incasso. I due rapinatori prelevano tutto ciò che trovano sui banchi, ma al momento di uscire, la polizia è schierata fuori dall’edificio e li tiene sotto controllo. Wojtowicz allora decide di prendere in ostaggio tutti i dipendenti ed avvia le trattative con le forze dell’ordine. Questi i fatti.



Ci sono film che non appartengono soltanto alla loro epoca ma diventano specchi di un tempo e di un modo di raccontare. Dog Day Afternoon, uscito nel 1975 e diretto dal grandissimo Sidney Lumet, è uno di quei titoli che hanno saputo trasformare un fatto di cronaca in un racconto universale, capace di mescolare tensione, ironia e disperazione. La presenza di Al Pacino e John Cazale, già consacrati dai primi due film de Il padrino, conferisce al film un peso immediato, ma ciò che lo rende memorabile è la capacità di Lumet di costruire un thriller psicologico che non si limita alla suspense: diventa un affresco di alienazione, di media ossessivi, di rapporti umani che si deformano sotto pressione. La sceneggiatura, arricchita da improvvisazioni e da personaggi che sembrano usciti dalla vita reale, porta lo spettatore dentro un vortice che non concede tregua.


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La storia prende spunto, come accennato, dall’episodio realmente accaduto a Brooklyn nel 1972. Sonny Wortzik, interpretato da Al Pacino, è un veterano del Vietnam che decide di rapinare una banca per finanziare l’operazione di cambio di sesso del suo compagno Leon (Chris Sarandon). Con lui ci sono Sal, fragile e inquietante figura resa indimenticabile da John Cazale, e Stevie (Gary Springer), che abbandona il colpo nel panico. L’assenza di un piano solido trasforma subito la rapina in un disastro e, con l’arrivo della polizia, la situazione degenera in un sequestro di ostaggi. Da quel momento il film diventa un campo di battaglia psicologico, con Sonny costretto a improvvisare e a negoziare con il sergente Moretti (Charles Durning) e con l’agente dell’FBI Sheldon (James Broderick), mentre cerca di mantenere il controllo su Sal e di gestire la crescente pressione dei media e della folla che si raduna fuori dalla banca.


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Lumet sceglie di girare tutto in location, evitando l’anonimato di un set artificiale, e questa decisione amplifica il senso di verità. L’atmosfera è quella di un caldo pomeriggio newyorkese, soffocante e carico di tensione, dove ogni gesto può far esplodere la violenza. Sonny non è un criminale nato, ma un uomo spinto all’estremo da circostanze personali e sociali, e Pacino lo interpreta con un’intensità che diventa il cuore pulsante del film. La sua energia nervosa, la capacità di passare dalla fragilità alla rabbia, dalla disperazione alla finta sicurezza, rendono il personaggio indimenticabile. In contrasto, Cazale offre una performance silenziosa e inquieta, fatta di sguardi vuoti e di una disponibilità cieca a seguire Sonny fino alle conseguenze più tragiche.


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Il film non si limita alla tensione del sequestro: diventa anche un racconto sul potere dei media e sulla loro capacità di trasformare un dramma in spettacolo. La celebre scena in cui Sonny urla “Attica! Attica!” [*] alla folla è un momento di cinema che trascende la trama, un grido politico e sociale che richiama la repressione del carcere di Attica e che trasforma il protagonista in simbolo. La folla si infiamma, le telecamere registrano, e la vicenda privata diventa un evento pubblico, un circo mediatico che Lumet analizzerà ancora più a fondo nel successivo meraviglioso Quinto potere. In questo intreccio di tensione e ironia, il film inserisce anche momenti di comicità nera, come la fuga goffa di Stevie, che alleggeriscono senza mai spezzare il ritmo incalzante.

[*] La rivolta della prigione di Attica fu una sommossa carceraria scoppiata nel penitenziario statunitense di Attica, nello stato di New York, il 9 settembre 1971. La rivolta fu dettata dalla richiesta dei carcerati di ottenere diritti politici e migliori condizioni di detenzione.


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La ricezione del film fu segnata anche dal riconoscimento della sua sensibilità nel rappresentare la relazione omosessuale e la figura di Leon, interpretato da Chris Sarandon. Per questo, in un’epoca in cui il cinema mainstream raramente affrontava questi temi con autenticità, la pellicola fu apprezzata dalle comunità LGBT per la sua rappresentazione sincera e non caricaturale. Pacino e Sarandon ottennero candidature agli Oscar, mentre Cazale, nonostante la sua prova straordinaria, fu ignorato dall’Academy. È un’ingiustizia che pesa ancora di più se si pensa che la sua breve carriera, interrotta dalla malattia, è composta da soli cinque film, tutti diventati classici.



Guardandola oggi, a cinquant’anni dalla sua uscita, si percepisce la forza intatta di un’opera che non ha perso nulla della sua intensità. È un film che cattura lo spirito degli anni Settanta, ma che continua a parlare al presente, con la sua riflessione sulla giustizia, sui media e sulla fragilità umana. La collaborazione tra Lumet e Pacino rimane un punto altissimo della storia del cinema, e la pellicola conserva la capacità di coinvolgere nuove generazioni con la stessa potenza con cui colpì il pubblico dell’epoca.



E non finisce qui. Al Pacino portò un’energia così intensa che molte delle scene più memorabili nacquero direttamente sul set. Sidney Lumet gli lasciò spazio per improvvisare e il risultato fu un realismo quasi documentaristico. Il momento più leggendario, il grido “Attica!”, nacque spontaneamente dall’attore e divenne un simbolo politico e sociale, capace di incendiare la folla e trasformare la rapina in un evento mediatico. Pacino non si limitò a seguire la sceneggiatura: nei dialoghi con John Cazale inserì pause, esitazioni e scarti improvvisi che resero il rapporto tra Sonny e Sal fragile e inquietante. Anche le interazioni con la folla e i giornalisti furono in gran parte inventate sul momento, amplificando il tema centrale del film: la trasformazione di un dramma personale in spettacolo pubblico. Questa libertà creativa, unita all’intensità fisica e mentale di Pacino, contribuì a rendere il film un classico. L’improvvisazione non fu un dettaglio, ma la scintilla che diede al racconto una verità capace di resistere nel tempo. Se si osserva come Sonny scarta la scatola per estrarre l’arma all’inizio della rapina, si assiste ad una scena tragicomica che esprime tutta la goffaggine dei protagonisti: che attore Al Pacino, e che film!



Riconoscimenti

Oscar 1976

Migliore sceneggiatura originale

Candidatura al miglior film

Candidatura alla migliore regia

Candidatura al miglior attore protagonista Al Pacino

Candidatura al miglior attore non protagonista Chris Sarandon

Candidatura al miglior montaggio

Golden Globe 1976

Candidatura al miglior film drammatico

Candidatura alla migliore regia

Candidatura al miglior attore in un film drammatico Al Pacino

Candidatura al miglior attore non protagonista Charles Durning

Candidatura al miglior attore non protagonista John Cazale

Candidatura al miglior attore debuttante Chris Sarandon

Candidatura alla migliore sceneggiatura

BAFTA 1976

Miglior attore protagonista Al Pacino (ex aequo con “Il padrino - Parte II”)

Miglior montaggio

Candidatura al miglior film

Candidatura alla migliore regia

Candidatura alla migliore sceneggiatura originale

Candidatura alla miglior colonna sonora

 


 
 
 

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