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Quello che so di lei (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 25 ago 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 17 nov 2020


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Quello che so di lei

(Sage femme) Francia/Belgio 2017, commedia, 1h57’


Regia: Martin Provost

Sceneggiatura: Martin Provost

Fotografia: Yves Cape

Montaggio: Albertine Lastera

Musiche: Grégoire Hetzel

Scenografia: Thierry François

Costumi: Bethsabée Dreyfus


Catherine Frot: Claire Breton

Catherine Deneuve: Béatrice Sobolevski

Olivier Gourmet: Paul

Quentin Dolmaire: Simon

Mylène Demongeot: Rolande


TRAMA: Claire è una levatrice con uno straordinario talento naturale per far venire al mondo i bambini. Nel corso degli anni, i suoi modi delicati e il suo senso di responsabilità si sono scontrati spesso con i metodi degli ospedali moderni. Ormai prossima a dire addio alla sua professione, ha cominciato a mettere in discussione le sue abilità quando riceve una strana telefonata. Dall'altro lato del filo vi è Béatrice, la stravagante e frivola ex moglie del defunto padre. Dopo trent'anni, Béatrice vuole rivederla perché ha importanti notizie da rivelarle. Agli antipodi, le due donne impareranno ad accettarsi a vicenda, compensando gli anni perduti con la rivelazione di antichi segreti.


Voto 7,5


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Il titolo originale francese Sage femme è intelligente e furbo e gioca con un doppio senso, in quanto se le due parole le uniamo con un trattino il significato cambia e diventa “levatrice”, tanto che il titolo in inglese diventa Midwife, ostetrica. Invece il film parla al singolare di una saggia donna, quando invece, a mio modesto parere e per via delle reazioni che mi ha provocato, metterei volentieri il plurale al titolo, perché se è vero che le due protagoniste sono molto diverse di carattere alla fine è difficile, almeno per me, giudicare quale delle due stia conducendo una vita più “saggia” dell’altra: a loro modo, entrambe hanno scelto con buonsenso il loro modo di vivere. Claire è una donna seria, anzi seriosa anche se sorride a tutti, e sotto la sua dura corazza difensiva che si è costruita con gli anni è disponibilissima e arrendevole. Lei ancorché delusa dalla vita vive devotamente per le partorienti e per gli esserini che aiuta a far nascere. Béatrice ha capito, nella sua totale leggerezza, che le viene meglio prendere con spirito di avventura e col principio “carpe diem” ciò che il destino le offre, affrontando prima con coraggio, poi con smarrimento la malattia che la sta sconfiggendo. Due versioni di saggezza differenti ma utili ad ognuno di loro.


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Le due donne non potevano essere più lontane sia per carattere, che per vita vissuta: Claire, che ha dedicato la sua esistenza a far nascere bambini dando tutta se stessa (anche il sangue, all’occorrenza), perseguendo anche metodi antiquati ma efficaci, lontanissimi da quelli degli ospedali moderni che badano solo ai profitti; la vita l’ha portata a chiudersi in una corazza difensiva ed è sempre sulla difensiva, per giunta dandosi con generosità senza pretendere altro. Béatrice, malata gravemente, che non ha paura della morte (“Me ne frego di morire. Ho vissuto la vita che volevo”) ed è (sorpresa delle sorprese) l’ex amante del padre, tornata dopo 30 anni a Parigi. È quest’ultima infatti che rintraccia l’altra per poterla incontrare e conoscere. Dopo l’iniziale ed ovvio imbarazzo, le due donne imparano a comprendersi e a creare un bel rapporto, scambiandosi le proprie esperienze. Dunque, inevitabilmente, a migliorarsi.


