Quello che non so di lei (2017)
- michemar

- 10 mar 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 17 ago 2020

Quello che non so di lei
(D'après une histoire vraie) Francia/Polonia/Belgio 2017 dramma 1h40'
Regia: Roman Polanski
Soggetto: Delphine de Vigan (romanzo)
Sceneggiatura: Olivier Assayas, Roman Polanski
Fotografia: Pawel Edelman
Montaggio: Margot Meynier
Musiche: Alexandre Desplat
Scenografia: Jean Rabasse
Costumi: Karen Muller Serreau
Emmanuelle Seigner: Delphine Dayrieux
Eva Green: lei
Vincent Pérez: François
Dominique Pinon: Raymond
Camille Chamoux: Oriane
TRAMA: Delphine è una scrittrice che ha raggiunto il successo con il suo primo romanzo, incentrato sulla figura di sua madre. Ella tuttavia inizia a ricevere delle lettere anonime che l'accusano di aver esposto pubblicamente la propria famiglia. Colpita dal "blocco dello scrittore", Delphine incontra ed inizia una relazione con la misteriosa Lei, una giovane donna seducente e spontanea che sembra conoscere Delphine meglio di chiunque altro.
Voto 6,5

Si riaffaccia nel lavoro di Roman Polanski la sempre misteriosa figura del ghost writer, come accaduto ne L’uomo nell’ombra (recensione) e stavolta ha le sembianze di una bella donna che si insinua nella vita di una scrittrice in crisi, anche fisicamente perché si instaura addirittura in casa di quest’ultima. A questa giovane donna affascinante, intelligente ed intuitiva il regista non dà nome, noi la conosceremo semplicemente con un “lei” come per dare maggior ambiguità e inquietudine alla figura, che dimostra una incredibile capacità, una volta insediata nella casa, di capire l’altra donna, Delphine, meglio di chiunque altro e con lei la scrittrice riesce perfino ad aprirsi e confidarsi come con nessuno.

Il gioco psicologico che nasce tra le due porta lo spettatore al punto di chiedersi quali siano le reali intenzioni della nuova venuta, fin quanto sarà spinto il loro rapporto confidenziale e di fiducia. Lei è insinuante, è intelligentemente insistente, ha in buona sostanza tanto tatto nell’avvicinare e conquistare stima e credito dell’altra che viene spontaneo pensare che abbia scopi ben precisi. Chissà se non voglia addirittura sostituirsi alla padrona di casa e prendere il suo posto nella vita.

Ad aumentare le difficoltà di Delphine c’è il sopraggiungere del fatidico “blocco dello scrittore”, per cui quella presenza inaspettata che gira per le stanze come fosse una padrona le dà la sensazione, pur non precisa e netta, di poter usufruire del suo talento di scrittrice ma l’andamento del loro rapporto ogni tanto la inquieta e le fa dubitare di aver fatto bene a farla entrare nella sua vita. Ma è anche ben conscia che non è facile farla uscire e nel contempo prova la sensazione di una certa comodità ad averla vicino. È il solito dilemma mentale che (per)corre tra i personaggi di quasi tutti i film di Polanski: è lì che si gioca il sempiterno thriller psicologico dei sui racconti. Tutto è giocato con mestiere sull’ambiguità dei due ruoli, come i soliti giochi - perversi e no - del regista polacco, il solito incubo vissuto ad occhi aperti. In più l’accavallamento, la sovrapposizione, la confusione tra realtà e finzione, campo in cui il regista ha pochi eguali. Ma, ma stavolta non tutto è filato liscio, i perfetti meccanismi del regista non hanno viaggiato sui binari che lo hanno reso un grande di questo mestiere. Manca lo smalto e il colpo da maestro che solitamente ci si aspetta da lui: per altri sarebbe stato un discreto film, da lui, io vecchio estimatore, sono rimasto alquanto scettico.

Dice Roman Polanski: “A farmi conoscere il romanzo di Delphine De Vigan è stata la mia compagna, Emmanuelle Seigner. Me ne ha passata una copia invitandomi a considerare l'idea di trarne un film. E aveva ragione: ho allora invitato il produttore Wassim Béji ad acquistarne i diritti e nel giro di un anno ho avuto pronto il film, tutto è filato liscio come non mai. Ciò che mi ha sin da subito conquistato è il modo in cui l'autrice tratta argomenti come la manipolazione, la sottomissione, il confinamento e la suspense creando personaggi e situazioni che sembrano quasi uscire da mie opere precedenti come Cul-de-sac, Repulsion e Rosemary's Baby. Il suo è poi anche un libro che racconta la storia di un libro, ricordandomi La nona porta e L'uomo nell'ombra. Inoltre, la Vigan parla del confronto tra due donne. Ho sempre raccontato di conflitti: tra due uomini o tra un uomo e una donna ma mai tra due donne. Leggendo il libro, sono stato colpito da come realtà e finzione si mescolino e, come accadeva già in Venere in pelliccia (recensione) (uno dei pochi film diretti da me in cui una donna non è vittima), in un continuo gioco di specchi non si sa mai cosa per Delphine sia vera e cosa sia finzione. In fase di sceneggiatura, ho desiderato lavorare con Olivier Assayas. I suoi ultimi due film (Sils Maria e Personal Shopper) sono due opere sulle donne e, sapendo che ha già scritto per altri registi, ho voluto chiedere a lui di affrontare con me gli argomenti della Vigan. Olivier ha una visione piuttosto netta e concisa di come trasformare un volume di 500 pagine in una sceneggiatura: è un'abilità che in pochissimi hanno. Abbiamo collaborato, per varie ragioni, da lontano. Abbiamo fatto tutto via Skype ed è stato un continuo scambio di idee basato su visioni straordinariamente in comune. Siamo stati straordinariamente fedeli al romanzo, com'è mia abitudine quando adatto qualcosa di già esistente e consolidato. Da piccolo, rimanevo deluso da adattamenti di romanzi lontani dall'idea che mi ero fatto con la lettura o dalla cancellazione di personaggi che invece io avevo amato. Si deve a tale retaggio il desiderio di non alterare le storie altrui. Quando si è trattato di scegliere a chi affidare i ruoli di Delphine ed Elle non ho avuto quasi dubbio. Emmanuelle Seigner era perfetta per interpretare la scrittrice ed Eva Green per Elle. Avevo in mente il suo personaggio in Sin City: Una donna per cui uccidere e nessuna meglio di lei sarebbe stata perfetta per Elle.”

Le due attrici? Beh, che Emmanuelle Seigner sia sexy e provocante (in tutti i sensi) e adatta ai film del suo compagno non ci sono dubbi e quindi è perfetta, e Eva Green credo che non abbia rivali quando un autore chiede e cerca un’attrice dal ruolo equivoco e provocatorio, bella e misteriosa, fino ad essere tenebrosa: non c’è dubbio, “Elle” è “lei”!






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