Come ci si può aspettare, i primi contatti si rassomigliano più a collisioni pericolose che a incontri amichevoli. L’espansività dell’una non è gradita dall’altra, l’una si avvicina e l’altra la scosta, l’una rivolge immediatamente il “tu”, l’altra si mantiene le distanze con il “voi” (finezza di sceneggiatura che nella lingua inglese sarebbe sparita). Oltretutto, Claire non ha un buon ricordo di suo padre: è un ricordo che ha voluto accantonare, come le vecchie diapositive che ha lasciato in un angolo dimenticato della casa perché per unirsi a quella donna ha lasciato la famiglia. È questo il film, è un lento rendez-vous di due corpi celesti che ruotano in ellissi e fanno fatica ad unirsi, almeno dalla parte di una di loro. L’effervescenza di carattere, la voglia di mangiare e bere bene, l’amore per la vita spericolata di Béatrice non solo sono lontani anni luce ma addirittura spaventano Claire. Finché. Finché la naturale predisposizione all’altruismo di quest’ultima e la sincerità spontanea di Béatrice limano le differenze, situazione a cui si aggiunge l’aggravamento delle sue condizioni di salute.


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È l’universo femminile che si realizza, giocando con la notevole diversità dei due caratteri e con quello che può unirle: un padre/amante. Un film sottile, parlato, intelligente, delicato. Due figure femminili da conoscere, interpretato con estrema bravura da due attrici che sanno perfettamente come condurre il gioco. Anche perché il regista Martin Provost è abilissimo nel dipingere figure femminili a tutto tondo: ricordo che è l’autore del vulcanico Séraphine, e poi di Violette e Le ventre de Juliette, tutti soggetti imperniati su donne di gran carattere. Di questo film racconta: “Io stesso alla nascita sono stato salvato da una levatrice. Mi ha donato il suo sangue e, così facendo, mi ha permesso di sopravvivere. Lo ha fatto con incredibile discrezione e umiltà. Me lo ha rivelato mia madre poco più di due anni fa e, appena l'ho saputo, sono corso a cercare quella donna, non conoscendone neanche il nome. Gli archivi dell'ospedale in cui sono nato ogni vent'anni vengono distrutti e di conseguenza non ho trovato nulla. Mia madre ricorda come fosse una donna non più giovane. Mi sono allora convinto che sia morta. Ho deciso però di renderle omaggio, a modo mio, dedicando questo film a lei e a tutte quelle donne che lavorano nell'ombra e che mettono la loro esistenza al servizio di quella degli altri senza aspettarsi nulla in cambio. Qualche mese dopo aver finito il montaggio del film, ho avuto bisogno di un certificato di nascita per il mio matrimonio. Con sorpresa, ho scoperto che a dichiarare la mia nascita all'anagrafe non è stato mio padre ma la levatrice, Non solo aveva trascorso la notte con me e mi aveva salvato ma era anche andata a dichiarare la mia nascita, quasi a voler certificare che ero vivo e vegeto. Credo sia stato un bel gesto, un gesto che mi ha anche lasciato scoprire il suo nome: Yvonne André.”


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È un film che conquista piano piano, sequenza dopo sequenza, così come diventano simpatiche le due donne che all’inizio non si riesce ad apprezzare proprio per via dei loro difetti, che alla lunga scopriamo essere invece i loro pregi, i loro lati migliori. Due donne che stentano a volersi bene come succede allo spettatore verso di loro. Una commedia con l’aspro sapore della tragedia scritta con acume e intelligenza, piacevole come solo le commedie francesi sanno essere, diretta con l’evidenza del sentimento grato del regista, che ha avuto anche la bravura di scegliere due attrici fantastiche, due tipi di donne e di artiste ben distanti nel modo di esprimersi e di porsi in scena, conseguenza dovuta sicuramente alle diverse esperienze pregresse. Alle due mattatrici meravigliose (smorfie, sguardi trasversali, alzate di sopracciglia, mezzi sorrisi, ammiccamenti e un bacio sulle labbra pieno di affetto) Catherine Frot e Catherine Deneuve si aggiunge un sorprendente (perché fuori dai soliti schemi in cui lo conosciamo) il belga Olivier Gourmet, uno degli attori cardini dei fratelli Dardenne, che sta benissimo al gioco della commedia, anche senza i suoi abituali occhiali.



 
 
 

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